“La Repubblica pronta ad entrare nella UE. Sono pronti anche i sammarinesi?” Il titolo di un nostro articolo del 14 gennaio scorso, forse un po’ provocatorio, ma senza intenzione, si era trasformato in una sorta di sondaggio popolare che ha rovesciato in risposta una valanga di no. E anche se questo risultato non ha sicuramente una valenza scientifica né demoscopica, dà comunque l’idea che i sammarinesi non vogliono, o non sono pronti ad entrare in Europa.
L’argomento torna di strettissima attualità in seguito alle dichiarazioni del direttore di Limes, Lucio Caracciolo, il quale ha definito l’accordo con la UE: “Nullo per l’Unione Europea, negativo per San Marino”. Ovvero, per la UE, la piccola Repubblica del Titano non conta nulla, mentre per San Marino un accordo di adesione europea sarebbe negativo.
Non di questo avviso sono i partiti, sia di maggioranza, sia di opposizione, che subito si sono premurati di diffondere note stampa sulla validità del percorso europeo e sulla necessità di una sua accelerazione. Di nuovo, per altro confermato proprio ieri in Commissione Esteri, c’è un nuovo commissario incaricato di seguire i Piccoli Stati: Maroš Šef?ovi?, Vicepresidente della Commissione europea per le relazioni inter-istituzionali e l’amministrazione dal 2019. Risale al dicembre scorso, invece, la decisione della Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo per la chiusura del negoziato nel secondo semestre del 2023. Quindi fra un anno e mezzo, giorno più, giorno meno.
Qual è il problema? Il problema è che dell’accordo di adesione non si parla mai in maniera pubblica. L’ultima volta è stato per iniziativa dell’Associazione Emma Rossi, che ha invitato un nutrito parterre di esperti e politici e dove si è affrontata la questione in molte delle sue sfaccettature. Il pubblico, per altro assai numeroso, aveva molto apprezzato l’iniziativa. Poi, non c’è stato più nulla. Invece c’è una grande fame di informazioni corrette ed esaustive, di risposte ai mille interrogativi che la gente si pone di fronte ad un dibattito che ormai si trascina da una trentina d’anni, ma che sempre si frena nell’immobilismo intellettuale da parte dei cittadini e di chi mantiene le distanze dall’Unione Europea limitandosi a riconoscere, tra le iniziative realizzate, solamente l’introduzione del roaming gratuito.
È vero che c’è un mucchio di ragioni per cui l’Europa non piace, a cominciare dalla moneta unica che ci ha reso tutti più poveri, e da una serie di fallimenti che l’hanno fatta diventare una specie di nave alla deriva. O forse una nave in mano ai paesi più forti. Ma è anche vero che ormai il processo europeista è ineluttabile. Ha garantito la pace tra territori e nazioni che si sono guerreggiati per millenni. Il mercato unico europeo si contrappone validamente a USA, URSS, Cina e India. Come si fa a rimanerne fuori? Come si fa a rimanere paese terzo inglobato in un paese membro? Vuol dire pagare lo scotto su tutto, vuol dire subire senza mai ricevere nulla in cambio. Il recente esempio dei vaccini è emblematico.
Generazione Libera scrive: “Il nostro non far parte dell’Unione in questo periodo di crisi ci è costato tanto, sia metaforicamente che concretamente”. I GDC parlano della necessità di uno scatto in avanti. Giovanni Zonzini (Rete) scrive su Facebook: “Questo Paese ha ormai messo alle spalle, nonostante le resistenze antistoriche di qualche potere forte, la triste stagione dell’utilizzo banditesco e parassitario della propria sovranità, che trovò la sua massima espressione nell’effimera e rovinosa stagione di un off-shore che sarebbe lusinghiero definire artigianale o dilettantesco. Appare dunque inderogabile procedere oltre, comprendendo che un rapporto chiaro e ben definito con l’UE – che non significa entrarci, tra l’altro – può portare più vantaggi che svantaggi, oltreché costituire l’UE stessa una sponda nel rapporto – strategico per definizione – con l’Italia”.
C’era, e forse c’è ancora, lo scoglio dell’aquis, circa 80 mila pagine di diritto comunitario, per il quale sono ammesse pochissime deroghe. Ci siamo rimasti fermi per anni. Poi, il Segretario Beccari ha spiegato (nella serata dell’Associazione Emma Rossi) che si è pensato di spostare la trattativa dalle questioni bloccanti a quelle più politicamente pregnanti, come la libertà di circolazione per le persone, le merci e i servizi, superando i tecnicismi dell’acquis. Contestualmente, di proseguire sulla strada del Parlamento europeo, con il quale la Repubblica ha un dialogo continuo e grazie al quale si sono ottenuti risultati importanti.
Potrebbe essere questa la strada giusta per arrivare ad un risultato? I sammarinesi, con il referendum del 2013, in pratica è come se si fossero astenuti dall’esprimere il loro parere perché in quell’occasione non si raggiunse il quorum. A questo punto, visto che il 2023 è davvero alle porte, sarebbe quanto mai utile una fitta serie di incontri pubblici, sia tecnici che politici, perché non è detto che i cittadini abbiano la stessa idea rispetto all’orientamento delle forze politiche e del governo. E di fronte al nulla, spesso ci sono amare sorprese.
a/f