Sostenibilità e competitività sono due termini antitetici o collegabili? Tema affascinante, declinato anche dal punto di vista finanziario nell’evento organizzato da NT Capital SG con la collaborazione del Gruppo Ambrosetti, dal titolo “Economia e finanza, la grande sfida”.
“Un momento di riflessione e di studio” ha specificato il Segretario alla Giustizia Stefano Canti, portando i saluti istituzionali e assicurando che San Marino si farà parte attiva nel processo di trasformazione, per altro già in atto, per facilitare l’accesso a strumenti di investimento diversificati, trasparenti e sostenibili.
Già Mario Draghi aveva indicato l’importanza di una strategia a lungo termine in un contesto mondiale che continua a dare segnali concreti di instabilità, dove sostenibilità e competitività possano disegnare un percorso parallelo. “Siamo però di fronte ad un movimento anti sostenibilità” ha spiegato Diana D’Isanto, Associate Partner and Head of Sustainability Strategy, TEHA Group intervenendo sul tema: “Sostenibilità e competitività: la nuova rotta europea e il ruolo della finanza”. Cita come esempio la politica economica di Trump, che tra i suoi primi atti si sfila dall’Accordo di Parigi sull’ambiente e ha appena scatenato una guerra commerciale. Ma anche l’Europa complica moltissimo la situazione quando affida alla finanza e alle assicurazioni il compito di orientare la transizione sostenibile, raccogliendo dati e informazioni aziendali per rendicontare il livello di sostenibilità. “C’è il problema – ha illustrato D’Isanto – che le agenzie non usano gli stessi criteri di valutazione, per cui le rendicontazioni possono essere molto diverse tra loro, producendo un effetto: uova strapazzate”.
A questo punto, la UE adotta un pacchetto di misure per cercare di alleggerire gli oneri burocratici del provvedimento chiamato “OMNIBUS”, con una sua modifica ribattezzata “FINIBUS sostenibilità”. Ma anche questo non è del tutto vero, perché la UE alza l’obbligo di rendicontazione solo per le imprese con più di 1000 dipendenti, che in Italia sono circa 70mila. Il che tuttavia non semplifica la vita per il mondo della finanza, che in qualche maniera si trova impossibilitato ad assolvere il compito che gli era stato affidato. “Sostenibilità, per un’impresa, non vuol dire politica di rendicontazione – ha chiarito D’Insanto – perché la sostenibilità investe moltissimi settori, che impattano su tutto il processo produttivo: dal packaging ai rifiuti, dall’emissione di fumi ai contratti di lavoro, alla corretta gestione del rischio aziendale, e così via”. Ha poi spiegato che la velocità di reazione degli Stati alla transizione sostenibile è inversamente proporzionale al livello di democrazia. Ha portato l’esempio della Cina, che ha adottato le direttive UE e che ha già raggiunto gli obblighi di energia green previsti dall’Occidente per il 2030. Altrettanto è accaduto in Uzbekistan e in Kazakistan. “Da noi ci voglio decenni per cambiare le cose, perché i cittadini si oppongono all’installazione di nuovi impianti. È una sfida sempre più polarizzante, perché l’adeguamento diventa una scelta di campo. Per questo fare sostenibilità è un’impresa. Le aziende si trovano sempre più spesso ad avere a che fare con soggetti sensibili a questo argomento; il mondo della finanza e delle banche cominciano a chiedere alle aziende obiettivi di sostenibilità. Per gli stessi lavoratori è una questione etica, verso la quale sono sempre più orientati i giovani. Così pure i consumatori, che a parità di costo, preferiscono il prodotto che sembra più sostenibile. In sostanza, se l’azienda non affronta i cambiamenti, il suo successo non ha prospettiva futura”.
Raffaele Bruni, presidente di Banca di San Marino SPA e Senior Partner BM&C Società Benefit, intervenendo su: “La Banca locale e transazione disponibile” ha contestato in qualche modo la precedente relatrice, sostenendo che la realizzazione di un modello sostenibile ha un forte legame con la democrazia. “La Cina è il più grande produttore di plastica nei mari e nei fiumi – ha puntualizzato – e se facciamo un’indagine sull’eticità delle classifiche, vediamo che la Cina paga le agenzie di rilevazione”. Ha proseguito spiegando che l’aspetto sociale è un faro dentro l’impresa. In sostanza: la gestione delle risorse umane, l’equilibrio tra i tempi di lavoro e tempi per la famiglia, sono un modo diverso di lavorare e di generare sviluppo. E poi la banca locale per lui non è una diminutio. “La banca locale ha una grossa responsabilità verso la sostenibilità perché vive dentro al territorio e deve promuove un sistema ecosostenibile virtuoso, che non ha nulla a che fare con l’ecologia, ma con la selezione di imprese innestate sulla sostenibilità”.
Ha molto criticato lo spreco di idee che si vede quotidianamente, quando tante startup non trovano il terreno per fare impresa. “Abbiamo delle startup straordinarie, che non riescono a vedere la luce. Le banche locali e la finanza locale hanno il dovere di sostenere queste idee. Non è possibile ridurre la sostenibilità a un fatto tecnico e burocratico”.