Mi è appena arrivato il libro di Lorenzo Albacete Cosa c’entrano le stelle e subito mi ha colpito proprio la prima citazione, che mi ha invogliato a continuare la avvincente lettura.
Egli cita una bella poesia di García Lorca, Gli incontri di una lumaca avventurosa, e ne fa l’oggetto delle sue acute riflessioni dal titolo: «Allargare la ragione in un’epoca di ideologia».
«La poesia di García Lorca… parla di una lumaca perlopiù serena, un “gentiluomo” della foresta che non si emoziona troppo davanti a nulla. Mentre va in giro, incontra altri animali. Prima incontra un gruppo di rane, che la coinvolgono in una discussione erudita sull’esistenza di Dio. Già questo sarebbe stato affascinante, ma la lumaca prosegue e s’imbatte in un gruppo di formiche. Stanno picchiando una di loro, quasi la uccidono. “Signore formiche, cosa c’è che non va?”, chiede. “Che cosa ha fatto? Perché fate questo?”.
Si scopre che questa formica era scomparsa dalla colonia per un po’. Mentre marciava non aveva visto un albero, e, quando ci era arrivata, ci era salita su dritta. Guardava sempre e solo dritta davanti a sé, così salita sull’albero poté scorgere il cielo. Per la prima volta nella sua vita la formica vide le stelle. Alla fine scese ma non riuscì a trattenersi dal dire ciò che aveva scoperto, pensando, poverina, che anche le altre formiche ascoltandola avrebbero voluto vedere le stelle.
Invece erano furiose. Con queste stupide chiacchiere sulle stelle la formica aveva violato la legge dell’utilità. L’utilità di una formica, come di tutti i membri di un formicaio, è quella di essere una lavoratrice, e lei aveva interrotto il lavoro facendo qualcosa che gli altri consideravano assolutamente scandaloso, irrilevante e stupido: guardare le stelle.
Naturalmente, la lumaca stessa non ha idea di cosa siano le stelle perché neanche lei ha mai alzato lo sguardo, ma è incuriosita e chiede alla formica morente: “Cosa sono le stelle?”. Ma la formica non ha parole per descriverle: “Sono come piccoli occhi e sono bellissime”. Poi muore e le altre formiche se ne vanno.
La lumaca si chiede il significato di quello che è successo, ma è semplicemente troppo stanca per alzare lo sguardo e riprende il suo cammino. In lontananza si sentono suonare le campane della chiesa.»
Se troverete questo testo potrete leggere le sue acute riflessioni, acute e argute, visto il suo senso dell’umorismo che lo contraddistingueva e che rendeva anche le sue conversazioni interessanti e piacevoli.
Ma che cosa imparare da questo racconto e dalla interpretazione di Albacete, dal titolo «Allargare la ragione in un’epoca di ideologia»?
E sento questa domanda particolarmente urgente, di fronte a quella che spesso abbiamo chiamato emergenza educativa. Soprattutto quando mi accorgo che in molti casi quello di cui si parla non riguarda la verità della vita, la problematica del senso della nostra esistenza. Spesso proprio guardando la televisione, che dovrebbe essere un servizio pubblico, quello che emerge è, più che la notizia, proprio l’assenza di quelle notizie che «allargano la ragione», che danno speranza, che sostengono nel cammino. In questi giorni vicino a noi, a Rimini, c’è stata la testimonianza di una giovane «detransitioner» (così definita dal sito che si occupa della condizione dei gay: “persone che, dopo aver intrapreso un percorso di transizione di genere, scelgono di interromperlo o di tornare alla propria identità di genere assegnata alla nascita”): cerchiamo pure tra i nostri palinsesti e non ne troveremo traccia, salvo che – come nella nota precedente – se ne parli per demolire una testimonianza piuttosto che per capire, conoscere, approfondire. Così si assiste allo scempio di vite di giovani che, per il numero indotto da propaganda e ideologia trans, sembrano essere solo una minoranza, secondo la stampa e i social mainstream, mentre la realtà sembra mostrare il fallimento di questo che viene chiamato “processo affermativo” (dove la affermazione sembra essere prerogativa della ideologia che si sta imponendo dimenticando e cancellando le sofferenze procurate, infinitamente maggiore di quelle che si vorrebbero superare).
La questione pare essere sempre quella educativa, e qui ci accorgiamo che tanti, troppi genitori sono latitanti in questo campo. Mi ricordo quanto accaduto tra noi di fronte a iniziative scolastiche nei confronti degli adolescenti, in cui, per affrontare il tema della sessualità nella giovane età (ci si rivolgeva a quindicenni), una delle domande riguardava esperienze di sesso anale… e mi fermo qui.
E dove era necessario introdurre quello che, in questi casi, si riconosce come “consenso informato” non se ne era affatto parlato. Il maestro Mario Lodi aveva parlato di una scuola che si riteneva padrona degli studenti.
Quello che risulta evidente è che i genitori – e non penso che siano pochi – riprendano la loro voce responsabile non solo in famiglia, ritrovando quel protagonismo che sembra essere prerogativa dei social o del gruppo dei coetanei, ma soprattutto in tutti quei campi in cui la loro presenza è indispensabile, anche se emarginata (la Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo e dell’Uomo al comma 3 dell’art. 26 enuncia questo principio: “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del tipo di educazione che deve essere data ai loro figli”). E tale diritto di priorità, per essere esercitato fattivamente, chiede che i genitori sappiano mettersi insieme, creando strumenti associativi capaci di interloquire con le istituzioni scolastiche.
Non ci piacciono le formiche la cui utilità «come di tutti i membri di un formicaio, è quella di essere una lavoratrice, e lei aveva interrotto il lavoro facendo qualcosa che gli altri consideravano assolutamente scandaloso, irrilevante e stupido: guardare le stelle».
Ci sono compagni di cammino quei genitori che, come Pavel Florenskij, sapevano scrivere queste cose ai loro figli: «Figlioli miei carissimi … abituatevi, imparate a fare tutto quel che fate con passione, ad avere il gusto del bello, dell’ordine; non disperdetevi, non fate niente senza gusto, in qualche maniera. Ricordatevi che, nel ‘pressapochismo’ si può perdere tutta la vita, e al contrario, nel compiere in maniera ordinata, armoniosa, anche cose e opere di secondaria importanza si possono fare tante scoperte, che poi vi serviranno come sorgenti profondissime di nuova creatività… Era tanto che volevo scrivervelo: guardate più spesso le stelle. Quando provate dolore nell’anima, guardate le stelle oppure l’azzurro del cielo. Quando vi sentite tristi, quando qualcuno vi offende, quando non vi riesce qualcosa oppure vi sopraffà la tempesta interiore, uscite fuori e rimanete a tu per tu con il cielo. E allora la vostra anima si placherà.»
Il compito è affascinante, e non saremo soli nel farlo nostro e viverlo.
don Gabriele Mangiarotti