La pandemia ha fatto accendere i riflettori non solo sulle questioni sanitarie ed economiche, ma anche su tanti temi sociali, a cominciare dai giovani. Fino a qualche tempo fa, i giovani sono stati “lasciati in panchina” a guardare una squadra che giocava male. Per questo, ci troviamo con “giocatori scarsi” in politica quanto nell’amministrazione e, più in generale, in tutti i gangli vitali della società. Tanto che è giocoforza rivolgersi a professionisti e consulenti esterni. Poi è arrivato il Coronavirus, i giovani sono stati penalizzati in tutte le loro espressioni: scolastiche, sportive, artistiche, culturali. Tutti fermi. Tutti chiusi in casa. E allora si scopre che stanno soffrendo e che le conseguenze d una tale situazione si trascineranno negli anni a venire.
Pertanto, se il contagio ha messo in discussione tutti i nostri punti fermi, portando inevitabilmente alla necessità di ripensare i modelli di sviluppo, è necessario ripartire proprio da coloro che hanno più potenzialità.
Dal Neolitico fino all’inizio dell’epoca moderna, un quindicenne che guardava a nonni, genitori e al loro lavoro, poteva immaginare la sua vita diversa, ma aveva poche possibilità di riuscire a cambiarla. Oggi succede il contrario: la possibilità di cambiare il futuro è molto più grande che in passato perché molti obiettivi sono già stati raggiunti, ma il futuro lo si immagina con difficoltà.
L’incertezza di non sapere dove ci si ritroverà di qui a dieci anni, è un fatto che rischia di produrre insicurezza e apprensione se non si hanno gli strumenti per comprendere il mondo e, quindi, influenzarlo. Eppure, da sempre le nuove generazioni sono destinate a salire sul palco, dove le parti non sono solo redistribuite ma anche reinterpretate. Sono attori fondamentali di una visione in cui il futuro dovrebbe sempre essere migliorabile.
I mattoni per costruire il futuro sono le nuove generazioni, dirlo è quasi una banalità, ma con alcuni problemi. Primo: ci sono meno giovani per via della denatalità (ce ne siamo appena resi conto con la scuola elementare di Città, che sarà poi il problema delle scuole medie e delle scuole superiori). Secondo: spesso, sprechiamo i giovani, perché quelli davvero bravi se ne vanno all’estero poiché in Patria non ci sono gli strumenti, né le possibilità per poter esprimere al meglio le loro capacità. Così il danno è doppio: per loro e per il Paese.
L’emergenza coronavirus, avendo messo in discussione tutte le regole del gioco (per tornare alla metafora calcistica), avrebbe potuto essere un’opportunità. Si tratta non solo di capire come tornare in campo, ma di essere disposti ad adottare una nuova visione, con giovani non solo ben preparati, ma che cerchino e creino opportunità. Servono imprese che non li considerino come manodopera a basso costo, ma come carburante per uno sviluppo sostenibile. Le aziende post Covid devono evolvere in fabbriche per trasformare la capacità, delle nuove generazioni, di essere e fare. Questo vuol dire: ripensare il modello di sviluppo.
La manifestazione “romantica sul Pianello” per protestare con le attuali chiusure, a nostro avviso, rientra nella libertà di espressione dei cittadini. Ma il problema non è lì. Togliere le mascherine a scuola, riaprire parchi, palestre, piscine due settimane prima, o dopo, non costruisce le basi per il futuro dei giovani. Sarebbe molto più utile insegnare loro l’accettazione e la responsabilità, perché questi sono tasselli fondamentali delle personalità future, da inserire in una partita dove possano risultare vincitori.
a/f