Rubrica internazionale a cura di David Oddone,
giornalista referente Onu per San Marino
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La crisi climatica rappresenta un codice rosso per l’umanita’.
Su questo i governanti mondiali saranno messi alla prova alla Conferenza ONU sul Clima, COP26, a Glasgow.
Le loro azioni, o inazioni, ne mostreranno la serieta’ di intenti rispetto a questa emergenza planetaria.
E’ difficile non scorgere i segnali di allarme: le temperature stanno raggiungendo dovunque nuovi massimi; la biodiversita’ e’ al contrario in picchiata verso nuovi minimi; gli oceani si stanno riscaldando e acidificando e soffocano a causa della plastica. Le temperature in aumento renderanno vaste parti del pianeta prive di vita per l’umanita’ entro la fine del secolo.
L’eminente rivista medica The Lancet ha di recente definito il cambiamento climatico come la “narrativa che definira’ la salute umana” negli anni a venire — una crisi caratterizzata da diffusa carenza alimentare, malattie respiratorie, disastri letali e malattie infettive che potrebbero addirittura essere peggiori del COVID-19.
Malgrado questi assordanti campanelli d’allarme, emergono dai piu’ recenti rapporti ONU nuove prove che l’azione dei governi non ha finora dato quel contributo di cui c’e’ invece disperato bisogno.
Sono ovviamente benvenuti i nuovi, recenti annunci di cruciali interventi sul cambiamento climatico. Tuttavia il nostro mondo resta comunque sulla disastrosa rotta di un aumento della temperatura globale ben superiori ai due gradi Celsius.
Siamo molto lontani dall’obiettivo di 1,5 gradi Celsius su cui il mondo si accordo’ con gli Accordi di Parigi: un obiettivo che, ci dice la scienza, rappresenta il solo percorso sostenibile per il nostro mondo.
Si tratta di un obiettivo pienamente realizzabile.
A patto che riduciamo le emissioni globali del 45% ris[petto ai livelli del 2010 in questo decennio.
Che si possano raggiungere zero emissioni a livello globale entro il 2050.
E che i governanti mondiali arrivino a Glasgow con obiettivi coraggiosi, ambiziosi e verificabili, e con politiche concrete che possano arrestare questo disastro.
Occorre che i leader del G20 leaders in particolare siano all’altezza.
E’ finito il tempo delle sottigliezze diplomatiche.
Se i governi, specialmente quelli del G20, non assumono una posizione decisa a guida di questo sforzo, saremo in rotta verso una terribile sofferenza umana.
Tutti i Paesi devono capire che il vecchio modello di sviluppo fondato sul carbone costituisce una sentenza di condanna a morte per le loro economie e il nostro pianeta.
Dobbiamo decarbonizzare adesso, in tutti i settori e in tutti gli Stati. Dobbiamo dirottare i sussidi dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, e tassare l’inquinamento, non le persone. Dobbiamo mettere un prezzo al carbonio, e indirizzare queste somme verso lavori e infrastrutture resilienti.
Occorre uscire gradualmente dal carbone, entro il 2030 nei Paesi OSCE e entro il 2040 in tutti gli altri. Sempre piu’ governi si sono impegnati a smettere di finanziare il carbone, e i gruppi finanziari privati devono urgentemente fare lo stesso.
La gente si aspetta giustamente che i propri governi guidino questo processo. Ma tutti abbiamo la responsabilita’ di salvaguardare il nostro futuro collettivo.
Occorre che le imprese riducano il proprio impatto climatico e indirizzino i propri flussi finanziari e operazioni verso un futuro a emissioni zero. Basta con le scuse e con strategie di comunicazione che nascondono impatti ambientali negativi.
Gli investitori, pubblici e privati, dovrebbero fare lo stesso, unendosi a apripista quali l’alleanza di investitori istituzionali internazionali, che si e’ impegnata a trasferire i propri portafogli verso investimenti a emissione zero, e il fondo pensioni delle Nazioni Unite, che ha raggiunto in anticipo e oltre le previsioni gli obiettivi di investimento 2021 fondati sulla riduzione di carbonio globale, in una percentuale del 32% quest’anno.
Bisogna anche che gli individui in ogni societa’ facciano scelte migliori e piu’ responsabili su cio’ che mangiano e acquistano e su come viaggiano.
E i giovani, insieme agli attivisti per il clima, devono continuare a fare cio’ che stanno facendo: chiedere ai propri leader di agire e di assumerne la responsabilita’.
Durante tutto il processo, occorre solidarieta’ globale per aiutare tutti i Paesi ad attuare questo cambiamento. I Paesi in via di sviluppo sono alle prese con debito e crisi di liquidita’ e per questo devono essere sostenuti.
Le banche di sviluppo pubbliche e multilaterali devono aumentare in misura significativa i propri portafogli climatici e accentuare gli sforzi a supporto dei Paesi in transizione verso un’economia resiliente a emissioni zero. Occorre altresi’ che il mondo industrializzato faccia urgentemente fede al proprio impegno di investire almeno 100 miliardi di dollari l’anno in finanza climatica in favore dei Paesi in via di sviluppo.
Banche di sviluppo multilaterali e donatori devono stanziare almeno la meta’ della loro finanza climatiche ad attamento e resilienza.
Le Nazioni Unite furono fondate 76 anni fa per costruire consenso in favore dell’azione contro le piu’ grande minacce all’umanita’. Raramente, pero’, abbiamo fronteggiato una crisi come questa: una vera crisi esistenziale che, se non affrontata adeguatamente, minaccia non soltanto noi, ma anche le generazioni future.
C’e’ una sola strada davanti a noi. Un futuro a 1,5 gradi e’ l’unico praticabile per l’umanita’.
Sta ai governanti rinnovare il proprio impegno su questo a Glasgow, prima che sia troppo tardi.
di Jean-Pierre Lacroix , Responsabile del Dipartimento ONU per le Operazioni di Pace