PUNTATA1. LA PREFAZIONE
PUNTATA 2. Con la SMaC dal vecchio meccanismo di deduzione alla nuova detrazione
La riforma tributaria del 2025 a San Marino ha un cuore pulsante che non si può ignorare: la trasformazione del meccanismo legato alla SMaC card, la carta servizi che da anni accompagna la vita quotidiana dei cittadini e dei lavoratori del Titano.
Chiunque viva o lavori a San Marino ha imparato a conoscerla: all’inizio era percepita come uno strumento quasi “commerciale”, un po’ carta fedeltà, un po’ carta di pagamento, ma con il tempo è diventata una vera e propria chiave fiscale. Grazie alla SMaC, infatti, molte spese effettuate sul territorio venivano registrate e riconosciute come deducibili dalla base imponibile, riducendo così il carico fiscale di fine anno.
Questa logica, introdotta ormai più di dieci anni fa, ha inciso profondamente sulle abitudini dei contribuenti. Usare la SMaC non era solo un modo per accumulare scontrini elettronici, ma significava abbassare l’imponibile e quindi pagare meno tasse. Molte famiglie sammarinesi hanno imparato a “giocarsi” la SMaC al massimo, cercando di arrivare al tetto previsto – circa 6.000 euro di spese deducibili – in modo da abbattere in maniera rilevante la base su cui venivano calcolate le imposte. In un Paese dove i redditi medi oscillano tra i 20 e i 40 mila euro annui, si trattava di un vantaggio non trascurabile.
La Segreteria Finanze guidata dal Segretario di Stato Marco Gatti ha deciso di cambiare radicalmente questa impostazione.
La deduzione, dicono in Segreteria alle Finanze, aveva diversi limiti: premiava in modo sproporzionato i redditi più alti, che avendo aliquote marginali più pesanti riuscivano a “risparmiare” più dei redditi bassi; in alcuni casi si traduceva in un beneficio maggiore per chi già aveva capacità di spesa; inoltre, non era più in linea con gli standard fiscali internazionali, che guardano con sospetto a meccanismi percepiti come distorsivi.
Per questo, dal 2025, la deduzione SMaC è stata sostituita da una detrazione fissa pari al 22% delle spese sostenute in territorio, entro certi limiti. Tradotto in pratica: non è più il reddito imponibile ad abbassarsi, ma l’imposta dovuta a fine anno che si riduce di una quota. È un cambiamento che, a prima vista, può sembrare un dettaglio tecnico, ma che in realtà cambia molto: soprattutto nel modo in cui cittadini e famiglie percepiscono la convenienza fiscale, e nel modo in cui si distribuisce il vantaggio tra redditi alti, medi e bassi.
Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro e spiegare bene la differenza tra deduzione e detrazione, perché è lì che si gioca tutta la partita.
FATE UN MINIMO DI ATTENZIONE A QUESTO DETTAGLIO TECNICO PERCHE’ E’ MOLTO IMPORTANTE
La DEDUZIONE è come togliere un pezzo del reddito su cui calcolare le tasse.
Se guadagni 30.000 euro e puoi dedurre 6.000 euro di spese, l’imponibile scende a 24.000. Semplice da capire, no? Le aliquote fiscali, le tasse insomma, si applicano non più a 30.000 ma a 24.000, e il risparmio dipende dalla tua aliquota marginale, cioè la tua aliquota.
Chi ha un reddito elevato, e quindi un’aliquota marginale del 30 o 35%, si vedeva riconoscere un risparmio molto più alto rispetto a chi stava su scaglioni bassi.
La DETRAZIONE, invece, funziona diversamente. Non toglie nulla al reddito imponibile, ma riduce direttamente l’imposta da pagare. È come arrivare in cassa con un buono sconto: se la tua imposta da pagare è 5.000 euro, e hai una detrazione di 1.000, paghi 4.000. In questo caso, la percentuale del beneficio è uguale per tutti, a prescindere dal reddito. QUESTO E’ MOLTO IMPORTANTE DA CAPIRE. E’ come se fosse uno sconto che ti applica lo Stato che ti fa pagare meno tasse.
CERCO DI FARE DEGLI ESEMPI PER CAPIRE MEGLIO ANCHE IO, E NON SOLO VOI CHE MI STATE LEGGENDO IN QUESTO MOMENTO – CAPIAMO ASSIEME.
Facciamo un esempio semplice: due persone, una con reddito di 20.000 euro e una con reddito di 60.000 euro. Entrambe spendono 6.000 euro con la SMaC. Ok? Tutte e due spendono 6.000 euro all’anno con la SMaC ma uno guadagna 20.000 euro e un altro 60.000.
Prima della riforma, la deduzione abbatteva il reddito imponibile: il primo passava da 20.000 a 14.000, il secondo, quello con più soldi, da 60.000 a 54.000. Chi aveva il reddito più alto, però, risparmiava molto di più, perché le tasse sui 6.000 euro in meno venivano calcolate a un’aliquota più pesante.
Dopo la riforma, entrambi ricevono la stessa detrazione di 1.320 euro (cioè il 22% di 6.000). In altre parole, il beneficio è uguale per tutti, e non dipende più dall’aliquota marginale.
QUINDI PAGA DI PIU’ CHI HA PIU’ REDDITO! PERCHE’ DETRAE DI MENO
Questa, nelle intenzioni del governo, è una forma di equità fiscale: lo stesso vantaggio a chiunque, indipendentemente dal reddito. Ma è davvero così semplice?
Analizziamo i casi concreti.
Caso A – REDDITO BASSO (20.000 €). Prima della riforma, se la famiglia riusciva a usare tutta la deduzione, l’imponibile scendeva a 14.000. In un sistema progressivo, questo significava pagare tasse molto ridotte, talvolta quasi azzerate. Con la nuova detrazione, invece, l’imposta calcolata su 20.000 euro si riduce di 1.320 euro. Per alcune famiglie a basso reddito, questo può tradursi in un vantaggio leggermente superiore rispetto al passato, soprattutto se prima non riuscivano a sfruttare per intero la deduzione.
Caso B – REDDITO MEDIO (35.000 €). Prima: imponibile 29.000 dopo la deduzione, risparmio proporzionato all’aliquota media. Con la nuova detrazione, beneficio fisso di 1.320 euro. Qui, in molti casi, la riforma comporta una perdita netta di 300–500 euro all’anno rispetto al vecchio sistema.
Caso C – Reddito alto (60.000 €). Prima: imponibile ridotto a 54.000, risparmio più consistente (anche oltre 2.000 euro). Oggi: detrazione fissa 1.320 euro. La perdita è evidente e più importante.
IMPORTANTE FATE ATTENZIONE!
Il cambio di logica porta con sé un effetto politico chiaro: i redditi alti perdono, i redditi bassi restano quasi invariati o in alcuni casi guadagnano, i redditi medi oscillano ma in media perdono qualcosa. Da qui la narrazione del governo: un sistema più giusto, che non premia più solo chi ha tanto da spendere.
Ma questa è solo una parte della storia. Perché la riforma introduce anche un vincolo territoriale: la detrazione vale solo per le spese fatte a San Marino.
E qui il discorso si complica.
Immaginiamo un pensionato che vive a San Marino ma che fa gran parte della spesa in Italia, magari per abitudine o perché trova prezzi più convenienti. In passato, anche quelle spese, se tracciate con SMaC, potevano essere dedotte. Oggi no: per ottenere la detrazione bisogna spendere nel territorio. Questo, nelle intenzioni del governo, è un modo per stimolare i consumi interni e sostenere i commercianti locali. Ma per i cittadini può trasformarsi in una costrizione: o spendi qui, o perdi il beneficio.
E ancora più complicata è la situazione dei frontalieri. Chi lavora a San Marino ma vive in Italia spende la maggior parte del suo reddito fuori confine. Per loro, la possibilità di accumulare spese SMaC in territorio potrebbe essere limitata. Significa che il beneficio della detrazione sarà ridotto o quasi nullo se spende fuori ma moltissimi se non tutti spendono in territorio. Il Comitato Sindacale Interregionale ha già denunciato questa disparità, parlando di discriminazione e chiedendo un tavolo tecnico con il governo. Non credo sinceramente che però sia così in quanto hanno il beneficio di lavorare a San Marino con un stipendio notevolmente più alto ed è giusto che debbano concorrere all’economia nazionale, ovviamente questo è solo un mio punto di vista che per ora tengo per me ma che alla fine di questa inchiesta espliciterò in maniera esaustiva.
Non sorprende però che i sindacati abbiano reagito con durezza. Nelle assemblee e nei comunicati parlano apertamente di “riforma iniqua”, di “attacco all’unità dei lavoratori”, di provvedimento che colpisce proprio dipendenti e pensionati, cioè la parte di popolazione che ha meno strumenti di elusione e più rigidità nei consumi. Per loro, trasformare la SMaC in una detrazione fissa significa erodere ulteriormente il potere d’acquisto, già compromesso da salari fermi e inflazione crescente.
Il governo, dal canto suo, difende la scelta senza esitazioni. Il Segretario Marco Gatti ha più volte ribadito che l’impatto medio per i cittadini sarà “limitato”: cinque, dieci, al massimo quindici euro al mese. Una cifra che – nelle parole del Segretario – non dovrebbe spaventare nessuno, a fronte di un gettito aggiuntivo stimato in circa venti milioni di euro l’anno.
Anche qui occorre fare chiarezza. Quando Gatti parla di un impatto medio di 15 euro, la parola che comanda davvero è proprio quel medio. Che cosa significa? Che la cifra non è uguale per tutti, ma rappresenta una media aritmetica: ci saranno contribuenti che quasi non sentiranno differenze, soprattutto tra i redditi più bassi e quelli medio-bassi, e altri che invece vedranno aumenti più consistenti. In pratica, chi ha un reddito medio potrà cavarsela con pochi euro in più, mentre chi dichiara redditi alti dovrà sostenere una quota sensibilmente maggiore. È qui che sta la logica della riforma: alleggerire i più deboli e far pagare di più a chi ha una capacità contributiva superiore. In sostanza, la manovra grava soprattutto sui redditi alti, e da questo punto di vista il ragionamento di Gatti può anche avere una sua coerenza.
Un tesoretto che, secondo l’esecutivo, diventa indispensabile per garantire la stabilità finanziaria dello Stato e per mantenere credibilità internazionale. Ma qui si apre un punto delicatissimo: questa riforma non nasce soltanto da una scelta autonoma del Paese, bensì sembra configurarsi come una condizione posta dal Fondo Monetario Internazionale, lo stesso organismo che negli ultimi anni ha più volte sollecitato San Marino a rafforzare i propri conti pubblici.
In altre parole, più che una decisione libera, pare una vera e propria imposizione di una entità sovranazionale. Ed a me cominciano ad alzare i bollori. Ed è lo stesso meccanismo che abbiamo già visto all’opera sull’Accordo di Associazione con l’Unione Europea: pressioni esterne che dettano la linea a un piccolo Stato sovrano. Personalmente, considero questo un vincolo inaccettabile, una cessione di una cessione di autonomia decisionale, un’imposizione che però, paradossalmente, potrebbe anche normalizzare le entrate fiscali facendo una cosa corretta come quella di fare pagare di più a chi guadagna di più.
Le opposizioni, invece, contestano sia il merito sia il metodo. RETE parla di riforma “inemendabile”, da ritirare. Domani Motus Liberi accusa il governo di mancanza di trasparenza e di confronto. Repubblica Futura denuncia l’incoerenza: da una parte si chiedono sacrifici ai cittadini, dall’altra si aprono spese per progetti di dubbia utilità.
La verità è che, al di là degli slogan, il passaggio da deduzione a detrazione non è solo un aggiustamento tecnico, ma una svolta culturale. Significa cambiare il modo in cui lo Stato riconosce il contributo del cittadino: non più “ti tolgo dall’imponibile ciò che hai speso”, ma “ti do un bonus uguale a tutti, purché tu spenda qui”. È un cambio di filosofia fiscale.
E come tutti i cambi di filosofia, divide.
Per qualcuno è giustizia redistributiva; per altri è un inganno, un modo elegante per togliere soldi dalle tasche di chi contribuisce di più, senza migliorare davvero l’equità.
Quello che è certo è che il nuovo sistema avrà effetti concreti: su come le famiglie programmano le spese e su come i frontalieri percepiscono il loro trattamento fiscale.
Questo primo capitolo voleva spiegare, con esempi e paragoni, cosa significa davvero passare da deduzione a detrazione.
Nelle prossime puntate entreremo più nel dettaglio degli altri aspetti della riforma: scaglioni, aliquote, auto e moto, fringe benefit, misure per le imprese e contrasto all’evasione. Perché, come vedremo, la partita non si gioca solo sulla SMaC: ma è da qui che tutto parte, ed è qui che si concentra la polemica più accesa.
Spero di non avervi annoiato. Certo, la questione dell’Accordo di Associazione resta ben più entusiasmante, ma anche questa riforma tocca la vita concreta di tutti noi.
Cordialità,
Marco Severini – direttore GiornaleSM