San Marino. La nuova sfida di Carisp: riuscirà a chiudere con la pesante eredità di Delta? … di Alberto Forcellini

Dici DELTA e subito pensi all’ascesa e all’eutanasia di un gruppo finanziario che, una dozzina di anni fa, occupava uno dei primi posti sul mercato italiano per il credito al consumo. In mezzo, la Cassa di Risparmio, che sulle macerie di Delta ha rischiato di fallire. Ad essere sinceri, a stringere il cappio sono state le scelte sbagliate e inopportune del governo di Adesso.sm.

Ma andiamo per ordine. Il Gruppo Delta era una galassia di circa 25 società. Indirizzato a fornire prestiti per il credito al consumo, aveva a disposizione: le proprie finanziarie, diverse società di servizio, l’istituto bancario SediciBanca, l’assicurazione Bentos. Il socio di riferimento di Delta era la società Onda, che deteneva il 49,9% del capitale azionario dell’intero gruppo. A sua volta, Onda era detenuta da Estuari, management company, una società composta dai 20 manager del gruppo, che a sua volta controllava il 76% di Onda. Al di là di altre quote minoritarie, il resto del pacchetto di Delta era detenuto da Cassa di Risparmio (29,9%), dal gruppo Sopaf (15%) e dall’ex Ad di Cassa, Mario Fantini, oggi defunto (4%). Insomma, Delta era una sorta di scatola cinese dove dentro alle varie società c’era sempre Cassa, tanto che alle fine era proprietaria dell’80 per cento circa delle quote. Nel 2018 si scatenò una tempesta perfetta: le indagini della Procura di Forlì, che l’anno dopo portarono alla decapitazione di Cassa e di Delta, i cui vertici furono messi in manette; la crisi finanziaria mondiale. A quel punto divenne sempre più difficile per Carisp finanziarie Delta, la qualcosa, unita ai difficili rapporti con Bankitalia, provocò il collasso di entrambe le realtà. Le cronache indicano, per San Marino, una perdita di 4 miliardi di euro più il crollo della credibilità.

Per anni a San Marino si è parlato del recupero dei crediti Delta, delle promesse mai mantenute dei vari governi che si sono succeduti, e dell’immensa mole di NPL (crediti non performanti) che ha ammorbato per anni il bilancio. Finché il governo Celli – Renzi – Zafferani, decise di venderne un intero pacchetto per un valore nominale di oltre 2 miliardi, senza ricavarne sostanzialmente nulla di buono per la banca. Storia vecchia, scritta e riscritta.

Purtroppo non è finita, perché Delta è ancora lì, e continua a perdere soldi, diversi milioni all’anno, a causa del mancato contenimento dei costi. Che ovviamente ricadono sul bilancio di Cassa, che ora è di proprietà pubblica. La quale Cassa, come si sa, ha avuto parecchie altre traversie. Così, il nuovo governo, in carica da un anno o poco più, si trova ancora sul groppone sfide imponenti, cioè chiudere la situazione. Perché non è accettabile, né sostenibile che Carisp dirotti le sue risorse in un pozzo senza fondo con altri prolungamenti tipicamente sammarinesi, nuovi sperperi e nuove insensate azioni.

Da quello che si è riusciti a ricostruire tramite le cronache, c’è la necessità di chiudere le garanzie fideiussorie rilasciate in Banca Popolare dell’Emilia Romagna e c’è la necessità che Cassa di Risparmio possa gestire quel po’ che resta dei crediti. Tra questi, i famosi crediti delle ASL italiane, che non sono NPL, ma crediti fruttiferi che generano anche interessi attivi attorno all’ 8 per cento. Sarebbe importante per Carisp gestirli internamente in un’ottica di risparmio di costi e di burocrazia.

C’è poi il buco nero della River Holding, che fagocita altri milioni di euro dal bilancio Carisp. Cercando sul web, si viene a sapere solo le seguenti specifiche: Delta Spa/Carifin Italia Spa in liquidazione / Plusvalore Spa in liquidazione / Adale Sistemi Srl / River Holding Spa / Holding Reti Spa in liquidazione / Detto Factor Spa in liquidazione. Sul sito della River Holding si legge: società soggetta a direzione e coordinamento della Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino SpA, sede a Bologna, detenuta al 95 per cento da Delta, ultimo bilancio depositato nel 2019, capitale sociale invariato dal 2017.

Basta leggere solo queste poche cose per capire che è giunto il momento di ridurre le società ormai decotte, che non hanno futuro e che generano solo disavanzo. Visti i tempi difficili, ce la farà Carisp ad affrontare un’altra sfida come questa? Il nuovo CDA ha dato già prova di saperci fare (vedi l’articolo sull’Espresso della settimana scorsa) e di avere le competenze giuste per affrontare il ginepraio. Ma le variabili sono davvero tante. In ogni caso, anche chi non mastica di alta finanza, sa perfettamente che, una volta superata l’emergenza pandemica, il mercato decollerà di nuovo. Ma solo chi avrà stoffa da tessere, potrà davvero confezionare molti abiti nuovi e belli.

a/f