Con la riapertura delle attività, dei servizi, delle imprese, molte delle quali hanno subito restrizioni ma non hanno mai chiuso, il tema del lavoro è uno di quelli di maggiore attualità, per una serie di motivi. Su tutti, la disoccupazione. I dati odierni sono sconfortanti: a pagare il prezzo più alto di un anno e mezzo di emergenza sanitaria, sono stati soprattutto i giovani e le donne, i quali rischiano di essere segnati dalla crisi per tutta la vita lavorativa. Su un totale di 1287 disoccupati (dati aggiornati a dicembre 2020), per la fascia di età che va dai 19 ai 29 anni, sono 381 i giovani senza lavoro, con un tasso del 29 per cento, che risulta essere uno dei più alti dell’area europea.
La struttura del lavoro post pandemia, è molto cambiata: tanti lavori non ci sono più, altri sono cresciuti a dismisura, per contro ci sono tanti posti vuoti che nessuno vuole riempire e tante professionalità specializzate assolutamente insufficienti sul mercato.
A fronte di queste nuove problematiche, è prioritario: 1) conformare la libertà di impresa con il costo del lavoro, senza scaricare tutto sulle spalle dello Stato come in tempi passati, quando l’attività privata era eccessivamente protetta; 2) stabilire modalità flessibili e dinamiche sul terreno della domanda e dell’offerta.
Siamo di fronte ad un cambio di paradigma che, tra le altre cose, vede sempre più traballante il mito del posto fisso, ancora ben incrostato in molte mentalità. Le aziende sono soggette ad evoluzioni molto veloci e gli stessi giovani, che spesso hanno competenze multidisciplinari, sono sempre in cerca di qualcosa di nuovo, di stimolante professionalmente ed economicamente.
Già il post pandemia ha portato novità, una specie di piccola eredità positiva. Poca roba, ma che nel clima di precarietà complessiva che si respira nel mercato del lavoro, aiuta se non altro a trasformare la crisi vissuta in una qualche forma di opportunità. Qualche esempio: lo smart working, ormai pienamente sdoganato; il sistema valutativo più efficace; più talenti sul mercato delle competenze.
La ripartenza è sicuramente caratterizzata da due fattori: la voglia delle imprese di ripartire e la difficoltà della riapertura in quello che è ancora un periodo di incertezza. Le difficoltà principali sono di due tipi: economico ed organizzativo. Perché le imprese non solo devono fare i conti con i danni subiti a causa del periodo di stop, ma devono anche riorganizzare il proprio modo di lavorare sia in funzione delle norme di sicurezza sanitaria, sia in funzione di come sono cambiati gli schemi organizzativi delle altre imprese con cui collaborano, o del consumatore stesso, che oggi non segue più i comportamenti abituali. Altro problema, non meno importante, le risorse umane: molti posti di lavoro in questo periodo continuano a vacillare e le aziende rischiano di non riuscire a garantire una stabilità alle proprie risorse a causa del danno economico subito
Oggi si parla di “politiche attive del lavoro” una sigla che racchiude il sostegno all’occupabilità e al reddito, ma anche all’orientamento e alla formazione. Un insieme di pratiche che però non portano risultati immediati, sono processi lunghi, da perseguire con costanza.
Va da sé che, in un tale contesto, non serve a nulla lo scontro ideologico, il ricatto o la minaccia di sciopero, stile anni ’70 / ’80. Sindacati, industria e politica sono chiamati ad uno sforzo di comprensione, non di rivendicazione, perché l’obiettivo non è la vittoria dell’uno sull’altro, ma un impianto normativo che sia garantista per tutti, soprattutto per i lavoratori, ma anche per il sistema economico.
Molto riduttivo fermarsi alla critica sul metodo, mettendo in secondo luogo i contenuti. Dialogo e confronto sono sicuramente importanti in un sistema democratico, ma le scelte spettano alla politica, nella fattispecie al governo. Non ai tribuni che arringano le piazze, che sembrano volersi sostituire agli attori politici
È questo il cambio di passo che si aspetta dalla riforma del lavoro nell’era post pandemica: la consapevolezza che ogni attore deve avere del suo ruolo per un obiettivo comune, che interessi i lavoratori e, insieme a loro, lo sviluppo di tutto il paese. Occorre rappresentare un lavoro che vive cambiamenti velocissimi, stipulando accordi e rinnovando contratti, ma svolgendo anche un ruolo capace di affermare un nuovo modello sociale in grado di accompagnare le trasformazioni.
a/f