San Marino. Libertà, social e un insolito allineamento fra Giudici – “Qui gatto… ci cova” la rubrica di David Oddone

Il mondo si sposta, ruota veloce. E a noi arriva soltanto una parte di quei cambiamenti.

Anche oggi il mio focus va sulla libertà di stampa, analizzando una decisione arrivata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, la quale avrà importantissime ripercussioni sulla vita di tutti noi.

Anche se ancora non lo sappiamo. E nonostante il mainstream per ora non ne parli, forse perché non ne ha colto la portata. O banalmente perché a volte ci fermiamo all’orticello di casa nostra.

Martedì, dicevamo, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha bloccato temporaneamente una legge del Texas che limita la capacità di Facebook, Twitter e YouTube di moderare i contenuti sulle loro piattaforme. Con un voto di 5 a 4, i giudici hanno accolto una richiesta d’emergenza dell’industria tecnologica per bloccare un’ordinanza di un tribunale di grado inferiore che avrebbe permesso alla legge di entrare in vigore, in attesa della battaglia legale vera e propria.

In un insolito allineamento, i cinque giudici della maggioranza sono stati il Presidente della Corte Suprema John Roberts, Stephen Breyer, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett e Sonia Sotomayor.

La giudice liberale Elena Kagan è stata raggiunta dai giudici conservatori Samuel Alito, Clarence Thomas e Neil Gorsuch, che avrebbero negato la richiesta.

Ora, spiegare la composizione della Corte Suprema, ci porterebbe via troppo tempo e spazio.

In questa sede ci limitiamo a dire che l’ordine della Corte Suprema è una sconfitta per il Texas. Lo Stato ha sostenuto che la sua legge, la HB 20, che proibisce alle grandi aziende di social media di bloccare, vietare o degradare post o account, non viola il Primo Emendamento.

La maggioranza non ha spiegato il suo pensiero e Kagan non ha esposto le proprie ragioni per il suo voto a favore del mantenimento della legge.

Ma Alito ha criticato la decisione della maggioranza. Ha detto che il caso solleva controversie di “grande importanza” riguardo a una legge “innovativa” del Texas che affronta “il potere delle società dominanti dei social media di plasmare la discussione pubblica sulle questioni importanti del giorno”. Ha sottolineato di non essersi formato un “parere definitivo” sulle nuove questioni legali che derivano dalla legge, ma che non sarebbe intervenuto per bloccare la legge “a questo punto del procedimento”.

“Il Texas non dovrebbe essere obbligato a chiedere una autorizzazione preventiva ai tribunali federali prima che le sue leggi entrino in vigore” ha aggiunto.

Gli oppositori della HB 20, tra cui l’industria tecnologica, hanno invece sostenuto che la legge viola i diritti costituzionali delle piattaforme tecnologiche di prendere decisioni editoriali e di essere libere da discorsi imposti dal governo.

Lo Stato ha sostenuto che la HB 20 non viola il Primo Emendamento perché la legge cerca di regolare la condotta delle piattaforme tecnologiche nei confronti dei loro utenti.

Il caso, di portata più ampia, è visto come un campanello d’allarme per l’industria dei social media e potrebbe determinare se le piattaforme tecnologiche dovranno ridurre la moderazione dei contenuti, non solo in Texas.

Nei documenti del tribunale, i gruppi hanno definito la legge “un attacco senza precedenti alla discrezionalità editoriale dei siti web privati”. I gruppi tecnologici avvertono che “costringerebbe le piattaforme a diffondere ogni sorta di punto di vista discutibile, come la propaganda della Russia che sostiene che l’invasione dell’Ucraina è giustificata, la propaganda dell’ISIS che sostiene l’estremismo, le masse neonaziste o del KKK che negano o sostengono l’Olocausto e incoraggiano i bambini a impegnarsi in comportamenti rischiosi o malsani come i disordini alimentari”.

Mi inserisco anche io, modestamente e umilmente, in questo scontro fra titani, in cui la posta in palio è la democrazia e la libertà di pensiero.

Io credo che gli Stati Uniti potrebbero prendere esempio dall’Italia e perché no, da San Marino attraverso la nuova legge in materia voluta dal Segretario Lonfernini.

Il punto è uno e uno solo. I social media non sono prodotti editoriali.

Non c’è un Direttore responsabile che “vigila” sugli articoli e gli utenti non sono giornalisti.

Se i social fossero un giornale è chiaro che non potrebbero, né dovrebbero esserci ingerenze sulla linea editoriale.

Sarebbe ovvio ed evidente a quel punto, che a monte ci fossero delle scelte su cosa pubblicare e a chi dare spazio. E tali decisioni sono esclusivamente appannaggio del Direttore responsabile. Non dell’editore, dunque non del proprietario della testata.

Ma i social, almeno ad oggi, sono delle enormi bacheche.

Giusto evidentemente ed eventualmente intervenire su quello che potrebbe costituire grave reato (pedofilia, terrorismo, stalking etc.), ma a mio parere non sono accettabili censure preventive, piuttosto che la rimozione sistematica di contenuti che semplicemente  non rispettino il punto di vista dell’azienda.

E’ anche vero che essendo i social, come li ho definiti poco fa, “enormi bacheche”, chi ci entra firma un patto con le stesse società, che a fronte della gratuità del servizio, fanno un po’ quello che gli pare.

Ma se i social parlano e ragionano come se fossero dei prodotti editoriali, come se ne esce?

Non si possono avere solo tutele e zero doveri.

Perché a seconda di come vengono “inquadrati” Facebook, Twitter e via discorrendo, vi sono responsabilità deontologiche e regole da seguire. Oppure no.

Lo spazio è tiranno, torneremo certamente sull’argomento. La battaglia legale infatti è solo all’inizio.

David Oddone

Rubrica “Qui gatto… ci cova”