Immaginatevi il Monte Titano, con le sue torri che gridano libertà, trasformato in un bancomat sgangherato, preso a mazzate e dato alle fiamme in un falò giudiziario appiccato dal PM Fabio Di Vizio, giù a Forlì, con la benzina versata – si mormora sottovoce nei vicoli di Borgo Maggiore – da certi kapò dell’opposizione sammarinese di allora, pronti a soffiare sul fuoco per scaldarsi le mani con un po’ di vendetta politica. Un miliardo e mezzo di euro, i risparmi di una vita del nostro Titano, ridotti in cenere, mentre il fumo sale alto e il PM, con un sorrisetto da piromane, si allontana dicendo: “Ops, forse ho esagerato con la legna”.

È la storia – certo, “avvelenata”, paradossale, metaforica – dell’inchiesta “Varano”, un kolossal giudiziario durato 17 anni che ha lasciato San Marino con le tasche vuote, la Cassa di Risparmio in ginocchio e un’odissea infinita che sembra frutto di uno scherzo: tutti assolti, nessun colpevole… Era tutto un scherzo! Cari sammarinesi, preparate un bicchiere di Brugneto, di quello più buono, perché questa storia brucia in pancia più di un piatto di strozzapreti mal digerito.
Correva l’anno 2008, e un furgone portavalori con 2,6 milioni di euro in contanti, diretto da Forlì al Titano, veniva pizzicato dalla Guardia di Finanza. Da lì scattò l’inchiesta “Varano”, un tornado di accuse che travolse la Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino (Carisp), la banca del cuore dei sammarinesi, quella che per oltre un secolo ha custodito i risparmi di nonni e bisnonni.
Riciclaggio, abusivismo bancario, associazione a delinquere: un copione degno di un film di gangster, con protagonisti eccellenti – Gilberto Ghiotti, presidente di Carisp; Luca Simoni, direttore generale; Gianluca Ghini, direttore di Carifin; Paola Stanzani, consigliere – e un sistema che, secondo la Procura di Forlì, avrebbe “ripulito” 184,6 milioni di euro in assegni sospetti, con firme illeggibili, nomi di fantasia e valigette di contanti portate al Titano senza un timbro doganale.
Il processo? Un’odissea degna di un romanzo d’appendice, ma scritto sula carta igienica, forse con addirittura l’inchiosto “simpatico”, quello che scompare… Ha dell’incredibile questa storia…
Nel 2009, gli arresti e i domiciliari hanno scosso il Titano come un temporale estivo, con i riflettori puntati su figure di spicco della Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino (Carisp). Nel 2014, la Procura di Forlì trascina in giudizio 28 persone e tre enti, inclusa la nostra Carisp, con un’accusa che sembrava un copione di Hollywood: riciclaggio, abusivismo bancario, complotti da far invidia a un film su Al Capone. Peccato che, nel 2021, il Tribunale di Forlì abbia preso quel copione e lo abbia stracciato, per poi tirare lo sciacquone!, dichiarando le imputazioni così vaghe da sembrare scarabocchi su un tovagliolo da bar e far credere, almeno a prima vista, che il tutto fosse incentrato su un’indagine farlocca, orchestrata da un pool di pubblici ministeri che, con la grazia di un elefante in un negozio di cristalli, avrebbe seminato caos per 17 anni, lasciando i sammarinesi con un conto da un miliardo e mezzo di euro e in tasca solo un fazzoletto di carta, con cui asciugarsi le lacrime.
Nel 2023, 26 indagati vengono archiviati, e il 18 aprile 2025 il GIP Ilaria Rosati spegne definitivamente le luci su questa – almeno apparente a chi, come me, non è un professionista del Foro – farsa giudiziaria. Tutti prosciolti, e non perché il tempo abbia fatto il suo sporco lavoro con la prescrizione. No, signori, l’unico reato rimasto in piedi – il riciclaggio aggravato, quello che avrebbe richiesto soldi davvero sporchi e una consapevolezza da maestri del crimine – sembra non essere mai esistito leggendo i relativi decreti. Il pool di Forlì, con il suo zelo da crociati in cerca di draghi, non ha trovato né draghi né tesori nascosti, solo un sistema bancario sammarinese con qualche crepa, ma niente che giustificasse un rogo da un miliardo e mezzo. Quegli assegni con firme illeggibili? Routine di un’epoca meno digitale, non prove di un complotto. I contanti portati al Titano? Necessità di un Paese senza moneta propria, non valigie da boss mafioso.
E il costo di questa caccia alle streghe? La Commissione d’inchiesta sammarinese del 2021 ha fatto i conti: 858 milioni di euro di aiuti pubblici per tenere a galla Carisp, più 640 milioni di patrimonio storico della banca svaniti come un turista che lascia il portafoglio sulla colonnina della benzina. Un miliardo e mezzo, abbastanza per rifare il Titano in marmo di Carrara, buttati via per un’indagine che sembra uscita dalla penna di un giallista alle prime armi. Ogni sammarinese, dal bimbo di Serravalle al nonno di Faetano, ha pagato quasi 50.000 euro per questo spettacolo di fuochi d’artificio senza botto finale. E il pool di Forlì? Dopo aver acceso il falò, si è dileguato, lasciando altri a raccogliere i tizzoni ardenti con le mani nude.
Non si tratta di puntare il dito contro chi sedeva ai vertici di Carisp. Il GIP ha detto chiaro e tondo: non c’era dolo, non c’era consapevolezza di alcun crimine. Gli indagati non erano i cattivi di un film, ma professionisti intrappolati in un sistema con le sue pecche, certo, ma non in una Spectre sammarinese. Il vero scandalo, oggi, sembra essere stata l’indagine stessa, un mostro di carta che ha divorato risorse, reputazione e fiducia, senza lasciare nulla se non un buco nero nelle casse pubbliche. E noi sammarinesi, che ci vantiamo di essere la culla della libertà, ci meritiamo di sapere chi ha pagato per questo errore colossale. Non i pubblici ministeri di Forlì, che hanno chiuso il fascicolo con un’alzata di spalle. Non i kapò di allora, che magari hanno soffiato sul fuoco per giochi politici. No, il conto è arrivato a voi, con tanto di interessi.
Allora, che si fa? Si stappa un Brugneto per brindare alla fine di un falò che sa di beffa e si fa finta che un miliardo e mezzo di euro svaniti sia solo un graffio sul nostro orgoglio titanico? O si pretende che qualcuno, magari a Roma, si ricordi che quei magistrati, pagati dall’Italia, hanno lasciato San Marino con un pacco di cambiali nel cassetto?
Un tempo, la nostra classe politica – quella travolta dal caso Mazzini, da un giudice oggi a processo per presunte trame da romanzo noir e dai suoi megafoni mediatici da quattro soldi – sarebbe già stata a Roma, a battere i pugni sul tavolo di un Andreotti o un Cossiga, cercando un accordo che salvasse il Titano senza umiliarlo. Oggi? Oggi si va nella Capitale per un selfie sorridente, da sbandierare ai sammarinesi che, incantati, applaudiranno il Segretario di Stato come se avesse conquistato la Luna. “Bravo, che bella foto!”, diranno, mentre il fumo di un miliardo e mezzo resta lì, con mezza San Marino che finge di non vederlo.
Perché se la libertà è il vanto del Titano, la dignità – quella che non si piega né a Forlì né a Roma – dovrebbe essere il suo stendardo. Altrimenti, preparatevi a un altro rogo miliardario, con i soliti piromani d’oltreconfine e un bel cartello: “Non è colpa di nessuno, ma paga San Marino”. E magari, durante prossimo falò, qualcuno offrirà pure un marshmallow, tanto per addolcire la fregatura.
Enrico Lazzari