Il vero nodo che San Marino dovrà affrontare nei prossimi anni non riguarda solo l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea, ma anche l’aumento della pressione fiscale e il grave problema della crescente perdita di competitività, fenomeni già in diversi settori.
Nel futuro prossimo, ciò che realmente ci preoccuperà sarà il crescente peso fiscale e la mancanza di politiche a sostegno delle imprese più piccole, quelle che generano occupazione, innovazione e stabilità nel tempo. L’accordo, così com’è formulato oggi, rischia infatti di favorire solo un ristretto gruppo di grandi aziende, lasciando indietro queste realtà che sono il vero motore della nostra economia.
A fronte di comunicati ufficiali spesso eccessivamente ottimistici, invito a leggere il rapporto Morningstar, che evidenzia come il miglioramento del rapporto debito/PIL sia dovuto in gran parte all’inflazione, più che a reali progressi economici. Questa apparente buona notizia, infatti, nasconde un rischio concreto: l’inflazione agisce come una tassa occulta, colpendo soprattutto le famiglie più vulnerabili; allo stesso tempo, favorisce chi governa e chi fa debito. Pochi lo dicono apertamente, ma è una realtà che va evidenziata.
Inoltre, il rapporto mette in rilievo la principale vulnerabilità di San Marino: la fragilità e la scarsa diversificazione del suo sistema economico. Pertanto, il nodo centrale non è la quantità di debito, ma la necessità urgente di rafforzare il tessuto produttivo.
L’accordo UE non risolverà questi problemi. Anzi, rischia di aggravarli. Le grandi aziende, già strutturate e con filiali all’estero, potranno sfruttare nuovi vantaggi. Ma le piccole imprese dovranno affrontare una mole imponente di nuove norme europee, senza avere le risorse per adeguarsi.
A questo si aggiunge un effetto collaterale ancora più pericoloso: l’aumento della burocrazia interna. Per applicare i nuovi standard UE, sarà necessario potenziare una pubblica amministrazione già oggi troppo estesa per un Paese delle nostre dimensioni. Il risultato? Più costi, più tasse.
E quando sento dire che senza l’accordo le grandi aziende dovranno licenziare personale: è un messaggio fuorviante. Alcune di queste imprese crescono a ritmi sostenuti e operano con successo anche all’estero attraverso le loro filiali. Non dipendono dall’accordo.
Sono invece le piccole aziende ad avere davvero bisogno di sostegno per diventare più forti, competitive e internazionali. Prima dei nuovi obblighi europei, è fondamentale costruire un sistema economico che consenta a queste realtà di crescere, investire e resistere alla concorrenza.
In assenza di queste condizioni, ogni nuovo accordo internazionale finisce inevitabilmente per tradursi in uno svantaggio, piuttosto che in una reale opportunità per il nostro Paese.
Nicola Selva