Nessuno sa come si chiami, dove abiti o quale sarà il suo destino, ma un bimbo scelto a caso, nato nel sud del mondo il 15 novembre, ha portato la popolazione mondiale a superare gli 8 miliardi di persone. Nascono 141 bambini al minuto, 200 mila ogni giorno, e la data del 15 novembre è stata ribattezzato “Day of 8 Billion” dalle Nazioni Unite, una giornata celebrata a livello globale per riflettere sul futuro del nostro mondo.
Dal 1974, in soli 48 anni, la popolazione mondiale è infatti raddoppiata, passando da quattro a otto miliardi. A stupire però è il ritmo di tale crescita: secondo le stime Onu il numero degli esseri umani ha raggiunto per la prima volta le dieci cifre soltanto nel 1804. Un dato raddoppiato nel 1927 quando, dopo 123 anni, gli abitanti della Terra arrivarono a due miliardi. Ce ne vollero però soltanto 33 per crescere di un altro miliardo, arrivando a tre nel 1960, e appena 14 per raggiungere i quattro. Da allora ne bastarono prima 13 (1987), poi 12 (1999 e 2011) e ora appena 11 per aumentare ogni volta la popolazione globale di un altro miliardo di persone. Tutto ciò nonostante le guerre, le pandemie, i disastri naturali e tecnologici.
Per l’Onu, “questa crescita senza precedenti” è il risultato di un graduale aumento della durata della vita grazie ai progressi della sanità pubblica, dell’alimentazione, dell’igiene e della medicina. Ma è proprio in questi fattori che già emergono due delle sfide più significative: il progressivo invecchiamento della popolazione e la fame che colpisce tante parti del Pianeta.
Nel 2050 si prevede che la riduzione della mortalità si traduca in una longevità media mondiale di circa 77,2 anni (a San Marino, l’aspettativa di vita media tocca attualmente gli 84 anni). Allora gli ultra-sessantacinquenni saranno più del doppio dei minori di 12 anni. E qui nasce il problema delle “culle vuote” nei Paesi più industrializzati. Tra i primi 20 Paesi del mondo per calo della popolazione, secondo l’Onu, solo due non sono nel Vecchio continente e l’Italia non fa eccezione. A causa della diminuzione delle nascite, secondo l’Istat, l’Italia passerà dai 59,2 milioni di cittadini del 2021 ai 47,7 del 2070, perdendo per questo il 32 per cento del Pil. Non abbiamo proiezioni sul territorio sammarinese. Sappiamo però che le nascite annuali erano 300 /330 una ventina di anni fa, mentre ora non toccano le 200. La popolazione comunque continua a crescere grazie all’immigrazione, che da noi ha numeri molto piccoli ma che su scala europea pone ben altre riflessioni.
In pratica: culle vuote e frontiere piene. Questo è lo shock demografico dell’Europa. Per il 2050, cioè fra trentadue anni, ci saranno undici milioni di lavoratori in meno in Germania, sette in Spagna e otto in Italia. Nello stesso periodo, la popolazione dell’Africa aumenterà di un miliardo e 300 milioni, 130 milioni nel solo nord Africa. È da questi numeri e dalle condizioni di vita che nasce la spinta all’emigrazione. Secondo stime pubblicate su molti siti giornalistici, circa 2,3 miliardi di persone nel mondo, il 29,3%, vivono in condizioni di insicurezza alimentare moderata o grave e si stima che 45 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni soffrano di deperimento, mentre 149 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni abbiano deficit di sviluppo a causa di una mancanza cronica di nutrienti essenziali nella loro dieta.
Le difficoltà alimentari sono aumentate un po’ ovunque con la pandemia e la crisi energetica. Soprattutto con la guerra in Ucraina è stata dimostrata la centralità del cibo e l’importanza di garantire l’autonomia alimentare in uno scenario globale segnato da distorsioni commerciali, accaparramenti e speculazioni che mettono a rischio gli approvvigionamenti.
Un’ultima riflessione è sulla distribuzione della popolazione mondiale, che non è uniforme. A fare la parte del leone è l’Asia: su 8 miliardi di abitanti della Terra, oltre 1,45 risiedono in Cina e 1,41 in India. La terza regione più popolosa al mondo invece sono gli Usa, con “solo” 335 milioni di abitanti, seguiti da Indonesia, Pakistan, Nigeria e Brasile, tutti sopra la soglia dei 200 milioni. La “vecchia” Europa, Russia inclusa, conta 750 milioni di persone, più del doppio degli Usa, ma se un secolo fa gli abitanti europei erano quasi un terzo del totale globale oggi non superano il 10 per cento, e il dato è in discesa un po’ ovunque.
Il traguardo degli 8 miliardi è stato raggiunto nel bel mezzo della conferenza sul clima COP27 di Sharm el-Sheikh, il cui dibattito sottolinea ancora una volta le difficoltà dei Paesi ricchi, che sono i maggiori responsabili del riscaldamento globale, e dei Paesi poveri, che chiedono aiuto per farvi fronte, di accordarsi su una riduzione più ambiziosa delle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane.
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