Il giudice, l’imprenditore, la politica, il giornalista. Sembra la favola del pifferaio di Hamelin, che con il suo piffero magico attirava qualsiasi essere vivente per portarlo a distruzione. Qui di magico c’è ben poco, se non un cerchio che si chiude dietro al pifferaio e ai suoi musicisti. Dentro al cerchio: il sistema finanziario, quello bancario e quello istituzionale, tutti occupati nei loro gangli vitali per portare il Paese al default. E poi, dritto per dritto, nelle mani di qualcuno.
È la sintesi – brutale, se vogliamo – della storia dell’ultimo decennio, che ha avuto la sua apoteosi con il governo di Adesso.sm. Gli osservatori più attenti avevano colto ormai da tempo quanto stava succedendo, pur non avendone la prova provata. Più difficile, invece, la percezione da parte del cittadino che si limita a leggere i titoli di locandina (in gran parte fuorvianti) e si lascia condizionare dalle chiacchere da bar.
I segnali sono cominciati già dall’avvio del famoso “processo Mazzini” di cui solo negli ultimi tempi si è colta la portata politica, non sostenuta dalla parte giuridica. Altri indizi sono esplosi con la “vicenda titoli”, che ha gettato nel fango i vertici di Banca Centrale e da cui è scaturita l’immensa tempesta nel tribunale.
Sono migliaia e migliaia di pagine di cronaca, sulle quali è giunta la devastante realtà raccontata dalla relazione della commissione su banca CIS. Che finalmente ha squarciato il velo del tempio sulle collusioni tra l’imprenditore, la politica, il tribunale. Mancava un tassello, quello del giornalismo, che serviva a dirottare l’opinione pubblica da una parte piuttosto che dall’altra; che alimentava i processi mediatici sugli oppositori di quel sistema e sui non allineati.
I giornalisti sono stati sempre inquisiti, rinviati a giudizio e magari anche condannati. Bisogna sempre entrare nel merito delle varie vicende: c’è chi viene condannato perché ha rubato una mela e chi perché ha svuotato il caveau di una banca. Oggi vanno di moda le querele per diffamazione a mezzo stampa. Difficile trovare un giornalista che non ne abbia ricevuta almeno una.
Quindi perché stracciarsi le vesti se qualcuno è stato rinviato a giudizio? Non c’è nessuna limitazione al diritto di libertà di stampa. Che in ogni caso – è sempre bene rimarcarlo – non significa pubblicare tutto ciò che arriva sul desk, o come giustificazione per affermare una giustizia prêt-à-porter. E poi, non tutti i giornalisti sono “anime belle” come si può evincere dall’elenco dei giornalisti inquisiti negli altri Paesi.
Dice Giovanni Bianconi, una delle firme più autorevoli nel panorama della cronaca giudiziaria italiana: “La cronaca giudiziaria è l’unico settore davvero trasversale, che sconfina in tutti gli altri; può diventare, all’occorrenza, cronaca politica, cronaca sportiva (a seconda che la notizia riguardi un politico o un personaggio sportivo), o anche mero gossip, oppure riguardare gli affari esteri: basti pensare a quanto accaduto di recente in Francia, con l’avvenuta cattura dei terroristi politici. La verità è che la giustizia entra ovunque, è quasi un rumore di fondo della società che si racconta.”
Ovviamente, quando si fa cronaca giudiziaria, come in qualsiasi altro tipo di cronaca, le regole deontologiche sono ferree e non ammettono nessuna deroga. “Con le parole si fanno le cose” diceva il filosofo e linguista John L. Austin, le parole diventano cose quando vengono pronunciate o scritte. Un insieme di regole e di principi, ovvi e di buonsenso, che ciascun giornalista è tenuto a osservare nel rispetto del codice deontologico. Allora la domanda è: questi principi sono stati sempre osservati e rispettati?
Non sta a noi rispondere, ma alla giustizia. Che deve fare il suo corso. Anche perché il clima sta veramente cambiando, nel senso che l’esigenza di cambiamento, di rinnovamento e di garanzia nel bilanciamento di poteri dello Stato, sta prendendo corpo nel pacchetto di leggi appena passato in Consiglio per la prima lettura.
Le nuove leggi incidono su più fronti, tra cui una chiara divisione e individuazione degli organi del potere giudiziario, con indicazione tra magistrati di carriera e quelli a specifico incarico, e la revisione dell’ordinamento giudiziario. Si definisce e si specifica in maniera puntuale chi sono i magistrati di carriera, privilegiando il percorso professionale con formazione continua. Sono delineate anche le competenze del Procuratore del fisco perché è chiarito il suo ruolo come garante della regolarità del processo, con il compito di vigilare sulla correttezza formale degli atti e sull’applicazione della legge. Viene poi regolamentato il reclutamento dei giudici, individuando requisiti e incompatibilità. Altro aspetto importante è la responsabilità disciplinare. Oggi lo Stato prevede solo l’azione di sindacato, la nuova legge introduce un’importante innovazione con l’elenco di sanzioni disciplinari e un procedimento più articolato. Altro elemento cardine è legato al consiglio giudiziario, che viene riconosciuto come organo di indipendenza della magistratura.
Queste sono solo pillole di riforma, per esigenze di spazio, naturalmente. Eppure, di fronte ad una svolta finalmente epocale, l’opposizione si ferma alle considerazioni di metodo, non toccando, o quasi i contenuti. Ma se c’è ancora gente, in quei partiti, che difende Buriani, Grandoni e tutti i loro accoliti, giornalisti compresi, si buon capire che per loro il vero grosso problema è una giustizia che funzioni.
a/f