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  • San Marino. Sammarinese era stato accusato di aver ridotto in fin di vita il figlioletto di due mesi: invece era malato

    La gioia più grande, la nascita di un figlio. Poi all’improvviso l’angoscia, qualcosa di terribile e oscuro che lo colpisce quando ha appena due mesi, la corsa in ospedale, il tentativo disperato di salvarlo. I medici angeli che lo restituiscono alla vita. Nessun prezzo è troppo alto se c’è un conto da pagare. E il prezzo è un biglietto che ti spedisce dritto all’inferno. Per fortuna non è di sola andata. E’ la storia di un giovane padre sammarinese che durante una piccola vacanza nelle Marche con la sua famiglia per visitare i genitori della moglie, ha vissuto un incubo spaventoso che dura da quasi due anni ma che potrebbe concludersi presto. Ne abbiamo ripercorso la storia parlando con il suo legale, l’avvocato Andrea Guidi di Rimini. “La situazione è molto semplice – ha spiegato – i genitori del bimbo di due mesi erano andati a trovare i nonni, una mattina il padre si accorge che il bambino aveva dei tremori, la moglie faceva la doccia, dopo poco gli episodi si ripresentano, l’ultimo in forma molto grave e il bambino viene portato all’ospedale e trasferito al Salesi di Ancona. Qui gli viene fatta una diagnosi dove si identifica la situazione del bambino come una possibile sindrome da scuotimento e nell’occasione si verificano anche microfratture agli arti che apparentemente corroborano una situazione di violenza e maltrattamenti. Il che non è compatibile con quel che dichiarano i genitori che dicono che il bambino non è caduto, che non è stato scosso, che non è scivolato. Si apre allora un procedimento davanti al Tribunale dei minorenni di Ancona, viene sospesa la patria potestà ad entrambi i genitori e il bimbo viene affidato ai servizi sociali e accolto in una casa famiglia di Ascoli (perché entra in campo il diritto internazionale essendo coinvolto un sammarinese) dove viene data la possibilità alla madre di risiedere con lui e al padre di visitare entrambi solo una volta al mese e durante incontri protetti. Nessuno dei familiari ha mai sospettato che il padre potesse aver alzato le mani e maltrattato il piccolo. E’ allo stesso padre che viene in mente che da piccolo gli capitava spesso di subire immotivate fratture. E’ dopo il riferimento di queste circostanze che si decide di indagare a livello genetico. Si scopre così che il bimbo è affetto da una sindrome che comporta la mutazione del collagene. Una scoperta recente che ha portato all’archiviazione del procedimento. Ora abbiamo presentato istanza di revoca del provvedimento con cui è stata sospesa la patria potestà e la revoca dell’affidamento ai servizi sociali”. La speranza è che questa famiglia che è stata ingiustamente divisa per due anni possa finalmente riunirsi e tornare a casa. E’ infatti questo il solo desiderio dei genitori del bimbo che ora ha quasi due anni. Essi nonostante tutto nutrono nei confronti dei medici un sentimento di immensa gratitudine per aver salvato il figlioletto quando era in condizioni disperate. “E’ solo esaminando le carte – ha detto l’avvocato – che si potrà eventualmente accertare se c’è stato un eccesso di tutela da parte dei medici e se in maniera ingiustificata hanno formulato la diagnosi che ha portato alla revoca della patria potestà. Io ricordo un caso di scuola: un padre che era stato accusato di violenze sessuali anali nei confronti della figlia e poi si è scoperto che aveva un tumore al retto. I miei clienti sono grati ai medici che hanno salvato il bimbo. Ora la priorità è tornare a casa”. Non si possono nemmeno immaginare i sentimenti di chi si sente attribuire colpe così orribili e contrarie alla natura umana. Sappiamo però che è una ferita che non cicatrizzerà mai. E tuttavia questo padre e questa madre che riescono a far prevalere il sentimento della gratitudine a quello della rabbia per aver subito un’ingiustizia è una lezione infinita che a tutti noi converrebbe apprendere.

    Repubblica Sm