San Marino. “Settimana corta” di lavoro a parità di orario “rilanciata” da Libera: tanti “pro”… E, purtroppo, anche preoccupanti “contro”

Enrico Lazzari

Come avrete capito leggendo i miei interventi passati, non mi piace fermarmi alle apparenze ma andare nel profondo di fatti e situazioni, così da comprenderne appieno il senso e gli effetti che questi potrebbero determinare. Fare ciò, inoltre, aiuta ad esprimere delle valutazioni e dei pareri immuni dai condizionamenti culturali, sociali ed ideologici che, in analisi superficiali, possono “traviare” e far giungere a conclusioni -diciamo- inquinate.

Premesso ciò, arriviamo alla situazione che intendo approfondire, con voi, oggi: la cosiddetta “settimana lavorativa corta”, riportata di attualità sul Titano da un articolato intervento fatto ieri (leggi qui) da Libera, espressione -almeno nelle sue “anime” interne dominanti- più rappresentativa sul Titano di quella sinistra che rappresenta l’evoluzione liberal ed europeista del vecchio Partito Comunista Sammarinese.

Ognuno, fra voi che state leggendo questo approfondimento- in questo momento avrà una sua posizione ben definita fra l’essere favorevole o l’essere contrario. Ma quante di queste posizioni è realmente razionale, perchè basata sulla “asettica” valutazione dei “pro” e dei “contro”? Non so… Ma di certo non tutte. Non intendo fornirvi, oggi, la mia opinione in materia, ma darvi dati certi o esiti di studi e analisi autorevoli su cui ognuno potrà, poi, costruire una sua opinione razionale, non inquinata da elementi soggettivi come l’ideologia, il ceto sociale o la condizione lavorativa.

Infatti, l‘impatto di una simile “innovazione” sarebbe enorme sia dal punto di vista sociale che economico, pertanto la sua validità o negatività andrebbe valutata non sul singolo individuo, sul singolo professionista o sul singolo lavoratore dipendente, ma sull’intera società e realtà statuale.

Ma cosa intende Libera quando parla di “settimana corta”? “La settimana corta, nota anche come settimana lavorativa di quattro giorni -spiega il partito di Matteo Ciacci- è una proposta innovativa, che sta catturando sempre più l’attenzione nel mondo del lavoro; l’idea è semplice ma rivoluzionaria: ridurre il numero di giorni lavorativi in una settimana, mantenendo comunque la stessa quantità di ore lavorative”.

Patiamo dall’analizzare i “pro” e i “contro” che questa nuova organizzazione dell’orario di lavoro potrebbe avere sui lavoratori nonostante il rapporto lavoro-tempo libero resti immutato, ma solo diversamente distribuito nell’ottica di una maggiore concentrazione delle due condizioni.
Dal punto di vista economico il vantaggio sarebbe palese, visto il risparmio quantificabile nel 20% dei costi di trasporto e di eventuale trasferta.

Più contenuta e incerta, invece, la ricaduta positiva in termini di stress, serenità e vita familiare. Difatti, se è innegabile che un giorno libero in più a settimana permetterebbe di godere di un blocco temporale più ampio da dedicare al relax, alla famiglia, ai figli o ai propri hobby ed è altrettanto vero che un giorno lavorativo in meno potrebbe rendere più facile bilanciare gli impegni personali con quelli lavorativi, determinando una riduzione dello stress e quindi migliorando la condizione mentale e fisica, è altrettanto vero che il tempo libero nei quattro giorni lavorativi restanti verrebbe poi ridimensionato, alimentando a sua volta stress e riducendo la serenità mentale. Comunque, studi prodotti in tal senso evidenziano un miglioramento nel suo complesso dei rapporti propri della vita familiare -non considerevolmente del lavoratore in sé, ben inteso- con la cosiddetta “settimana corta”.

Preoccupanti, invece, i “contro”, almeno alcuni di essi. Prima fra tutti la maggiore stanchezza e decontrazione che un orario di lavoro più lungo determina nel lavoratore, con un preoccupante ricaduta negativa in termini di sicurezza sul lavoro. E ciò non appare un aspetto trascurabile, visto che la perdita di concentrazione aumenta esponenzialmente e non linearmente con il passare delle ore.

Perdipiù, un orario giornaliero di lavoro più lungo, determinerebbe un minor tempo per adempiere agli impegni extralavorativi e familiari quotidiani, con relativa ricaduta negativa in termini di stress.

Forse, nonostante i “pro” non manchino neppure per i lavoratori, a beneficiare di più di questa innovazione sembrerebbero essere le aziende che, generalmente ma non in tutti i casi, vedrebbero ridursi i loro costi operativi determinarti da minori “tempi morti” della produzione che, a parità di ore, non subirebbe alcun calo, al pari della produttività. Anzi, un lavoro più continuativo andrebbe addirittura ad aumentarla, almeno teoricamente.

Anche per le aziende, però, l’innovazione incarna aspetti che potrebbero trasformarsi in minaccia. E torniamo al calo di concentrazione e stanchezza maggiore ad un orario di lavoro più breve che può determinare una minore sicurezza sul lavoro (seppure la vittima sia il lavoratore ciò ha un costo enorme anche per l’azienda) e un caduta di qualità della produzione.

Ecco, a grandi linee, i “pro” ed i “contro” della “settimana corta” senza riduzione di orario di lavoro, così come proposta da Libera per il mondo del lavoro sammarinese… Vi sembra una strada che sarebbe saggio percorribile? O, invece, la ritenete deleteria e peggiorativa nel suo complesso?

A mio parere, se gestita correttamente e rivalutata dopo un periodo sperimentale, la settimana lavorativa più corta a parità di orario lavorativo con la settimana “lunga” attuale, potrebbe portare a benefici sia per i lavoratori che per le aziende, ma è importante considerare attentamente le implicazioni negative e le sfide specifiche che potrebbero presentarsi in ciascun contesto o azienda.

Enrico Lazzari

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