La Repubblica più piccola e più antica del mondo manda un messaggio forte, determinato, unanime per dire no alla guerra, sì agli aiuti in favore degli sfollati e sì alle deliberazioni che prenderà la comunità internazionale contro la Russia.
È un passaggio storico non solo perché la guerra mette fine all’endemica belligeranza tra le forze politiche, ma soprattutto perché la famosa “neutralità attiva” di San Marino, cambia pagina. Ci sia permesso qualche sofisma. Già di per sé questa frase “neutralità attiva” è un ossimoro perché la neutralità impone solo l’affermazione della pace, del disarmo e dei diritti umani. Ciò non ha impedito a San Marino, in questi ultimi 30 anni, di intessere relazioni e accordi con la Cina, con Cuba e perfino con la Russia. Altri paesi in tempi di guerra fredda decisero di essere più o meno neutrali, si pensi ad esempio alla Finlandia, stato “cuscinetto” tra il blocco sovietico e quello atlantico.
In una situazione terribile come quella attuale, neutralità attiva potrebbe significare creare le condizioni per un ruolo terzo di mediazione che preveda l’abbandono di ogni opzione militare e il mantenimento di misure volte a proteggere i civili. Eppure, di fronte alla minaccia di una guerra nucleare, anche la Svizzera e le sue banche hanno abbandonato i loro settecento anni di neutralità. La Svizzera di Heidi, dei boschi, degli orologi e della cioccolata ha inferto le sue sanzioni e ha congelato i conti bancari dei paperoni russi.
Bene ha fatto dunque San Marino ad allinearsi all’Europa e alla Nato nelle sanzioni contro la Russia, e ad armonizzare la legislazione interna a quella internazionale. Non sarebbe pensabile infatti che qualche mezzo aereo o navale battente bandiera sammarinese possa superare la chiusura degli spazi aerei e marittimi imposti ormai da tutti i paesi europei ai mezzi russi. E poi c’è il problema delle badanti, che ora non sono più vincolate ai rientri in patria e possono fermarsi in Repubblica tutto il tempo necessario. Sugli aiuti materiali e l’ospitalità agli sfollati è stata disposta una cabina di regia per coordinare le mille iniziative che stanno fiorendo in tutto il territorio, sia per la raccolta fondi, sia per la raccolta di materiali da inviare al popolo ucraino. Anche qui, infatti, le parole vanno usate come il bisturi. Non è pensabile far arrivare a Kiev un camion carico di scatolette e pannoloni, di farmaci e di coperte, né andare a prendere i profughi con un pullman. Il tutto dovrà passare attraverso organizzazioni internazionali e paesi, come la Polonia, che sin dal primo giorno svolgono questo ruolo.
Molto interessante dal punto di vista politico il comma straordinario che ieri mattina è stato dedicato dal Consiglio alla crisi ucraina e i suoi drammatici sviluppi. Un grande momento di confronto parlamentare, perché il governo è più forte se ha dietro di sé il Paese. E il Paese è più forte se ha dietro di sé un governo che lo rappresenta e che dovrà essere capace di dimostrare solidarietà anche dopo, e anche al di là delle emozioni del momento contingente. Per questo sorvoleremo sui distinguo che comunque qualcuno ha voluto sottolineare.
Oggi infatti a soffrire non c’è solo il popolo ucraino sotto le bombe, i missili e la minaccia nucleare. C’è anche il popolo russo, stretto in una morsa inflattiva che non ha precedenti. Il rublo a picco, le Borse chiuse da due giorni sono il segnale di un’economia a pezzi. Ma un altro segnale incredibile viene proprio dal popolo, cittadini semplici che insieme ad una nutrita schiera di personaggi pubblici, artisti, sportivi e perfino magnati russi, firmano petizioni per il cessate il fuoco. Un fatto senza precedenti, che avrà comunque un grande significato nel Paese delle “purghe”, di fronte a un leader che ha appena inaugurato, con accurata preparazione, la via della “sovranità limitata”. Cioè tutto ciò che sta intorno a me, deve essere sotto la mia influenza.
Cortei, bandiere, petizioni, aiuti umanitari in un afflato solidaristico continentale ci insegnano qualcosa mentre le bombe continuano a cadere, Kiev praticamente accerchiata, e la trattativa diplomatica procede a singhiozzo. Ci dicono che bisogna lasciare a Putin una dignitosa via d’uscita. Altrimenti dovremo aspettarci il peggio.
a/f