Si andrà a votare per il referendum sull’interruzione volontaria di gravidanza. La politica non è stata capace, in tanti anni, di trovare un minimo di accordo neppure su un’istanza d’arengo, che è stata respinta giovedì scorso dal Consiglio. Un caso sintomatico, che rivela quanto il Palazzo sia distante dal sentimento popolare.
L’aborto, infatti, per quanto sia un argomento estremamente divisivo, ormai travalica le ideologia di destra e di sinistra, quelle cattoliche e quelle laiche, perché è una questione che attiene alla libertà di coscienza e alla libertà di espressione della cittadinanza. Nel caso in cui una donna si trovi nelle condizioni di dover scegliere, non può essere il prete a dirle cosa deve fare (minacciando l’inferno), e neanche il partito. Lo Stato, se è laico e democratico, non teocratico o dittatoriale, ha il dovere di fornire gli strumenti per la libera scelta: sia che la donna decida di abortire (il che va fatto in condizioni di sicurezza e di supporto fisico, morale e sociale); sia che decida di affrontare la gravidanza pur trovandosi in condizioni di difficoltà.
Insomma, è davvero il caso di uscire da quell’aura al limite del patetico, se non proprio trash, che descrive “l’olocausto degli innocenti”, o “l’assassinio di una vita”. È ora anche di uscire da quella dimensione che descrive l’aborto come strumento di contraccezione. Non siamo più nel Medioevo. Una legge estremamente punitiva è invece da Medioevo, da caccia alle streghe, da Santa Inquisizione che si dileggia sulla colpevolezza della donna.
Mantenere la qualifica di reato penale, per l’aborto, non significa favorire le nascite perché oggi, le persone, le coppie, riescono a pianificare la nascita di un figlio. Difficilmente si affidano al caso o si lasciano prendere dall’imprevisto. Per contro, una gravidanza indesiderata è spesso frutto di condizioni che non sta a nessuno giudicare. Anzi, sono proprio i casi in cui la donna va sostenuta, aiutata, seguita a scegliere liberamente cosa fare e nessuno dovrebbe sentirsi in diritto di instillarle il senso di colpevolezza.
Una firma per il referendum, un sì per il referendum, non vuol dire che i cittadini siano a favore dell’aborto. Usciamo da questo falso manicheismo. Essi sono favorevoli alla sua depenalizzazione perché ogni persona, in primis la donna, possa scegliere liberamente
La prosa morale e civile non ha mai avuto una grande fortuna nella discussione pubblica. Ci sono testi che a lungo sono rimasti sotto traccia: spesso solo un’operazione culturale volta all’uso pubblico del loro contenuto ha fatto sì che essi improvvisamente emergessero per imporsi come testi contemporanei, come strumenti capaci di esprimere efficacemente, con le parole, le metafore e l’immaginario che mettono in moto, le ansie, i dubbi, i temi del momento.
Paura della Libertà di Carlo Levi è uno di questi testi. Carlo Levi lo scrisse nel 1939 per pubblicarlo nel 1946. Il testo non ebbe un grande successo. È un libro che cade tra le seggiole. Dopo diverse avventure editoriali, nel 2018 un paio di studiosi gli danno una nuova chance. Non si sa con quanto gradimento e comprensione, perché si pone agli antipodi del senso comune. Il che ci richiama ai concetti e ai valori sollevati dal quesito referendario sull’interruzione di gravidanza. È difficile dire quanto facciano appello al senso comune di libertà e di rispetto della donna. C’è solo la speranza che ancora una volta, quest’appello non cada nel vuoto.
g/r