USL ha seguito con grande interesse, martedì 6 maggio, i lavori della Conferenza “It’s our time” organizzata da Attiva-Mente, un momento di confronto e riflessione che ha messo al centro il valore della cura e la dignità del lavoro di assistente familiare e caregiver.
Da tempo, come Sindacato, chiediamo con forza che questa figura venga finalmente riconosciuta come un vero e proprio lavoro, equamente retribuito, con adeguate tutele previdenziali e senza gravare eccessivamente sulle famiglie. Non si tratta solo di una questione occupazionale, ma di un tema che tocca in profondità i diritti, la qualità della vita e la dignità, sia di chi presta assistenza, sia di chi ne beneficia.
L’assenza di un riconoscimento pieno e strutturato ha conseguenze concrete: molte persone, pur animate da una naturale predisposizione alla cura e desiderose di trasformarla in una professione, si vedono costrette a rinunciare, perché oggi non si tratta ancora di un “vero” lavoro.
Durante la Conferenza è emersa con grande evidenza una verità spesso ignorata: nella percezione collettiva, la cura è ancora vista come un compito esclusivamente familiare. Sono soprattutto le donne – ma anche, seppur in misura minore, gli uomini – a rinunciare a lavoro e progetti personali per assistere un proprio caro. Così si consolida l’idea che non esistano alternative, mentre molte persone con disabilità vivono con
l’angoscia che, dopo la morte del familiare che si prende cura di loro, non ci sarà più nessuno a farlo. Allo stesso tempo, anche chi presta assistenza è profondamente turbato dal pensiero di non sapere a chi verrà affidato il proprio caro una volta che non potrà più occuparsene.
Eppure, sono molti i casi in cui l’assistenza prestata da figure esterne alla famiglia ha permesso alle persone con disabilità di sviluppare maggiore autonomia, indipendenza e fiducia. Per questo, regolamentare con serietà e riconoscere pienamente questo ruolo significa non solo restituire dignità a una professione fondamentale, ma anche garantire maggiore libertà a chi necessita di assistenza.
Si è parlato anche di inclusione lavorativa e di modelli virtuosi a livello europeo, come la Legge slovena del 2019, che prevede incentivi – diretti e indiretti – anche per le aziende, e la possibilità di lavorare senza perdere il diritto alla pensione. Misure concrete, efficaci, che tracciano una rotta chiara anche per il nostro Paese.
San Marino, pur tra molte difficoltà, ha compiuto passi significativi, così come relazionato nell’assise: si registrano 22 inserimenti lavorativi con contratto terapeutico, 58 attraverso la Legge 71/1991 e 18 persone con disabilità intellettive assunte con contratto regolare a tempo indeterminato. È stato inoltre introdotto il work coaching, ovvero un operatore che affianca i lavoratori con disabilità nei primi passi della loro esperienza lavorativa. In diverse aziende sono già stati realizzati percorsi di inserimento protetto.
USL condivide in pieno le linee emerse dalla Conferenza: è tempo di superare definitivamente la logica dell’internamento in strutture e istituzioni. Occorre investire in politiche che promuovano davvero l’autonomia, l’inclusione e il diritto alla piena cittadinanza. La riserva mentale è un recinto che isola e limita. Il nostro impegno è quello di abbattere quei muri e di costruire una società in cui ogni persona possa vivere la propria indipendenza e libertà, con pari dignità e diritti.
San Marino, 08/05/2025
Unione Sammarinese Lavoratori