“Sex workers” e “bordelli” a San Marino. Quando i social fanno tremare il Santo … di Enrico Lazzari

Un post social sammarinese, di quelli che fanno alzare un sopracciglio e mezzo, ha squarciato, ieri, la mia quiete pomeridiana: ispirandosi al codice ATECO italiano (forse in seguito alla pubblicazione della notizia su queste stesse pagine elettroniche – leggi qui) per “servizi di incontro”, un “genio del web” ha spronato San Marino a battere l’Italia sul tempo, legalizzando la prostituzione con un bel codice attività in biancheria intima biacoazzurra. Tasse, controlli, e via, il Monte come una nuova Amsterdam! Un’idea che, a leggerla, fa quasi ridere, ma che spinge a immaginare un Consiglio Grande e Generale riunito in gran segreto, con le finestre socchiuse e il Santo Marino che, dal Monte, osserva severo. Sul tavolo, una proposta che farebbe sobbalzare le statue di Piazza della Libertà: introdurre a San Marino un codice attività economica per la prostituzione, ispirandosi all’Italia, dove il codice ATECO 96.99.92 – “servizi di incontro ed eventi simili” – ha acceso un falò di polemiche. Là, oltre confine, c’è chi sogna tasse e controlli sanitari, mentre altri gridano all’errore e all’orrore, con la legge Merlin che vieta lo sfruttamento e i sex workers che chiedono tutele vere, non partite IVA. Sul Titano, dove il “mestiere più antico del mondo” è bandito senza appello, un’idea simile sarebbe come aprire un night club sotto la Prima Torre. Entrate fiscali? Forse un pugno di euro. Ma a che costo? Diciamolo chiaro: una ca**ata che farebbe soltanto arrossire…

San Marino non è l’Italia. Qui, l’Ufficio Attività Economiche non traffica con codici ATECO, ma con un sistema di licenze – industriale, artigianale, commerciale, servizi (e non quelli!) – e codici attività ben definiti, incisi nelle Tabelle del Regolamento 2021/198R come tavole della legge. Ogni attività ha il suo posto: dal panettiere al consulente, con requisiti, controlli, titoli di studio. La prostituzione? Non esiste, punto. E se esistesse, non esiste, ri-punto! Niente codici, niente licenze. Al massimo, qualche “centro massaggi” potrebbe provare a fare il furbo ospitando signorine – e perchè no, signorini e signorin* – sotto candide spoglie, ma la Gendarmeria gli “soffierebbe sul collo”. Introdurre un codice per il sex work vorrebbe dire riscrivere la Legge 47/2006, inventare autorizzazioni, vigilanza sanitaria, inquadramenti fiscali e previdenziali. Un lavoro titanico, per cosa? Per inseguire un miraggio economico che porterebbe briciole in termini economici e massi enormi in termini di polemiche e sfottò?

Parliamo di soldi, perché è da lì che parte la tentazione. Un codice per la prostituzione potrebbe portare qualche spicciolo: tasse su redditi dichiarati, licenze per “case d’appuntamento”, magari un po’ di turismo losco. Un mercato da pochi milioni di euro, in un Paese piccolo come il nostro. Ma i costi? Controlli sanitari, polizia sulle strade, burocrazia per autorizzazioni. E i rischi? Economicamente appare un gioco che non vale la candela, un biglietto della lotteria con più buchi che numeri.

E poi c’è il Titano, quello vero, fatto di valori e storia. San Marino è un Paese di radici profonde, dove la religione e la comunità pesano più di un decreto. Immaginate il pandemonio: associazioni di genitori, già pronte a marciare per i gatti randagi, che organizzano sit-in contro “case chiuse” sotto il Guaita, mentre il loro “piccolo” che tengono per mano, con l’altra mano, armeggia nello smartphone su YouPorn… Preti che tuonano, cittadini che temono per l’immagine di un Paese che si fregia di essere un faro di civiltà. …E non parliamo delle femministe, oggi anche convintamente Woke. La dignità pubblica? Calpestata. La sicurezza? Un rebus, con il rischio di attirare traffici più che combatterli. E le sex workers? Senza tutele sanitarie, previdenziali, contrattuali – come gridano in Italia – sarebbero solo pedine in un sistema che incassa tasse e offre zero.

Non dimentichiamo il mondo fuori. L’Italia, con la sua legge Merlin che bandisce lo sfruttamento, guarderebbe il Titano come un vicino che apre un casinò vero al confine. Controlli doganali più severi, magari un richiamo dell’UE per tratta o immigrazione. San Marino, che ha lottato per scrollarsi di dosso l’etichetta di “paradiso fiscale”, si troverebbe a difendere un esperimento che puzza di provocazione più che di progresso. Ci mancherebbe solo che il governo, dopo aver speso per campagne sulla natalità, commissionasse slogan tipo “Vieni sul Titano, vivi il piacere”. Ironia a parte, non è questa la strada.

San Marino, alza la testa. Cercare nuove entrate è sacrosanto e l’audacia va premiata. Ma un codice per la prostituzione è una sbandata che ci costerebbe l’anima: economicamente fragile, socialmente esplosivo, diplomaticamente disastroso. Vuoi risorse? Scommetti su altro. Un’economia che attragga investitori puliti, non ambigui. Turismo culturale che venda la nostra storia, non scorciatoie, digitalizzazione hi-tech… Un fisco più che sostenibile. Innovazione che crei lavoro, non speculazioni che creano guai. E, se proprio vogliamo codici nuovi, inventiamone per startup, artigiani, cervelli che restano, non per un mestiere che divide più che unire.

Il Titano non ha bisogno di svendere la sua dignità per riempire le casse. Giovani che sognano un futuro, famiglie che chiedono stabilità, un’immagine internazionale da difendere: questa è la sfida. Un codice per il sex work non è la risposta. Ve lo immaginate un apposito corso al CFP di Serravalle?

San Marino, sii coraggioso, ma saggio: scommetti su chi resta, non su chi passa. E sogna un Paese dove il futuro sia il primo codice da scrivere.

Enrico Lazzari