Dopo oltre tre anni di guerra, la possibilità di una tregua stabile tra Russia e Ucraina sembra farsi strada, seppur tra mille incertezze. L’ultima missione diplomatica a San Pietroburgo, guidata dall’inviato speciale della Casa Bianca, Steve Witkoff, ha segnato un nuovo passo nel dialogo tra Washington e Mosca.
Il colloquio, il terzo da gennaio tra Witkoff e Vladimir Putin, è stato definito dalle fonti statunitensi “utile” e “stimolante”, aprendo a uno scenario che solo pochi mesi fa sarebbe sembrato irrealistico: quello di un’intesa di pace duratura. Secondo quanto trapelato, il presidente russo avrebbe espresso una disponibilità concreta a negoziare una soluzione permanente al conflitto, andando oltre un semplice cessate il fuoco.
Cinque territori contesi e sicurezza internazionale in discussione
Il cuore delle trattative resta il destino di cinque territori occupati, su cui Mosca rivendica il controllo. Tuttavia, la questione territoriale non è l’unico punto critico sul tavolo: il pacchetto negoziale include anche protocolli di sicurezza, il ruolo della NATO e l’eventuale neutralità dell’Ucraina. In questo contesto, viene esclusa qualsiasi applicazione dell’articolo 5 della NATO, relativo alla difesa collettiva.
Le discussioni toccano anche l’ambito economico: la Casa Bianca, pur mantenendo la linea della fermezza, intravede nelle relazioni commerciali un possibile motore per ridurre la tensione. L’apertura a nuove opportunità economiche con la Russia viene vista come un elemento potenzialmente stabilizzante per l’intera regione euroasiatica.
L’ombra delle sanzioni e il peso degli ostacoli diplomatici
Malgrado i segnali di distensione, la strada verso la pace rimane complessa. La Russia ha respinto, solo poche settimane fa, una proposta congiunta Stati Uniti-Ucraina per una sospensione immediata e incondizionata delle ostilità. Mosca ha inoltre subordinato un’eventuale tregua nel Mar Nero alla revoca di specifiche sanzioni occidentali, mantenendo così una posizione di forza nei confronti dell’Occidente.
Le difficoltà sono evidenti anche nelle relazioni tra Washington e Kiev. Donald Trump, tornato alla Casa Bianca a gennaio, ha cercato di mediare tra le parti ma senza ottenere concessioni significative dal Cremlino. I suoi ripetuti sforzi si sono infranti su un muro di diffidenze reciproche e condizioni non negoziabili. Recenti dichiarazioni del presidente statunitense – che ha attribuito in parte al governo di Kiev la responsabilità dell’escalation – hanno ulteriormente complicato i rapporti.
Iran, nucleare e diplomazia parallela
Nel frattempo, l’amministrazione americana ha riaperto il fronte del dialogo con l’Iran. Un incontro riservato in Oman, definito positivo da Witkoff, ha avviato un nuovo ciclo di confronto diretto con emissari della Repubblica islamica. Le trattative si concentrano principalmente sul monitoraggio del programma di arricchimento dell’uranio, con l’obiettivo di prevenire un’escalation nucleare.
Trump ha rimesso la questione iraniana al centro dell’agenda internazionale, dopo aver ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare del 2015 durante il suo primo mandato. A marzo, ha inviato una lettera alla Guida Suprema iraniana aprendo a un dialogo, ma lasciando intendere che in caso di mancata cooperazione non escluderebbe azioni militari.
Lavrov: “Accordo possibile ma complesso”
Da Mosca, il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ha confermato che i negoziati sono in corso, anche se ha sottolineato la difficoltà di raggiungere un’intesa su tutti i punti chiave. Lavrov ha però riconosciuto che gli Stati Uniti si stanno muovendo con maggiore profondità rispetto all’Europa, finora meno incisiva nel percorso negoziale.
Verso una svolta o verso nuovi stalli?
Il confronto resta aperto. Le aperture verbali di Mosca non trovano ancora corrispondenza in gesti concreti, mentre l’Ucraina prosegue la resistenza armata, sostenuta da alleati sempre più attenti all’evoluzione interna dei propri equilibri politici. Se davvero si è giunti a un momento decisivo, sarà solo il prossimo round negoziale a dirlo.