Umiltà e realismo … di Don Gabriele Mangiarotti

Non possiamo dire di non essere stati avvisati. A volte sembra di navigare incoscienti come sul Titanic, considerando inutili o «catastrofisti» tutti i segnali di un pericolo mortale per la nostra cultura e civiltà.

Leopold von Ranke scriveva: “Jede Epoche ist unmittelbar zu Gott, und ihr Wert beruht gar nicht auf dem, was aus ihr hervorgeht, sondern in ihrer Existenz selbst, in ihrem Eigenen selbst” “Ogni epoca è direttamente collegata a Dio e il suo valore non risiede in ciò che ne deriva, ma nella sua stessa esistenza, in se stessa.”

Forse è un altro modo per riconoscere quanto ho scritto recentemente, citando un pensiero di J. Meinvielle, «Il progresso o il regresso di una società si misura dalla sua conformità o dalla sua non conformità con la legge oggettiva dei valori… Il fatto di stabilire come postulato la marcia in avanti dell’umanità implica una concezione della vita basata sulla realizzazione della dialettica storica; ma, poiché la dialettica storica del mondo moderno è la Rivoluzione, opporsi alla Rivoluzione è male, lavorare per lei è bene».

La crisi economica, la minaccia alla pace, i delitti in crescita (e l’ideologia che quasi li giustifica, basti pensare alla sentenza italiana nei confronti di Turetta [l’esclusione dell’aggravante della crudeltà, nonostante il medico legale abbia contato 75 ferite (di cui però solo 2-3 mortali). «Non vi è certezza che egli volesse infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive – è scritto – Non è a tal fine valorizzabile, di per sé, il numero di coltellate inferte». Quei 75 fendenti non sono state «una deliberata scelta dell’imputato ma sembrano una conseguenza della inesperienza e inabilità dello stesso: Turetta non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte»] tutto questo ci pone davanti alla domanda: «Ma dove stiamo andando? Quali le cause? E, se ci sono; quali i rimedi?»

E poi ho letto quanto racconta il bravo Giulio Meotti a proposito di Wang Huning, consigliere di punta di Xi, ex professore di politica internazionale, scrive: «Quando Wang visitò a lungo gli Stati Uniti nel 1988, li trovò una “civiltà materiale maestosa”, ma notò anche quelle che considerava profonde crepe che iniziavano a manifestarsi nel sistema americano. Osservando la diffusa mancanza di una casa, l’uso di droghe, la criminalità, la disgregazione familiare, l’antagonismo razziale e altri “intricati problemi sociali e culturali”, Wang si chiese come questi potessero sorgere e persistere in un paese così imprenditoriale e materialmente ricco. La sua conclusione: sotto il fascino della prosperità degli anni ’80, la cultura americana era stata corrotta da un quel nichilismo che aveva iniziato a sottoporre il paese a una “inarrestabile corrente sotterranea di crisi”.» [https://meotti.substack.com/p/dallamerica-allamaca-di-serra-leuropa]

Non sarà proprio quel «nichilismo» la radice di questo «male di vivere» che sembra paralizzare la nostra cultura e civiltà?

O dire queste cose non è conveniente, opportuno, gradito per un pensiero che si vuole ottimista e attento ai «segni dei tempi»? Ma questi non sono altrettanti segni?

Credo che siamo di fronte a una situazione che chiede a tutti un nuovo impegno nei confronti della realtà, della politica, della educazione. Ed è vero che ci sono anche segni positivi (penso all’impegno, finalmente accertato, ad esempio, di realizzare la «Culla per la vita», come strumento per mostrare una attitudine positiva nei confronti delle vite concepite…) come pure alla consapevolezza della gravità della situazione, in tante, troppe parti del mondo (e non sono sufficienti gli articoli di denuncia rispetto alla grave situazione delle donne nei paesi in cui l’islamismo fanatico ha il potere – ma, sia detto con chiarezza, senza che ci si accorga, per esempio, della persecuzione dei cristiani sempre in quelle zone). Non sono sufficienti episodi, sussulti, bisogna cambiare rotta e accettare che una cultura del rispetto della vita chiede un impegno totale e senza se né ma: del resto il fatto che qui a San Marino, l’indice di fecondità sia, per quest’ultimo anno, allo 0,8 % non può lasciarci indifferenti.

Il nichilismo, questa malattia terribile già presentita con sgomento da Teilhard de Chardin («Il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è la fame né la peste; è invece quella malattia spirituale – la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli – che è la perdita del gusto di vivere») non si vince con proclami o discorsi, ma con la ripresa della esperienza positiva della nostra storia, dell’identità cristiana, di una appartenenza capace di riscoprire, in azione, ciò che ci contraddistingue. Se non avessimo paure delle parole, con la riscoperta della nostra «identità cristiana» che costituisce il privilegio della eredità che i nostri padri ci hanno lasciato.

Forse quello di cui abbiamo bisogno, insieme a un po’ di fiducia e di realismo, è quella strana e dimenticata virtù che è l’umiltà, la capacità di sapere riprendere il cammino, senza incaponirsi sulle scelte sbagliate. Ma è un cammino arduo, anche, e soprattutto, in questi tempi.

 

don Gabriele Mangiarotti