25 Aprile, festa degli Italiani, svenduta da entrambe le parti come scusa per mascherare i propri fallimenti. Una parte, quella destrorsa e nostalgica lo considera un giorno di lutto, il ricordare una guerra persa e il tradimento di un Re al suo popolo. Addossa alla Liberazione e ai Partigiani la colpa di essere stati dei codardi e di aver rovinato l’impero italico, scordandosi che il loro Duce scappò con bauli pieni di oro travestito da tedesco. Di quel periodo sopravvivono oggi solo delle macchiette che chiamano i Tre Martiri “ladri di galline che hanno avuto quello che si meritavano” e si salutano urlandosi A Noi con braccia tese e tacchi rumorosi. Se non fossero ridicoli e da ricovero, farebbero tenerezza.
La parte mancina del paese invece lo considera l’unico argomento valido per nascondere il fallimento della propria classe dirigente, la sola medicina capace di neutralizzare la distanza astronomica che passa tra i vertici del partito e la gente comune, umiliando continuamente la memoria di quei ragazzi che sono andati a combattere nelle montagne e a morire per garantirci un futuro migliore.
Mentre la nostra città è minacciata dalla criminalità, spicciola e organizzata, senza un futuro chiaro, con un tessuto sociale che si sta sgretolando sotto la crisi economica e la disuguaglianza sociale, le uniche parole che riecheggiano con forza dalla maggioranza consigliare sono solo quelle dell’antifascismo come prima e principale motivazione di lotta politica.
Non una parola di condanna sullo sterminio di palestinesi a Gaza da parte degli israeliani, sul riarmo propedeutico ad una nuova guerra mondiale, sulla condizione delle famiglie, dei giovani e delle classi più fragili della nostra società, sul consumo di suolo che devasta la nostra città e la nostra regione, sulla mancata partecipazione delle persone alla vita democratica della società. Solo Antifascismo da salotto, buono per arringare la folla, sempre più esigua, su temi quasi inutili, come polemizzare sulla posizione della statua del Giulio Cesera di epoca fascista.
Il nostro problema, a livello nazionale e locale è questa classe dirigente autoreferenziale, prepotente, arrogante nel linguaggio e nei modi che cerca di ricostruirsi un’identità ogni 25 Aprile, ma che dopo 80 anni di retorica stantia su un ipotetico ritorno al fascismo non ha ancora fatto i conti con la contemporaneità del mondo che ci circonda, fatto del peggior capitalismo e di disuguaglianze devastanti.
Non spero più nella costruzione di un ideale, spero almeno in un’idea…
Buon 25 Aprile, buona Liberazione. Viva l’Italia.
Viva Rimini, città martire di questa nazione.
Stefano Benaglia