Borghi, casa trasformata in serra di marijuana: il proprietario se la cava con lavori socialmente utili

In un casolare immerso nella tranquillità della collina romagnola, stava fiorendo un’attività ben più redditizia della coltivazione agricola: quella della marijuana. Ma nonostante il sequestro di diversi chili di droga e attrezzature per lo spaccio, il proprietario dell’abitazione, un quarantenne del luogo, è stato condannato solo a 250 ore di lavori di pubblica utilità. Una pena leggera, decisa nei giorni scorsi dal Gip Ilaria Rosati, che ha riconosciuto al residente una responsabilità secondaria.

Blitz e arresti: la scoperta del giro di spaccio

I fatti risalgono al novembre 2022, quando i Carabinieri di Sogliano intervennero con un’operazione mirata. Due persone, legate a una famiglia già nota alle forze dell’ordine, furono fermate poco dopo essere uscite da quella stessa casa. Nell’auto: quasi quattro chili di marijuana suddivisi in sacchetti.

Dentro l’abitazione, i militari scoprirono oltre un chilo di erba già pronta, centinaia di grammi di semi destinati alla coltivazione e un vero e proprio kit per avviare una produzione sistematica. Una base logistica perfettamente organizzata, ma che – secondo l’accusa – non era gestita dal padrone di casa.

La svolta processuale: posizione separata e pena ridotta

Nel tempo, il procedimento si è diviso in più filoni. Solo uno degli occupanti dell’auto – già condannato in via definitiva – è stato ritenuto responsabile del traffico di droga. Il quarantenne proprietario, invece, ha ammesso di aver concesso l’uso della casa, ma ha sempre negato qualunque coinvolgimento diretto nella gestione o nella vendita delle sostanze stupefacenti.

Una tesi che ha convinto il giudice, supportata dalla difesa dell’avvocato Paolo Ghiselli, e che ha portato alla derubricazione del reato nella forma meno grave della detenzione ai fini di spaccio “lieve”. Per lui, nessun carcere: solo lavori a favore della collettività.

Un caso che riapre il dibattito: complicità o superficialità?

La vicenda mette in luce un tema ricorrente nelle inchieste sul narcotraffico di prossimità: quanto è labile il confine tra complicità e mera tolleranza? Se da un lato chi mette a disposizione spazi facilita un reato, dall’altro l’assenza di prove sulla partecipazione attiva può alleggerire il verdetto. Il caso di Borghi diventa così emblema di un sistema giudiziario che cerca, tra mille sfumature, di distinguere i registi dai meri comparse del mercato della droga.