“Codice etico, una foglia di fico”. La visione della democrazia secondo Domenico Gasperoni

Domenico Gasperoni“Non bastano bigotti sagrestani che controllino la questione morale” .

Chiedo scusa al lettore, se oggi lo annoio con una lezioncina di sociologia.

Mi si perdoni quello che è stato e rimane il mio primo amore.
Prendo l’ispirazione da un bellissimo articolo di Ilvo Diamanti.
In questi giorni, la stampa tutta, i dibattiti delle feste di partito, gli editoriali, le interviste di esponenti politici, le prediche dai vari pulpiti trasudano riferimenti alla questione morale.

E tutti invocano come salvatore della patria, il ‘Codice etico’ della politica. O dei partiti. Una foglia di fico per coprire le oscenità di una certa politica?

Qualcuno si meraviglierà di questo mio meravigliarsi, perché sono un noto fan dell’etica politica.
Ma quando non se ne può più, non se ne può più.

Siamo sull’orlo del precipizio e ancora si legge o si sente dire: abbiamo un codice etico per i nostri iscritti e lo applicheremo senza distinzioni,qualora emergessero fatti concreti. Oppure: si richiede una normativa sui partiti che punisca i corrotti…;

Eccetera, eccetera. Forse mi sono convertito. Forse mi sono rincitrullito. Ma mi sono fatto persuaso, a dirla con il Commissario Montalbano, che la questione morale ha un doppio fondo. O meglio, un sotto fondo: la questione democratica.

La questione morale dipende dalla questione democratica. Per combattere il sistema della corruzione bisogna rivedere il funzionamento del nostro sistema democratico.

Proviamo allora a desacralizzare e infastidire un pò questo idolo della democrazia. La democrazia rappresentativa. Anche la nostra sammarinese. Oggi studiosi e politologi le imputano molti difetti. Può essere una “oligarchia democraticamente eletta”, come la chiama Eugenio Scalfari. Per Bernard Manin è una “aristocrazia democratica” in quanto l’elezione esprime neces- sariamente un’elite. E’ democrazia “ in diretta”, per Nadia Urbinati, o “democrazia del pubblico”, dove i cittadini sono spettatori. La sana democrazia dovrebbe essere invece “diretta”.

Quella che Pierre Rosanvallon, professore di Storia al Collège de France, chiama “contro-democrazia”.Una definizione simpatica. Che rivaluta finalmente la funzione positiva della sfiducia verso la politica, sempre temuta come un pericolo.

“La contro-democrazia è una modalità di partecipazione che non è il contrario ma piuttosto il completamento della democrazia, attraverso la quale la società civile sorveglia e stimola le istituzioni. Una democrazia della sfiducia organizzata che diventa parte integrante delle istituzioni e ne prolunga ed estende l’efficacia”.

Proviamo ad applicare alla politica sammarinese il farmaco della contro-democrazia.

Per non farla lunga, mi fermo ad illustrare un mia vecchia idea sul Consiglio Grande e Generale. Una convinzione che mi son fatto,vivendoci anche all’interno come funzionario.

Certamente mi beccherò una scomunica laica dai costituzionalisti, ma non mi preoccupo. Tutti sappiamo che fino all’Arengo del 1906 e nel periodo fascista, il nostro organo legislativo era chiamato Principe e Sovrano. Nei verbali dell’800 troviamo molto spesso la dizione: il Principe. Quest’aura principesca, una mélange fra “oligarchia democraticamente eletta” e “aristocrazia democratica”, l’ha tuttora conservata. La ritrovo nelle frasi diventate d’uso comune nel gergo politico, sia di maggioranza che di opposizione: ‘la cosa va portata in Consiglio. Il Consiglio ne è stato informato? Il Consiglio qua. Il Consiglio là’. Nella nostra ar- chitettura costituzionale, la pur ovvia centralità del Consiglio, non ne fa uno dei tre classici poteri ma tende ad assolutizzarlo. Anche se talvolta- ironia e vendetta della storia- assomiglia più ad un “trono dei poveri”.

E ciò accade (spesso) quando è prigioniero del Governo. Già nel 1914, un consigliere lamentava: “Il Consiglio in questi ultimi tempi non ha fatto altro che porre lo spolvero sui deliberati del Congresso diventando così un organo passivo della volontà del suo figlio minore”.

Ritorno al Consiglio “Principe”. Vive una profonda contraddizione: da una parte, è chiuso in una sua solitudine oligarchica ma, dall’altra, può allargare un po’ troppo la sua “longa manus”. E qui mi riferisco ad una prassi storica che ho sempre ritenuto antidemocratica perché puzza di partitocrazia.

E’ accettabile che le Commissioni a valenza tecnica siano un clone del Consiglio? Nei Consigli di amministrazione degli Enti pubblici, delle Aziende di Stato,ecc., ci devono essere persone competenti o basta che rispettino la rigorosa proporzionalità dei gruppi consiliari? A esempio, nella tv di Stato, nell’Università, smettetela, vivaddio, di mettere persone targate o maggioranza od opposizione. Scegliete persone capaci, competenti e libere, anche se non sono delle vostre botteghe. Allarghiamo la democrazia con un poco di questa contro-democrazia. Che poi significa controllo e partecipazione dei cittadini. Che poi significa deterrenza contro la rigenerazione della questione morale. Torno al mio incipit. Quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario della Dichiarazione dei diritti (8 luglio 1974). Non abbiamo avuto la dignità di celebrarne un ricordo ufficiale.

La questione democratica è tutta lì contenuta. Quelli sono i valori ed i principi costitutivi della politica. Quelli che la “Carta della Legalità”, presentata dal gruppo di cittadini di “Bisogna Muoversi,” ha provato a riproporre. Per fare pulizia nei partiti, non bastano bigotti sagrestani che controllano l’applicazione di un codice etico, ma ci vogliono “plotoni di esecuzione” della democrazia. Che dovranno usare rigorosamente le munizioni della legalità”.

Domenico Gasperoni