
E adesso per Luca Palamara la situazione si fa davvero complessa. Perché nella sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura che martedì prossimo deciderà la sua sorte entra un altro nome certamente non benevolo nei suoi confronti. A Piercamillo Davigo (che Palamara accusa di avere già manifestato convinzioni ostili: «Manifestò parere su oggetto del procedimento») e agli altri quattro membri della sezione si è aggiunto in dirittura d’arrivo un altro membro laico – cioè di nomina parlamentare – del Csm: ed è, tra tutti i membri dell’organo di autogoverno delle toghe, quello più direttamente collegato al ministro grillino della Giustizia Alfonso Bonafede. E che l’intervento «netto e profondo» promesso dal ministro sul Csm passi per la cacciata di Palamara dalla magistratura non c’è dubbio, tanto che anche Bonafede ha promosso l’azione disciplinare a carico dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati.
L’uomo di Bonafede all’interno del Csm si chiama Filippo Donati, professore di diritto costituzionale a Firenze, entrato in Csm direttamente attraverso la piattaforma Rousseau, che due anni fa lo designò insieme a un altro fiorentino, Alberto Maria Benedetti, legato al professor Guido Alpa, socio di studio del premier Conte. Se in Csm Benedetti è considerato la voce del premier, quando parla Donati è come se parlasse il ministro.
Che la composizione della sezione disciplinare sia stata definita solo a ridosso dell’udienza si spiega solo con il nervosismo che agita il consiglio superiore, soprattutto dopo che Palamara è uscito allo scoperto con la torrenziale lista dei centotrentatrè testimoni di cui chiede l’ammissione. Il tentativo del pm romano di trasformare il procedimento a suo carico in un processo a dieci anni di lottizzazione delle cariche giudiziarie rischia di trasformare il «caso Palamara» in una valanga che travolge tutto e tutti. Di certo, la sezione disciplinare non ammetterà tutti e 133 i testimoni chiesti dall’incolpato. Ma se davvero, come ipotizzava l’altro giorno il Riformista, venissero ammessi solo dieci testi, la sezione si tirerebbe addosso l’accusa di preparare un processo farsa dall’esito predeterminato.
Il primo scoglio che martedì la sezione dovrà affrontare sarà la ricusazione di Davigo. L’ex pm milanese uscirà dalla stanza, e gli altri decideranno la sua sorte. Sarebbe singolare, visti i buoni rapporti di Davigo col ministro, che da Donati venisse un voto contro alla permanenza del «dottor Sottile» nella sezione.
Inizio in salita, dunque, per Palamara. Ma quando si entrerà nel merito delle accuse, l’incolpato è deciso a dare battaglia. L’atto di incolpazione, consegnato ieri alla stampa, si articola sostanzialmente su due temi. Il primo sarebbero le manovre compiute da Palamara contro Paolo Ielo, procuratore aggiunto a Roma, tradotte in un comportamento «gravemente scorretto» finalizzato a una «strategia di discredito»: e su questo Palamara intende dimostrare di non avere mai raccolto alcun dossier nè su Ielo nè su suo fratello Domenico, avvocato dell’Eni. Il secondo, cruciale, riguarda l’ «uso strumentale della propria qualità e posizione, diretto, per la modalità di realizzazione, a condizionare l’esercizio di funzioni costituzionalmente previste, quali la proposta e la nomina di uffici direttivi di vari uffici giudiziari da parte del Consiglio superiore della magistratura». Quello, dirà Palamara, che facevano tutti. Dalla notte dei tempi.
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