Nel cuore della notte, i cieli sopra l’Iran sono stati squarciati da raid aerei israeliani che hanno colpito decine di obiettivi militari e nucleari, compresi i complessi sensibili di Natanz, Khondab e Khorramabad. Un attacco mirato e chirurgico, pensato per paralizzare – almeno temporaneamente – la capacità nucleare del regime di Teheran. A distanza di poche ore, è arrivata la risposta iraniana: un massiccio lancio di oltre 100 droni verso Israele, in quella che appare come una rappresaglia calcolata ma potenzialmente devastante. La maggior parte dei droni sarebbe stata intercettata prima di raggiungere lo spazio aereo israeliano, secondo fonti militari locali.
L’ondata di tensione che ne è seguita ha rapidamente travolto le cancellerie mondiali. Gli Stati Uniti, pur informati in anticipo dell’operazione, hanno voluto prendere immediatamente le distanze: “Non siamo coinvolti nell’attacco”, ha dichiarato il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale americano. Un messaggio chiaro, pensato per raffreddare le ipotesi di complicità e contenere i danni politici, soprattutto in un momento in cui Washington sta cercando di riaprire un canale negoziale – pur fragile – con Teheran sul fronte nucleare.
In Europa, l’allarme è altissimo. Il Segretario Generale dell’ONU António Guterres ha invocato la moderazione da entrambe le parti, sottolineando il rischio concreto di un allargamento incontrollato del conflitto. L’Unione europea, per bocca della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha chiesto “un immediato stop a tutte le operazioni militari”, invitando a “non oltrepassare la soglia del punto di non ritorno”. Anche Berlino si è espressa con fermezza: il cancelliere Olaf Scholz ha lanciato un appello diretto all’Iran, esortando Teheran a “fermare subito ogni ritorsione per evitare una guerra regionale”.
La Francia, da parte sua, ha fatto sapere di aver attivamente intercettato alcuni droni iraniani nei cieli della Giordania, nel tentativo di impedire un’escalation più ampia. Un intervento che segna una presa di posizione netta da parte di Parigi, e che conferma il coinvolgimento – seppur indiretto – di diversi attori regionali.
Dai Paesi arabi sono arrivate reazioni meno sfumate: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Qatar e Iraq hanno condannato l’attacco israeliano, definendolo una violazione della sovranità iraniana. Tuttavia, pur mantenendo la consueta retorica anti-israeliana, molti di questi Paesi sembrano più preoccupati per le ricadute interne e per la stabilità economica regionale che per la solidarietà con Teheran.
Nel frattempo, anche dall’Asia sono giunti segnali di preoccupazione. Il Giappone ha espresso “grave allarme” per l’evolversi della situazione, predisponendo misure di sicurezza per i propri cittadini presenti in Medio Oriente. La Cina ha lanciato un appello alla “massima responsabilità”, pur senza sbilanciarsi direttamente sulle responsabilità delle parti. L’Australia ha invece parlato apertamente di “situazione allarmante”, allineandosi alla posizione europea.
Come sempre accade in questi casi, i mercati non hanno tardato a reagire. Il prezzo del petrolio è balzato in poche ore, facendo registrare un incremento del 6-8% a seconda delle borse di riferimento. Le principali compagnie aeree internazionali – tra cui United, Delta, Lufthansa e British Airways – hanno sospeso temporaneamente i voli diretti verso Israele e i sorvoli dell’area medio-orientale, con ripercussioni anche sulla logistica civile e commerciale.
In questo clima infuocato, l’unica certezza sembra essere l’incertezza. Le prossime 48 ore saranno cruciali per capire se questa escalation si limiterà a una dimostrazione muscolare o se rappresenta l’inizio di una spirale militare destinata a travolgere l’intera regione. Il mondo, per ora, osserva e trattiene il respiro.