Il caso di Guerrina Piscaglia, donna di Cà Raffaello nel comune di Badia Tedalda, rimane tra i più noti misteri irrisolti dell’Appennino tosco-romagnolo. Scomparsa il primo maggio 2014, la donna non è mai stata ritrovata, anche se la giustizia penale ha condannato a 25 anni il suo presunto aggressore, il sacerdote congolese Gratien Alabi Kumbayo, ex viceparroco del paese, ritenuto responsabile dell’omicidio.
Nonostante la condanna definitiva, la mancanza di un riconoscimento formale di morte impedisce alla famiglia di ottenere un certificato di decesso. La burocrazia italiana, infatti, non riconosce la morte senza una dichiarazione di morte presunta emessa dal tribunale, lasciando Guerrina in uno stato di “assenza” legale. Questa situazione crea un vuoto amministrativo e personale, alimentando il dolore dei parenti.
Il marito di Guerrina, Mirko Alessandrini, ha più volte lanciato appelli pubblici affinché il sacerdote, attualmente detenuto nel carcere di Opera a Milano, riveli almeno il luogo in cui ha sepolto il corpo. La richiesta nasce dalla volontà di avere una tomba definitiva, un punto di riferimento per il dolore e il ricordo. La vicenda evidenzia come, a distanza di oltre un decennio, il caso continui a sollevare interrogativi e a mantenere vivo il dolore di chi aspetta ancora risposte.