Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) ha annunciato ufficialmente lo scioglimento della propria struttura organizzativa e la cessazione definitiva della lotta armata contro lo Stato turco, segnando la fine di uno dei conflitti più lunghi e complessi del Medio Oriente contemporaneo. A riferirlo è l’agenzia di stampa ANF, vicina agli ambienti curdi.
La decisione sarebbe maturata durante il 12° congresso interno, che si sarebbe svolto in forma riservata la scorsa settimana. In un comunicato rilasciato dopo l’assemblea, i vertici del movimento hanno confermato una svolta epocale: “Abbiamo deciso di sciogliere il Pkk come entità organizzata e di mettere un punto alla resistenza armata”, si legge nella nota.
Un conflitto durato decenni
Fondato nel 1978 da Abdullah Öcalan, oggi detenuto in isolamento nel carcere di massima sicurezza di Imrali, il Pkk aveva inizialmente un’impronta marxista-leninista. Negli anni è divenuto il principale riferimento dell’autonomismo curdo, impegnandosi in una lunga guerriglia contro Ankara per rivendicare diritti politici e culturali per il popolo curdo. Il conflitto ha causato oltre 40.000 morti tra combattenti, forze turche e civili, segnando profondamente il sud-est della Turchia.
Dalla lotta armata al possibile dialogo
Negli ultimi anni il Pkk aveva già ridotto le proprie azioni militari, lasciando spazio a forme di resistenza politica e diplomatica, specialmente attraverso le sue ramificazioni in Siria e Iraq. La dichiarazione di scioglimento, se confermata nei fatti, rappresenterebbe un cambio radicale nella strategia del movimento curdo.
Resta da capire ora quale sarà la reazione di Ankara, che ha sempre considerato il Pkk un’organizzazione terroristica, al pari di Stati Uniti e Unione Europea. Se il gesto sarà letto come un’apertura, potrebbe aprirsi uno spiraglio di riconciliazione politica o, quanto meno, di tregua duratura.
L’eredità di un conflitto
La dissoluzione del Pkk lascia dietro di sé un’eredità ambivalente: da una parte il dolore di un conflitto interminabile, dall’altra la nascita di una coscienza identitaria curda ormai radicata a livello internazionale. La sfida, ora, è trasformare quel sentimento in partecipazione politica pacifica e costruttiva, senza ricadere nella spirale del conflitto.