Nel 1986 prese vita a San Marino il Governo di compromesso storico tra il Partito Democratico Cristiano Sammarinese e il Partito Comunista Sammarinese. Tutte le forze Socialiste furono relegate all’opposizione: Partito Socialista Sammarinese, Partito Socialista Unitario, Partito Socialista Democratico Sammarinese.
Nel dicembre 1987 si concretizza il primo, storico, atto di unificazione, attraverso la fusione del P.S.D.S. nel Partito Socialista Sammarinese. L’operazione riuscì perfettamente e alle elezioni politiche generali del 1988, il P.S.S., che veniva dato in grande difficoltà, ottenne ben 7 seggi nel Consiglio Grande e Generale. Risultato che migliorò notevolmente alle successive elezioni per il rinnovo delle Giunte di Castello.
Nel 1990 il processo di unificazione di tutti i Socialisti sotto la bandiera del Partito Socialista Sammarinese si concluse con l’arrivo anche del P.S.U. I Socialisti tornarono al Governo della Repubblica nel 1992, assumendo nello scacchiere politico sammarinese una centralità innegabile.
I primi anni di convivenza nel P.S.S. andarono a meraviglia e i risultati per il Paese e per il Partito furono positivi. Poi, via via che passava il tempo, cominciarono ad emergere due diversi modi di intendere la politica e i “Socialisti rampanti” cominciarono la loro opera tesa al potere e alla carriera piuttosto che ai principi e ai valori fondanti del Socialismo.
Era l’aprile 1995, quando il Partito Socialista Sammarinese celebrò il suo 37^ Congresso Generale, e già in tale circostanza i “Socialisti rampanti” avanzarono nei loro interventi, che sono agli atti, l’ipotesi di cambiare nome e simbolo al P.S.S. Fortunatamente la componente “Giacominiana” e quella “Socialdemocratica” impedirono che ciò accadesse.
Non senza difficoltà il P.S.S. continuava ad essere un ingranaggio cardine della politica sammarinese, ma le differenze nel modo di intendere e di fare politica all’interno del Partito si facevano sempre più evidenti e indebolirono il P.S.S. nei confronti dell’alleato di Governo, il quale, approfittando della situazione, innestò un periodo di instabilità che portò a numerosi rimpasti e cambi di Governo.
Intanto, già con le elezioni del 1998, la gestione del voto estero era gradualmente sfuggito ai partiti e veniva organizzato da poche persone. Questo fatto condizionava gli esiti elettorali, non tanto per la composizione dei Governi, che a conti fatti non sarebbero cambiati, ma per quanto riguarda la composizione dei vari Gruppi Consiliari. E non solo, infatti lo stesso meccanismo elettorale si rifletteva anche sugli esiti dei Congressi Generali del Partito e quindi della composizione degli organismi interni: Assemblea Generale, Direzione e Segreteria. In questo modo, ad esempio, l’Assemblea Generale, composta di 45 membri, poteva contare una maggioranza di dipendenti di Consiglieri, soci di società, amministratori delegati e così via, i quali, nel momento delle decisioni da assumere dubito che mettessero avanti gli interessi generali a quelli propri.
Nel 2001 muore Remy Giacomini, ultimo vero leader al quale, sia compagni che avversari, riconoscevano una autorevolezza che negli uomini politici attuali non esiste più. Morto il pastore, il gregge “Giacominiano” si è smarrito e in molti hanno perso la stella polare che li aveva guidati per tanti anni e hanno sperimentato le strade dell’ambizione, della carriera, probabilmente, in alcuni casi, senza neppure rendersi conto di favorire quel rampantismo che a Remy non piaceva affatto e che ha sempre contrastato.
Con queste premesse si arriva alla vigilia del 39° Congresso Generale del P.S.S. Nel frattempo due Consiglieri che hanno messo in discussione l’operato del Segretario di Stato alle Finanze sono stati “congelati” e messi in quarantena, ed un gruppo di membri di Direzione hanno dato vita ad una corrente interna al Partito. Sarebbe stato sufficiente un passo indietro di qualcuno per scongiurare il peggio, invece niente, la dirigenza Socialista fece quadrato preferendo andare avanti a testa bassa.
La Corrente “Nuova San Marino” presenta allora un documento congressuale alternativo a quello diramato dalla dirigenza, in cui si chiede di affrontare serenamente la questione morale presente nel partito, di mettere in discussione i meccanismi di reperimento del consenso elettorale (voto estero) e di non dare corso all’unificazione con l’ex Partito Comunista per favorire un più consono Patto Federativo. La Dirigenza del PSS, preoccupata e acciecata dalla smania di potere, arriva a negare la possibilità di presentare il documento alternativo nelle riunioni di sezione in cui si sarebbero nominati i delegati del Congresso.
La Corrente “Nuova San Marino”, di fronte a questo fatto antidemocratico, non partecipa al Congresso e qualche mese dopo abbandona il PSS dando vita al Partito Socialista Nuova San Marino. La dirigenza Socialista prosegue nel suo intento e, con una operazione di vertice, chiude inspiegabilmente il PSS per dare vita, nel 2005, all’unificazione con il Partito dei Democratici, da cui nasce il Partito dei Socialisti e dei Democratici.
L’anno successivo però un altro gruppo lascia il neo Partito dei Socialisti e dei Democratici che, assieme agli aderenti di “Nuova San Marino”, danno vita al Nuovo Partito Socialista che ottiene un ottimo risultato elettorale nelle elezioni del 2008, entrando a fare parte del Governo.
Nel 2009 un altro nucleo di 8 consiglieri si stacca dal PSD per dare vita al Partito Socialista Riformista Sammarinese che raccoglie l’invito di N.P.S. per la rinascita del Partito Socialista senza aggettivi, a differenza del PSD che si chiama fuori per l’opposizione della componente interna dei Democratici. Il 30 maggio 2012, P.S.R.S. e N.P.S., si fondono e danno di fatto vita al Partito Socialista che torna così a vivere nel panorama politico sammarinese.
Ma tutto ciò che accadde in passato nulla insegnò, la degenerazione della ricerca del consenso, attraverso il tentativo di compra vendita dei voti di preferenza continuò anche nelle elezioni del 2012. Questo fatto, venuto alla luce qualche tempo dopo attraverso la pubblicazione di un video, provocò altre fuoriuscite dal Partito, che, riconfermando alla guida del medesimo i protagonisti del video citato perse di credibilità, di peso e di rappresentatività.
Oggi, 2020, i rumors ci dicono che la storia potrebbe ripetersi perchè i nipotini dei “Socialisti rampanti” del 1995, questi ultimi sicuramente più capaci dei loro successori, pare stiano brigando per chiudere il Partito Socialista per la seconda volta in 15 anni e ancora per privilegiare le proprie posizioni personali a discapito della salvaguardia di principi e di valori che dovrebbero stare alla base dell’operato socialista.
Sono passati una ventina di anni da quando tutto cominciò, ma il problema rimane sempre lo stesso: due modi diversi di interpretare l’impegno politico. C’è chi usa il Partito come mezzo di locomozione per fare carriera e mantenere posizioni di rendita, pronto a tutto, e chi invece continua a pensare che l’impegno socialista dovrebbe essere a favore dei cittadini, soprattutto dei più deboli. In tutti questi anni ha vinto quasi sempre “Barabba”, ma l’area socialista è stata ridotta alla marginalità!