Le leonesse di Moretti, docu sulle calciatrici immigrate

Assistono gli anziani, ci tengono le case in ordine, accompagnano i nostri figli a scuola o allo sport, sono colf, caregiver, babysitter, spesso invisibili ai nostri occhi oppure di famiglia nella migliore delle ipotesi, hanno parenti lontani, figli e genitori da mantenere con il loro lavoro. Un mondo di donne a parte, fatto di fatica, solitudine, abnegazione: un documentario lo racconta con un pretesto, la loro passione per il calcio, lo sport che praticano la domenica nel giorno di riposo, fuga, evasione, sfogo. Sono leonesse, Las Leonas, come il titolo del film di Chiara Bondì e Isabel Achával che passa oggi alle Giornate degli Autori, accompagnato oltre che dalle registe da sette di queste immigrate, un tappeto rosso che mai avrebbero sognato di calcare. E c’è con loro anche Nanni Moretti “che si è innamorato del progetto e ha voluto produrlo”, raccontano le registe all’ANSA. Moretti appare anche nel documentario, in una scena esilarante in cui ha il compito di acquistare le coppe per chi vincerà il campionato femminile di calcio in cui gareggiano squadre miste o delle varie nazionalità. Va nel negozio e gli spiegano che queste calciatrici vogliono coppe giganti, placcate d’argento per le loro vittorie, “insomma mi fate fare una bella spesetta” dice Nanni preoccupato per le sue finanze. Nel suo cinema a Roma, il Nuovo Sacher, programmerà il film, prodotto con Rai Cinema, distribuito da Academy Two al cinema dal 15 settembre e in anteprima a Roma, Milano e Torino dall’8 settembre. Il campionato a 8 femminile si è giocato sul campo Vis Aureia, il trofeo Las Leonas, ci sono latinoamericane ma anche cinesi, marocchine, capoverdiane, moldave, italiane. “Una passione che è anche riscatto sociale” raccontano le registe, mentre le loro storie affidate alla telecamera mostrano un lato nascosto di badanti, tate, domestiche, “i loro sogni, le loro aspirazioni”. Le veterane hanno cominciato alla Polveriera, un posto storico del Colle Oppio, un campo di terra ad un passo dal Colosseo che per anni è stato il luogo dove la domenica tante di loro facevano comunità, mangiando, bevendo, giocando a pallone. “Molte di loro sognavano di diventare professioniste del calcio, ma anche fare questo torneo significa dimenticare solitudini, lontananze, frustrazioni, la vita in un Paese straniero. Ci interessava valorizzare la forza di queste donne, il campo di calcio metafora dell’esistenza”.


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