In un mondo dove la concorrenza digitale si fa spietata, con software e prodotti informatici venduti a prezzi impossibilmente bassi, si nasconde spesso un’ombra di illegalità. È proprio da anomalie come queste che è partita un’indagine internazionale, culminata in sequestri massicci e nella scoperta di una delle più vaste frodi all’IVA mai individuate in provincia di Ravenna. Al centro, un meccanismo ingegnoso che ha distorto il mercato, favorendo profitti illeciti a danno della leale competizione.
Le fiamme gialle del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Ravenna, coordinate dalla Procura Europea con sede a Bologna, hanno colpito duro contro due società di capitali: una attiva nel Ravennate e l’altra nell’hinterland di Roma. I provvedimenti di sequestro preventivo, emessi dall’autorità giudiziaria, ammontano a circa 40 milioni di euro complessivi. Tutto è nato dall’analisi del settore della produzione e distribuzione di software, dove prezzi ultra-concorrenziali hanno insospettito gli investigatori, portando a verifiche approfondite che hanno varcato i confini nazionali.
Attraverso strumenti di cooperazione giudiziaria, le indagini si sono estese in Svizzera, nelle Antille olandesi (Curacao), in Belgio, Lettonia, Olanda e Ungheria. Qui, sono emersi flussi di fatture e denaro funzionali a una maxi-frode “carosello”, la più significativa mai rilevata in zona. Questo schema coinvolgeva numerosi soggetti, spesso fittizi e residenti all’estero, che facevano circolare merci – a volte solo sulla carta – per generare crediti IVA indebiti. L’obiettivo? Conquistare quote di mercato maggiori, incrementare vendite e profitti, arrivando persino a ottenere rimborsi fiscali o compensazioni illecite sulle imposte.
Nel caso della società ravennate, gli acquisti avvenivano a prezzi più bassi di quelli offerti dalla casa madre del software. Dalle chat informatiche acquisite e dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, è emerso che gli indagati erano consapevoli di operare in un “mercato grigio” o “mercato creativo”, come lo definivano tra loro, permettendo guadagni superiori al 10% su ogni pezzo venduto, nonostante prezzi di vendita allineati a quelli di acquisto ufficiali.
La consapevolezza del coinvolgimento nella frode era tale che, dopo alcune perquisizioni, amministratori e dipendenti pianificavano nei dettagli le risposte da dare agli investigatori per evitare sospetti. Questo ha portato alla denuncia non solo degli individui, ma anche della società per l’uso di fatture inesistenti per oltre 128 milioni di euro, con un danno all’erario di più di 27 milioni di euro in IVA evasa. Tali importi sono stati segnalati anche all’Agenzia delle Entrate locale.
Le indagini hanno rivelato un quadro più ampio: tra il 2015 e il 2022, oltre 70 società hanno emesso fatture false per più di 2 miliardi di euro. Coinvolta anche la seconda azienda, nel territorio romano, con fatture inesistenti per circa 53,5 milioni di euro. Qui, il sequestro ha toccato circa 12 milioni di euro, esteso all’amministratore di fatto, e ha incluso due auto d’epoca.
Fino a oggi, i sequestri hanno riguardato oltre 28 milioni di euro, tra saldi bancari e polizze (circa 21 milioni), immobili (6,5 milioni) e quote societarie (460mila euro). Per queste ultime, le autorità stanno valutando la nomina di un amministratore giudiziario per garantire la continuità delle attività imprenditoriali, su richiesta della Procura Europea.
Mentre il sipario cala su questa rete di inganni finanziari, le investigazioni proseguono per scovare altri possibili responsabili, in un impegno costante a tutelare l’economia da meccanismi che minano la fiducia nel sistema.