SENZA dubbio esser tagliato fuori dalla Consulta dispiace a Berlusconi, ma se n’è fatto rapidamente una ragione: «Avere un giudice a favore su 15 o nessuno cambia molto poco». Duole l’ennesimo sfregio di Renzi a un centrodestra che continua a pesare zero nelle istituzioni, ma non è che Silvio si strappi i pochi capelli: «È molto grave che la Corte non abbia al suo interno nemmeno un esponente del centrodestra che oggi tra gli elettori è la componente più importante», dichiara.
Paradossalmente, gli può fare addirittura comodo, perché lo qualifica come unica opposizione. Può attaccare i grillini, dire che sono come inciucisti asserviti al Pd e al suo capo. «Il premier stende i suoi interventi ovunque e pone i suoi uomini dovunque, mentre noi lasciavamo sempre una percentuale di nomine all’opposizione». Sicuramente entusiasta d’essere lì, sulle barricate antirenziane, è Brunetta. Dentro Forza Italia, però, c’è chi non la pensa così: non è sfuggito a nessuno il muso lungo di Romani come di altri azzurri convinti d’esser rimasti con un palmo di naso per le la pessima gestione di questa pratica da parte del capogruppo alla Camera. Il più scuro in volto è Sisto, che la promessa di un posto alla Consulta aveva dissuaso dalla rottura con Berlusconi per seguire Fitto.
MA LA LINEA dura serve per ritrovare un po’ di unità nel centrodestra, che è ciò a cui tiene il Cavaliere in questa fase: «Il mio ruolo lo deciderò dopo la sentenza di Strasburgo sul mio caso». Ecco perché alla presentazione del libro di Vespa
Donne d’Italia è molto prudente, attento a non irritare Salvini sulla Le Pen o a stuzzicare la Meloni su Roma. «Dopo anni, è necessario mettere fine alla diaspora nella coalizione». Non chiude le porte alle primarie «come ultima soluzione» per scegliere il leader «casomai non si trovasse un accordo». E apre, con giudizio, a Diego Della Valle: «Non so se potrebbe essere il candidato premier, ma magari scendesse in campo e facesse le scarpe alla sinistra».
SPARA a raffica su Renzi, «che non è un vero democratico», guida «un governo illegittimo», tanto che «nei panni di Mattarella, avrei già sciolto le Camere e indetto nuove elezioni». Non gli piacciono le misure di Palazzo Chigi per tutelare gli obbligazionisti beffati: «È malsana l’idea degli arbitri. Quelle 30mila persone devono essere tutte risarcite. E vanno pubblicati i nomi di chi ha ricevuto soldi da quelle banche e non li ha restituiti». Malgrado il pressing leghista, conferma la linea morbida sulla Boschi e non nasconde un certo imbarazzo a parlare di conflitto d’interessi: «Non sono così informato per poter dire se, nel suo caso, ci sia». Niente mozione di sfiducia individuale contro di lei perché «è una prassi di Forza Italia»; non ci sarà nemmeno convergenza su quella dei grillini. «Ci asterremo o usciremo dall’aula». Soccorso azzurro a Renzi o strategia per evitare divisioni? Lui rilancia: d’accordo con il leader del Carroccio e quella di Fdi – racconta – si punterà su una mozione di sfiducia al governo nel suo complesso, «perché il premier vuole tutto, ma è lì contro il voto degli italiani».
Noi che siamo democratici, insiste, continuiamo a confrontarci: per questo, ancora non c’è la quadra per le amministrative. «Sceglieremo i nomi all’inizio del 2016». In settimana vedrà Stefano Parisi per Milano, ma è già pronto per la campagna elettorale: «Nel ballottaggio con il Pd, vincerebbero i Cinquestelle ma sarebbe terrificante consegnare il Paese a quella banda di incapaci». Chiude con una battuta: «La donna che mi ha ha colpito di più? Quella che mi scagliò un sasso in testa in Veneto».
Resto del Carlino