Chiedere ai politici di istituire una commissione d’inchiesta per indagare sui complici politici della cricca è, a mio parere, una richiesta stupenda ma che non può avere seguito nonostante i politici abbiano l’obbligo di denunciare tali fatti.
Sarebbe come chiedere alla Banda Bassotti di installare un antifurto al deposito di Paperone. Questo paragone, che può strappare un sorriso, sintetizza una realtà molto più seria e inquietante, che riguarda la credibilità del sistema politico e istituzionale.
Viviamo in un sistema dove la politica troppo spesso si rivela autoreferenziale, chiusa in un circolo di interessi privati e accordi non sempre trasparenti.
Come possiamo credere che chi potrebbe essere parte del problema si impegni davvero a risolverlo? Non è forse naturale dubitare della volontà – o anche solo della capacità – di chi governa di fare chiarezza su questioni che potrebbero coinvolgere i propri colleghi o persino sé stesso?
L’idea di affidare la responsabilità di un’inchiesta a chi è potenzialmente coinvolto alimenta solo il senso di sfiducia che pervade sempre più i cittadini. Troppo spesso le commissioni d’inchiesta parlamentari si trasformano in strumenti per insabbiare, diluire o politicizzare le indagini, anziché affrontare con serietà i problemi. Il rischio è quello di aggiungere un’ulteriore beffa al danno, presentando come trasparente un processo che, in realtà, non fa altro che alimentare il sospetto.
La soluzione, secondo me, sta altrove.
Serve una commissione d’inchiesta composta da cittadini. Persone comuni, libere da legami con il potere politico, che possano operare con trasparenza e senza conflitti di interesse. Solo così si potrebbe sperare di avere un’indagine realmente indipendente e credibile. E, soprattutto, sarebbe un modo per ridare ai cittadini il controllo su questioni che riguardano la cosa pubblica e la giustizia.
Ma c’è un altro aspetto che non possiamo ignorare: il silenzio di molti.
Chi non è coinvolto direttamente, ma rimane in silenzio, non è forse altrettanto responsabile? L’omertà e la paura di esporsi sono complici silenziosi di un sistema che perpetua sé stesso. È facile puntare il dito contro chi è al potere, ma altrettanto facile è girarsi dall’altra parte per evitare problemi o per non mettersi in gioco.
È tempo che i cittadini si organizzino, discutano e agiscano.
Denunciare è un atto di coraggio, ma anche un dovere.
Non possiamo sempre aspettare che qualcun altro faccia il lavoro sporco al posto nostro. Troppo comodo, invece, nascondersi dietro figure come quella di Marco Severini, aspettando che sia lui a combattere per noi. Marco Severini è sicuramente un esempio di chi si espone in prima linea per la giustizia e la trasparenza, ma non possiamo delegare a una sola persona o ad un solo media, anche se come si è visto in altre occasioni capace di fare partire vere e proprie rivoluzioni bianche come nel 2017 con la pubblicazione dell’Ordinanza Morsiani sulla CRICCA, il compito di cambiare un sistema intero.
Se vogliamo davvero un cambiamento, dobbiamo essere pronti a metterci in gioco in prima persona. È una sfida difficile, ma necessaria. Perché un sistema che premia il silenzio e l’omertà è destinato a rimanere immobile.
E un paese immobile è un paese senza futuro, o questo è in mano ai mafiosi, di qualsiasi specie, o alla CRICCA.
Un lettore