Il comunicato della Democrazia Cristiana Sammarinese sull’Accordo di Associazione all’Unione Europea dimostra, ancora una volta, una narrazione tanto sicura quanto unilaterale, che prova a coprire le incertezze di fondo con dichiarazioni enfatiche e rassicuranti, ma non supportate da dati concreti o da una reale apertura al confronto democratico.
Il PDCS afferma che in questi mesi, grazie ai “recenti ed importanti passi in avanti” frutto del “confronto costante con la Commissione Europea”, il dibattito si sarebbe vivacizzato, ma allo stesso tempo denuncia che i toni sono diventati “parziali” e che i contenuti sono stati ridotti a slogan.
È curioso che un partito di governo, fautore di un accordo che cambia profondamente l’architettura normativa e istituzionale del Paese, tema la semplificazione mediatica ma rifiuti di offrire al popolo strumenti reali di approfondimento come una consultazione referendaria prima della firma dell’accordo stesso.
Non si può invocare la complessità tecnico-giuridica del testo per tacitare il diritto del cittadino a comprendere e scegliere.
Dire che “non è materia da social media” equivale a dire che non è materia da democrazia diretta, un messaggio gravissimo per uno Stato che si vanta di essere la più antica Repubblica del mondo.
Il PDCS ammette, con realismo, che l’accordo richiederà uno “sforzo ed un impegno rilevante” per San Marino, sia in termini di riforme amministrative sia di risorse. È una verità finora poco detta: l’implementazione dell’acquis comunitario comporterà, come confermato anche da relazioni ufficiali, una massiccia revisione dell’ordinamento sammarinese in centinaia di settori: giustizia, trasparenza fiscale, tutela ambientale, mercato del lavoro, appalti, concorrenza, energia, sanità, agricoltura, trasporti, dogane, solo per citarne alcuni.
Una spesa, inoltre, di milioni e milioni di euro, senza contare quanto abbiamo speso in questi anni.
Non esiste un solo ambito in cui San Marino potrà sottrarsi al recepimento delle norme europee: norme che saranno vincolanti, ma che San Marino non potrà contribuire a redigere, non avendo né diritto di voto né diritto di parola nei processi decisionali europei.
Questo si traduce in una cessione di sovranità normativa e regolamentare su vasta scala, una trasformazione radicale della nostra struttura giuridica, senza però un corrispettivo in termini di rappresentanza politica a Bruxelles. Chi tra i politici pensa ad un posto al calduccio in qualche palazzo della UE se lo può scordare! Non vi vogliono, nè avreste diritto.
Il PDCS ritiene che, nonostante questo sforzo, il ritorno in termini di accesso “strutturato, stabile e riconosciuto” al mercato unico europeo sia di valore incalcolabile. Ma questa affermazione merita un’analisi più attenta.
San Marino, anche dopo l’accordo, non entrerà nel mercato unico con pienezza di diritti: resterà uno Stato terzo, con regime doganale T2, ossia con documentazione e formalità per ogni esportazione e importazione verso l’UE. … Ma questo non lo dicono.
Non è previsto un ingresso nell’Unione doganale piena, né la libera circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e dei capitali come avviene per i paesi dello Spazio Economico Europeo.
Le aziende sammarinesi, quindi, continueranno a scontrarsi con ostacoli tecnici e pratici, ed è falso dire che l’accordo elimini le barriere all’ingresso in UE. E’ invece importante sottolineare che San Marino già oggi esporta verso l’UE oltre il 90% della propria produzione, grazie a trattati bilaterali, ad accordi doganali e a intese con l’Italia.
Il sistema funziona, pur con delle difficoltà, ma è sostenuto da una fitta rete di rapporti diplomatici, non da una posizione di isolamento, come si vuol far credere.
Il documento parla anche di “maggiore attrattività per gli investimenti” e di “riconoscimento istituzionale”, ma non fornisce uno straccio di prova su come questo beneficio si concretizzerà.
*** San Marino non potrà accedere a fondi strutturali dell’Unione, né al PNRR europeo, né a programmi di coesione. Siete degli illusi se pensate di risolvere il debito pubblico con il ricorso a questi fondi che non vi daranno mai! ***
Gli unici fondi disponibili saranno quelli già oggi accessibili in quanto paese terzo, su base selettiva (basta vedere quanto è riuscito a fare il vulcanico Segretario Pedini con ben 4 gare tutte vinte dove ha potuto portare a San Marino fondi europei destinati a paesi terzi).
Nessun piano di sviluppo straordinario è previsto in virtù dell’accordo.
Anche sul fronte della mobilità individuale, l’Accordo di Associazione non comporta cambiamenti sostanziali per i cittadini sammarinesi. Già oggi, infatti, essi possono circolare liberamente all’interno dell’Unione Europea grazie a consolidati accordi bilaterali, senza necessità di visto e senza particolari restrizioni, pur non facendo parte formalmente dello spazio Schengen. Dunque, la narrazione secondo cui l’accordo porterebbe chissà quali benefici in termini di libertà di movimento appare infondata: quella libertà, nella pratica, già esiste. Al contrario, ciò che potrebbe invece cambiare è l’accesso al nostro territorio da parte dei cittadini europei. Attualmente, l’ingresso di residenti comunitari è soggetto a limiti e contingentamenti, anche se con alcune deroghe. Ma fino a quando sarà così? L’accordo, nel suo impianto, non esclude che un giorno – magari sotto pressione di Bruxelles o per armonizzare normative – San Marino venga spinta a rimuovere questi limiti e ad aprire più ampiamente le proprie frontiere. E chi ci garantisce che in nome dell’“integrazione” non si arrivi, progressivamente, a una sorta di obbligo di accoglienza, anche per flussi migratori che oggi non ci riguardano? È un rischio concreto, e ignorarlo sarebbe un atto di grave ingenuità politica.
Sul piano simbolico, l’accordo darà maggiore “visibilità internazionale”? Forse, ma a quale costo? Per ottenere una “foto di gruppo” in più o qualche trasferta per qualche politico a Bruxelles magari con alloggio in alberghi a 5 stelle (pagati ovviamente da San Marino), rischiamo di perdere il controllo della nostra agenda normativa, adeguandoci alle direttive europee in settori delicatissimi, dalle concessioni pubbliche alla giustizia penale, senza poterne influenzare né i tempi né i contenuti.
L’affermazione più inquietante del comunicato è quella secondo cui l’alternativa all’accordo sarebbe l’isolamento strategico e commerciale, la marginalizzazione e una relazione “asimmetrica” con l’Italia.
Si tratta di una mistificazione.
San Marino intrattiene da sempre relazioni solide con l’Italia e tantissime nazioni in tutto il mondo, disciplinate da trattati bilaterali, protocolli sanitari, accordi fiscali, doganali e monetari.
Il nostro Paese è interconnesso, non isolato.
La cooperazione con il mondo è continua, e nessun governo italiano ha mai espresso intenzione di marginalizzare San Marino in assenza dell’accordo con l’UE. Anzi, la diplomazia italiana si è spesso dimostrata sensibile nel garantire a San Marino specificità e flessibilità.
Il vero pericolo sarebbe trovarsi, con un Accordo di Associazione UE firmato, costretti a chiedere ogni deroga e ogni eccezione non a Roma, ma a Bruxelles, senza alcuna forza contrattuale. Vogliamo davvero farlo?
La relazione asimmetrica non è quella con l’Italia, ma quella che si instaurerebbe con l’Unione: un gigante normativo che impone regole uniformi anche ai microstati, ma che non riconosce loro alcun peso negoziale.
Il PDCS sostiene che, senza l’accordo, San Marino dovrebbe stipulare intese bilaterali con ogni Stato UE. Ma è proprio così che ha operato finora. Accordi fiscali, previdenziali, sanitari, culturali, e in materia di istruzione sono stati firmati singolarmente con decine di paesi, in piena autonomia, tutelando al tempo stesso la sovranità.
L’accordo proposto, invece, prevede l’adozione automatica e progressiva di migliaia di pagine di acquis comunitario, con sanzioni e procedure di infrazione in caso di mancata attuazione. In cambio, San Marino non otterrà posti nei consigli decisionali europei, né diritto di voto, né facoltà di veto. La voce di San Marino sarà ascoltata solo a livello tecnico, senza garanzie di rappresentanza.
Una relazione che appare più come una subordinazione che una cooperazione tra pari, infatti nè Andorra (a breve) nè Monaco hanno voluto sottoscriverlo.
Quanto al settore bancario e finanziario, si sostiene che l’accordo scongiurerà l’isolamento. Ma si dimentica che il sistema bancario sammarinese ha già dovuto affrontare sfide enormi dopo la fine del segreto bancario, e poi con le crisi di Banca Commerciale, di Asset, Carisp e di Banca Cis, La trasparenza fiscale, l’adeguamento agli standard GAFI e la cooperazione internazionale sono già stati raggiunti, e sono oggetto di intese multilaterali già in vigore.
Non serve un trattato di associazione per garantire standard adeguati nel settore bancario e finanziario. Ciò che serve davvero, oggi più che mai, è una politica economica seria, coerente, coraggiosa, e una vigilanza moderna, snella ed efficace, (non ceduto all’Italia ndr) capace di garantire stabilità e fiducia senza dover sottostare a una burocrazia estranea ai nostri reali bisogni.
È un’illusione, pericolosa e fuorviante, quella di pensare che l’Europa risolverà i problemi interni del nostro sistema finanziario. Perché non sarà così. Nessun meccanismo automatico dell’accordo di associazione porterà benefici concreti, né ci saranno iniezioni dirette di capitali o aiuti strutturali. Al contrario, c’è il rischio reale che, entrando nel circuito normativo europeo, le nostre banche, già fragili e sotto pressione, si ritrovino soffocate da una mole di norme, direttive e requisiti che oggi nemmeno riescono a gestire pienamente. E peggio ancora: ciò avverrà senza contropartite vere, senza un accesso pieno al mercato unico dei servizi finanziari, ma con la porta spalancata alla concorrenza di gruppi bancari internazionali che, forti della loro potenza e capacità di scala, nel giro di pochi mesi potrebbero spazzare via l’intero sistema sammarinese. Vogliamo questo?
Non c’è nulla che tuteli la nostra specificità, nessuna clausola di salvaguardia per le piccole realtà come la nostra. E quando tutto questo accadrà, quando ci accorgeremo che invece di rafforzarlo abbiamo definitivamente aperto il varco per distruggere il nostro sistema bancario, sarà troppo tardi. E allora dirvi “Ve l’avevamo detto” non servirà a nulla.
Perché i danni saranno già stati fatti e, ancora una volta, a pagarne il prezzo saranno i cittadini, i lavoratori e le imprese sammarinesi come è avvenuto per la questione del ”bilancio farlocco dei -534 milioni” e del caso di Banca Cis. Chi ha pagato? Sempre e solo i cittadini sammarinesi.
Infine, la conclusione del comunicato, che conferma la fiducia nel Segretario Beccari e denuncia attacchi gratuiti, merita una risposta netta. Le critiche all’operato del Segretario non sono né gratuite né personali. Sono politiche, documentate e motivate. Il popolo sammarinese ha reagito con forza all’idea che l’accordo non debba essere sottoposto a referendum prima della firma. È inaccettabile che si dica che “i cittadini non possono capirlo”, come se il popolo non avesse la maturità necessaria per scegliere il proprio futuro.
Se davvero l’accordo porterà tutti i benefici sbandierati, perché temere un voto popolare prima della sua entrata in vigore?
La verità è che si vuole evitare il rischio di un rigetto, e si preferisce il fatto compiuto. La proposta di un referendum ex post, “dopo qualche anno”, è un contentino senza valore giuridico e politico: l’accordo, una volta firmato e ratificato, non sarà più modificabile unilateralmente. Il popolo non potrà più dire la sua. E’ un inganno!
Il comunicato del PDCS tenta di presentare l’Accordo di Associazione come una scelta inevitabile, (e pensare che nel 2013 erano contro all’adesione alla UE) un’opportunità storica, una via obbligata per il futuro del Paese. Ma a ben guardare, i vantaggi restano vaghi e incerti, mentre i costi sia economici, sia in termini di sovranità, complessità normativa, rigidità istituzionale e perdita di autonomia sono evidenti, concreti e irreversibili.
L’alternativa esiste, ed è quello che abbiamo fatto fino ad ora, ovvero quella di un percorso autonomo, fatto di accordi bilaterali mirati, di collaborazione con l’Italia e con l’Europa su base paritaria, non subordinata.
La vera sfida non è adattarsi ai vincoli europei per sentirsi più grandi.
La vera sfida è crescere come Repubblica libera, coerente con la sua storia millenaria, con le sue istituzioni e con il suo popolo. E questa scelta spetta al popolo, non ai tecnocrati né ai segretari di Stato.
Per questo l’unica via onesta, democratica e legittima è il REFERENDUM prima della firma. Qualsiasi altra strada è un tradimento della volontà popolare.
Marco Severini – direttore GiornaleSM