San Marino. Dott. Giordano Zonzini (biologo nutrizionista): “Obesità è un fattore di rischio”

Attualmente la ricerca scientifica e l’intera sanità sono concentrati prevalentemente – come è giusto che sia – sulla ricerca di farmaci e vaccini specifici ed efficaci contro l’infezione da Corona Virus (COVID-19).

Più raramente si è aperto il dibattito su cosa ogni persona, curando il proprio stile di vita, possa fare per proteggersi dall’insorgenza dell’infezione da COVID-19 o eventualmente, in caso di positività, per migliorarne la prognosi e ridurne la numerosità e/o l’entità dei sintomi. Prima di procedere, è importante chiarire il concetto di “fattore di rischio”; un fattore di rischio è una determinante la cui presenza aumenta la probabilità d’insorgenza di un evento. Esistono fattori di rischio ben noti all’intera comunità legati all’insorgenza della predetta infezione, quali, ad esempio, età e la presenza di patologie concomitanti. Si è sentito parlare di rado di un fattore di rischio contro il quale combattiamo invano da anni e che non conosce barriere sociali, geografiche o di età: l’obesità. In Italia si registrano 23 milioni di soggetti sovrappeso, di cui circa 6 milioni sono obesi. Si tratta di cifre da capogiro, premonitrici di una situazione drammatica contro cui ogni stato deve fare i conti; mentre in origine l’eccesso ponderale era collegato a condizioni di benessere economico, si registra negli ultimi anni un incremento dell’incidenza anche nelle fasce meno abbienti della popolazione e negli Stati in via di sviluppo. Molti si chiederanno cosa possa c’entrare l’obesità con l’infezione da COVID-19. La risposta a questa domanda sta proprio nel concetto di fattore di rischio. L’obesità rappresenta, infatti, un fattore di rischio per l’insorgenza di numerose patologie cronico-degenerative (es. diabete di tipo 2 ecc.), tumorali, cardiovascolari ed anche infettive. È opportuno specificare che ancora non esistono studi che abbiano valutato l’incidenza dell’obesità nei soggetti affetti da infezione da CoronaVirus e nemmeno lavori scientifici che valutino la correlazione tra obesità in soggetti COVID-positivi ed esiti clinici. Tuttavia dati interessanti da cui prendere spunto per fare una riflessione provengono da un contesto clinico differente, di cui protagonista è l’influenza pandemica H1N1. È emerso che la condizione di obesità influenzava negativamente il decorso della malattia ed era associato ad un aumentato tasso di ricovero e di mortalità in soggetti affetti da influenza. In particolare è stato osservato, ad esempio, che la metà circa dei soggetti con una età superiore ai 20 anni ricoverati negli USA fosse obeso; tale osservazione ha portato a considerare l’obesità come un importante fattore di rischio anche per soggetti con una età inferiore a 60 anni. Uno dei segni che desta più pericolo legati all’infezione da COVID è l’insorgenza di una polmonite bilaterale. Un recente lavoro scientifico ha valutato la correlazione esistente tra obesità e funzione polmonare. Un incremento eccessivo di peso si accompagna ad una riduzione dei volumi polmonari rilevati in spirometria (marker di funzionalità polmonare), anomalie nella ventilazione e nella perfusione e ad una maggiore inefficienza dei muscoli respiratori. È logico il collegamento di cosa possa accadere nel caso in cui una polmonite aggressiva possa colpire una funzionalità respiratoria già compromessa lievemente o seriamente, come quella di un obeso.
L’obesità sembra, di conseguenza, aumentare la probabilità di insorgenza di patologie infettive (tra cui quelle influenzali) ed associarsi ad esiti clinici peggiori in caso di riscontro di tali patologie. Non basterebbe una giornata per spiegare i meccanismi alla base di questo fenomeno, tuttavia si può semplificare il tutto sostenendo che una condizione di obesità determina una disregolazione del sistema immunitario, quella fitta rete cioè di mediatori chimici, cellule e di strutture biologiche in grado di difendere l’organismo da qualsiasi forma di “insulto”, chimico, traumatico ed anche infettivo. Abbiamo compreso negli ultimi decenni che quello che volgarmente chiamiamo “grasso” è tutt’altro che inerme; si tratta piuttosto di un vero e proprio organo. Un accumulo eccessivo di grasso, specialmente a livello viscero-addominale, determina l’insorgenza di una infiammazione sistemica silente di basso grado. Un soggetto obeso tende a rilasciare massivamente mediatori infiammatori che possono “disturbare” la comunicazione cellulare tra gli adipociti (cellule costituenti il “grasso”) e i globuli bianchi, grazie al cui intervento l’organismo umano si difende dagli attacchi di virus, batteri, parassiti, e da corpi estranei che penetrano al suo interno. Tutto ciò si traduce in un malfunzionamento del sistema immunitario, in meccanismi di difesa meno efficiente ed in una maggiore suscettibilità alle malattie infettive.

Giordano Zonzini

Repubblica Sm