San Marino e “Cricca”. La conferma è in una sentenza giudiziaria: nel buco da 800mln di euro pubblici la politica non può più chiamarsi fuori! … di Enrico Lazzari

Premessa: non sarò breve! Purtroppo, oggi, non posso esserlo: il tema è troppo importante e la fonte troppo autorevole, per sorvolare su alcuni aspetti secondari, perchè di secondario, nella sentenza del Giudice Saldarelli, nel primo grado del processo a Confuorti e i vertici di Banca Centrale dei tempi che furono (leggi qui), non sembra esserci nulla. Almeno sul fronte delle implicazioni, delle responsabilità dirette ed indirette della classe politica che ha governato il Paese negli anni più bui della storia moderna sammarinese, il decennio scorso.

Sotterrerò, oggi, anche la mia fida compagna di scrittura, quell’ascia di guerra che rende palese, evidente e palpabile il mio sdegno – al pari di quello di chi, come me (e mi riferisco a Marco Severini e l’intero suo GiornaleSm) si è consumato le dita negli anni per cercare di scoperchiare il “pentolone” che ancora oggi nessuno vorrebbe “aprire” – relativamente a certe mancanze politiche che mi paiono assurde, specie oggi che autorevoli sentenze rendono palese l’impronunciabile!

Enrico Lazzari

Del resto, chiunque abbia letto con attenzione la sentenza del “299/RNR/2022”, non può non intenderla diversamente da un riflettore puntato su un palcoscenico che vorremmo dimenticare, ma che non possiamo ignorare. Quelle 49 pagine non sono solo cronaca giudiziaria, ma rappresentano il tassello di un puzzle più grande, che racconta un decennio in cui un gruppo ben organizzato – chiamiamolo pure la “Cricca” – ha scalato i poteri dello Stato, lasciando dietro di sé una scia di danni economici e istituzionali quantificati, a spanne, in circa 800 milioni di euro, due terzi del debito pubblico sammarinese (leggi qui). Questo editoriale di approfondimento si concentra esclusivamente sulle implicazioni politiche, dirette e indirette, che emergono o si nascondono tra le righe di questa sentenza, senza avventurarsi in altri procedimenti giudiziari, perchè altrimenti servirebbe una enciclopedia! Il quadro che ne esce è chiaro: la politica ha avuto un ruolo, attivo o passivo, in questa vicenda, e ora che ciò è riconosciuto in un atto autorevole, per di più giudiziario, non può più esimersi dal fare i conti con le proprie responsabilità. Serve una Commissione Consiliare d’Inchiesta! E serve subito.

Partiamo dall’inizio, o meglio, da uno dei primi atti di questa triste saga, così come ricostruita dal Giudice Saldarelli. Nel 2010, quando Banca Partner – poi diventata Banca CIS – era sotto la lente della vigilanza, si registrano i primi tentativi di interferenza (Vicenda Gabriele Gatti e Antonella Mularoni – leggi qui). “Proprio in concomitanza con la prima ispezione presso Banca Partner – si legge nella sentenza -, avviata nel mese di gennaio del 2010, si collocavano i primi tentativi di condizionare l’operato di Banca Centrale” (pag.9). È l’antefatto di una scalata che vede Banca CIS finire al centro di un sistema che, passo dopo passo, ha compromesso l’autonomia delle istituzioni finanziarie sammarinesi e non solo. Ma lasciamo questo episodio sullo sfondo, come un prologo, e concentriamoci su ciò che la sentenza rivela in modo più diretto.

Avanti veloce al 2016, quando la nomina di Wafik Grais a Presidente di Banca Centrale segna un punto di svolta. “La procedura che aveva portato alla nomina di Wafik Grais alla presidenza di Banca Centrale, avvenuta nel gennaio del 2016, aveva presentato alcune anomalie, a cominciare dalla divulgazione di informazioni che avrebbero dovuto restare riservate, che causò il ritiro dei candidati della shortlist finale, finendo per far ricadere la scelta sull’unico aspirante che non conosceva la lingua italiana” (pag 14). Anomalie, dice la sentenza. Traduciamo: una selezione pilotata, che puzza di intervento politico lontano un miglio. Gian Carlo Capicchioni, allora Segretario alle Finanze, era al timone di questa decisione, e il risultato è stato un Presidente che, invece di rafforzare l’indipendenza di BCSM, ha aperto la porta a una gestione discutibile. È il primo segnale di una politica che, invece di vigilare, sembra aver favorito – consapevolmente o meno – un sistema di potere parallelo.

Questo sistema trova il suo apice con Lorenzo Savorelli, nominato Direttore Generale di BCSM – secondo la sentenza – “su indicazione” di Francesco Confuorti: “È possibile che Confuorti – sono parole attribuite a Grais – mi abbia chiesto di proporre Savorelli a San Marino, dal momento che conosce entrambi” (pag.15). Una frase che, letta oggi, fa drizzare i capelli: un privato, manco sammarinese, che suggerisce il nome del capo della vigilanza bancaria non è esattamente il manuale della trasparenza. Sotto Savorelli, e poi sotto Roberto Moretti, la governance di BCSM diventa un campo minato. Funzionari competenti vengono messi alla porta con una rapidità che lascia sbalorditi. Prendiamo Giuliano Battistini, licenziato per un errore banale: “Battistini veniva licenziato da Savorelli a fronte di un erroneo inoltro all’indirizzo mail di un esponente di Scudo Investimenti SG, di missiva telematica del 14 settembre 2016” (pag.3). Una mail sbagliata e sei fuori, come se la competenza fosse un optional. E poi c’è Luca Beccari, spedito in esilio burocratico: “Beccari viene spostato in un altro ufficio al piano seminterrato lontano dai locali della direzione ove prima si trovava, con divieto di accesso agli altri uffici” (pag.33). Una mossa che sa di epurazione, non di riorganizzazione.

Ma il vero capolavoro è il blocco della Centrale Rischi, un progetto che avrebbe dovuto portare trasparenza e credibilità al sistema bancario sammarinese. “Il progetto della Centrale Rischi, fondamentale per lo scambio di dati con l’Italia, era quasi concluso quando venne bloccato inopinatamente, causando un grave danno reputazionale nei rapporti con Banca d’Italia, i cui effetti negativi permangono a tutt’oggi” (pag.43). Questo non è solo un errore tecnico: è una scelta che ha compromesso i rapporti internazionali di San Marino, isolandolo e danneggiandone la reputazione. 

E la politica? Silenzio. Nessun intervento, nessuna reazione, come se il disastro fosse un film da guardare con i popcorn.

Arriviamo al 2017, con la nomina di Roberto Moretti a Direttore Generale. “Contattato direttamente da Simone Celli, all’epoca Segretario alle Finanze” (pag.31). Ancora una volta, la politica entra a gamba tesa in una decisione che dovrebbe essere tecnica, indipendente, blindata. Moretti, condannato in primo grado per abuso d’autorità, porta avanti l’opera di smantellamento: “La nuova governance di Banca Centrale, prima sotto Savorelli e poi sotto Moretti, ha operato una serie di trasferimenti e licenziamenti ‘senza alcuna logica’ di funzionari esperti, con l’obiettivo di favorire gli interessi di Banca CIS a discapito degli interessi del Paese” (pag.43). Senza logica, dice la sentenza. Ma una logica sembra esserci, e pare quella di chi voleva una Banca Centrale al servizio di pochi, non del Paese.

Le implicazioni politiche di questa vicenda non si fermano qui. Tra le righe della sentenza si legge una storia più ampia, fatta di una classe politica che, per incapacità o distrazione, non ha visto – o non ha voluto vedere – ciò che stava accadendo. “La classe politica non ha istituito meccanismi efficaci per prevenire o punire tali condotte, indicando una carenza di accountability” (pag.44). È un’accusa implicita, ma pesantissima: il governo dell’epoca non ha vigilato, non ha controllato, non ha agito. E il risultato? “La crisi finanziaria aggravatasi nel corso degli anni ed esitata, nel 2019, nelle procedure di amministrazione straordinaria e risoluzione, ha imposto allo Stato sammarinese l’adozione di misure straordinarie per mettere in sicurezza l’intero sistema-paese” (pag.9, riferimento a Banca CIS). Tradotto: 800 milioni di euro di danni, un fardello che i cittadini stanno ancora pagando.

La giustizia, va detto, sta facendo il suo dovere. La sentenza è solo uno dei tanti procedimenti che stanno portando luce sulle responsabilità penali, con una magistratura che, dopo anni di lentezze e bersagli sbagliati, sembra aver ritrovato ritmo e determinazione. “Alla data di pronuncia del dispositivo della presente sentenza, Moretti risulta essere stato condannato in primo grado per i fatti addebitatigli ai capi VI e VII” (pag.31). Altri, come Confuorti e Savorelli, sono usciti di scena per decorrenza dei termini: “Dichiara non doversi procedere nei confronti di Confuorti Francesco, Savorelli Lorenzo, Siotto Filippo in ordine al reato continuato di abuso di autorità, così qualificati i fatti loro ascritti al capo 1) dell’imputazione, perché estinto per decorrenza del termine massimo di prescrizione” (pag.49). Non è colpa della prescrizione in sé, ma di un sistema giudiziario che, in passato, ha arrancato. Oggi, però, i processi si susseguono, e la verità penale sta emergendo con chiarezza.

Eppure, manca un pezzo fondamentale del puzzle: le responsabilità politiche. Nessun politico, per ora, risulta indagato o rinviato a giudizio in questa serie di procedimenti penali, ma la sentenza grida a gran voce che senza un “lasciapassare” politico, inteso nella migliore delle ipotesi come “distrazione”, la “Cricca” non avrebbe potuto penetrare così a fondo nelle istituzioni. Le nomine pilotate, le epurazioni, il blocco della Centrale Rischi: tutto questo accade in un “vuoto” di potere.L’urgenza di riforme in termini di governance, trasparenza e accountability, emerse come carenze strutturali” (pag.44). Questa frase è un monito: la politica ha fallito nel suo ruolo di garante dell’interesse pubblico, e ora deve rispondere vista la gravità di quanto accaduto.

Ed è qui che entra in gioco la necessità di una Commissione Consiliare d’Inchiesta. Non si tratta di fare caccia alle streghe, ma di capire come sia stato possibile che un gruppo organizzato abbia potuto agire indisturbato, occupando posizioni chiave e causando un danno economico e reputazionale così devastante. La Commissione non deve sostituire la magistratura, che sta già facendo luce sulle violazioni penali, ma deve scavare lì dove i tribunali non arrivano: nelle scelte politiche, nelle omissioni, nelle connivenze passive. Perché se è vero che nessun politico è indagato in questo procedimento, è altrettanto vero che la politica non può chiamarsi fuori. Le 800 milioni di ragioni – tante sono le monete di euro di perdita – lo pretendono.

San Marino non può permettersi di lasciare questo puzzle a metà. La sentenza n. 299/RNR/2022 è un invito a fare i conti con il passato, non solo per punire i colpevoli, ma per costruire un futuro in cui le istituzioni siano davvero al servizio del Paese. E chi non ha saputo – o voluto – servire a dovere il Paese, finisca fuori da queste stesse Istituzioni. La politica non può più girarsi dall’altra parte: una Commissione d’Inchiesta è urgente, necessaria, inevitabile… Fra le righe lo dice anche un Giudice, nientemeno che in una sentenza! 

Enrico Lazzari

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