Cari sammarinesi, ritirate fuori i popcorn dalla dispensa e tenetevi forte: non stiamo parlando di un gruppo di ladruncoli in doppio petto che si è limitato a devastare il sistema bancario provocando lo svuotamento le casse pubbliche. No, qui il copione è più cupo, più melodrammatico, degno di un thriller politico con tanto di maschere e pugnali.
C’è un mostro a più teste, un “gruppo criminoso” – così battezzato dal Commissario inquirente Elisa Beccari – che non si è accontentato di saccheggiare banche, ma ha provato a mettere le proprie mani sporche sulla vostra sovranità popolare, quella che rende San Marino una Repubblica e non un feudo di burattinai. E mentre la maggioranza che conta – quella dei salotti buoni e dei selfie a Palazzo – sembra voler insabbiare tutto sotto un tappeto di seta, ci sono tre fatti, tre schiaffi in faccia, che urlano più forte di una sirena in pieno giorno.

Fatti con protagonisti che ormai conoscete a memoria: Alberto Buriani e Simone Celli, fresco duo condannato in secondo grado – fra l’altro, almeno il primo – per tentata concussione ai danni di Catia Tomasetti, presidente di Banca Centrale. Ma attenzione: non è solo di banche che si parla. È di potere, di politica, di democrazia, di Diritto, di un assalto al cuore della Repubblica.
Primo atto, scena uno: il magistrato con la toga da tessitore politico. Alberto Buriani, non contento di sparare ordinanze come un pistolero al tramonto, sembra aver avuto anche un occhio di riguardo per gli equilibri politici. Secondo le parole dell’ex Consigliere Giovanni Lonfernini e del “Buriani-Boy” pentito Roberto Ciavatta – ex Segretario alla Sanità con un passato da fan sfegatato del “Di Pietro” biancazurro – “il giudice Buriani consigliò esplicitamente” a Ciavatta e al Movimento Rete di “entrare nella compagine di governo di AdessoSm”. Un invito a cena? Un consiglio tra amici? Macché: un biglietto “omaggio” per rafforzare quel governo, quella maggioranza, forse quel sistema. Domanda da un milione di euro: perché un magistrato, oggi rinviato a giudizio per associazione a delinquere, si prendeva tanto a cuore gli assetti di Palazzo? Che ci guadagnava? E soprattutto, che filo rosso avrebbe potuto legare quel governo al “gruppo criminoso” di cui Buriani era presunto compare? Coincidenze? A San Marino, le coincidenze hanno il sapore di una sceneggiatura ben scritta…
Secondo atto, scena due: un Segretario di Stato sotto “ricatto”? Simone Celli, ex Segretario alle Finanze di Adesso.Sm, non si limitava a scrivere decreti a “quattro mani” con il finanziere Confuorti. No, lui aveva anche il tempo di dispensare consigli alla presidente di BCSM, Catia Tomasetti, suggerendole di “avvicinarsi” a Mario Venturini e Nicola Renzi di Repubblica Futura. Avvicinarsi? Per un tango sotto le stelle? Per un brindisi al bar? O per ungere gli ingranaggi di un sistema che voleva una vigilanza bancaria con il guinzaglio corto? E qui il sipario si alza: che vantaggio ne traeva Celli, o chi lo manovrava, da questo “avvicinamento”? Era un favore tra “amici”, tra un tempo “colleghi” o un altro tassello di un domino politico-finanziario che puntava a tenere tutto sotto controllo? Due sentenze dicono che Celli e Buriani lavoravano in tandem: non è difficile immaginare che il loro gioco potesse non finire ai confini di Bcsm.
Terzo atto, gran finale: Paride Andreoli e la profezia con la firma anonima. E poi c’è la ciliegina sulla torta, un tocco di noir che farebbe invidia a Hitchcock. Una mail anonima, spedita il 14 settembre 2015 da un misterioso “123stella@sigaint.org” al leader socialista, con un messaggio che sembra uscito da un oracolo: “In autunno Paride Andreoli sarà sacrificato sull’altare della giustizia”. Firmato: “Un tuo estimatore d’un tempo”. Sei mesi dopo, ad Autunno, Andreoli si dimette, travolto da un’indagine dello stesso Buriani. Coincidenza? Forse, ma quando le profezie si avverano, viene il sospetto che quel mittente sapesse più di quanto dicesse.
E non è tutto: “La spada Carrirolo pende su Simone Celli”. Quella spada – metaforica, ma affilata come una lama – pendeva ancora quando Celli, da Segretario di Stato, giocava a fare il legislatore bancario con Confuorti o quando cercava di piegare la Tomasetti e “avvicinarla” ad una precisa componente politica dell’allora maggioranza AdessoSm? Era sotto ricatto? E chi altri, eventualmente, tra i corridoi di Palazzo, aveva una spada sulla testa, pronta a cadere?
Ecco il quadro, cari sammarinesi: il “gruppo criminoso” non era solo una banda di predoni finanziari. Era un’orchestra di burattinai che provava a stuprare la vostra sovranità, a riscrivere gli equilibri politici, a mettere in scena un “golpe bianco” usando la toga e la penna. Buriani, infatti, secondo quanto possiamo dedurre dai fatti sopra citati, non appariva solo un magistrato: sembrava un tessitore di alleanze, un architetto del potere. E Celli non pareva solo un politico, o ex politico, ma un esecutore, forse un ostaggio di spade invisibili. E quella mail anonima inviata ad Andreoli? Un copione mandato in anteprima a chi doveva recitare la parte. E forse ha deciso di non recitarla…
E ora? Mentre il Tribunale inchioda Buriani e Celli per tentata concussione, e spedisce a giudizio il primo per associazione a delinquere, la politica che fa? Dorme, sussurra, “auspica chiarezza” come se bastasse una candela per illuminare un abisso. Cari consiglieri, svegliatevi: non è tempo di auspici, ma di picconi. Serve una Commissione d’Inchiesta parlamentare, serve scavare fino all’osso, serve tirare fuori i nomi di chi – ricattato o no – ha lasciato che il Titano finisse in ginocchio. Perché se il “gruppo criminoso” ha potuto osare tanto, è anche perché qualcuno, tra i “sessanta” eletti, non si è rivelato all’altezza, ha girato la testa o, addirittura, ha steso il tappeto rosso. San Marino non è un palcoscenico per i vostri monologhi istituzionali e selfie affascinanti. È una Repubblica che merita rispetto. E voi, cittadini, non state a guardare: i pomodori (metaforicamente s’intende) sono maturi, il Pianello è pronto, voi altrettanto. Se la politica non si muove, il prossimo atto sarà tutto vostro… Magari in un’urna referendaria, non mataforica, questa volta.
Enrico Lazzari