San Marino. La metamorfosi del giornalista in giudice …. di Stefano Ercolani

Schermata 2016-02-16 alle 22.24.19Torno con questo articolo su un argomento importante, quello del rapporto fra giornalismo e giustizia. Entrambi sono patrimonio di tutti i cittadini onesti e non un privilegio di alcuni. C’e? dunque grande rispetto per la magistratura, per il suo lavoro, per la sua autonomia.

Il controllo di legalita? nei confronti di chiunque e? doveroso in democrazia, solo si corre il rischio, nel lasso di tempo in cui i processi vengono portati avanti, che professionalita?, carriere importanti e aziende vengano distrutte. A scanso di equivoci, non mi riferisco certo alle toghe, ne? ai giornalisti seri, ma a coloro i quali di mestiere speculano sul dolore altrui. In questo modo non si contribuisce certo al bene della giustizia.

Gli imputati da parte loro debbono poter contare su una personalita? intagliata nel duro legno e portare avanti le rispettive attivita? se la tranquillita? della coscienza glielo consente. Eppure cio? non e? sufficiente quando il giornalista voglia trasformarsi in giudice. Lo ha denunciato di recente Vittorio Roidi, ex segretario dell’Ordine dei giornalisti, nonche? autore nel 1992 del volume Coltelli di carta.

Egli si e? lungamente battuto affinche? il giornalismo giudiziario tenesse conto della necessita? di difendere la dignita? dell’individuo, la sua privacy, il suo diritto alla presunzione di innocenza. “I processi non sono romanzi ma storie di esseri umani in carne e ossa”. Vale a dire che il giornalista deve saper contemperare il diritto-dovere di informazione con il rispetto della persona perche? e? fuor di dubbio che il diritto di difesa degli imputati sia un principio irrinunciabile, senza il quale si slitta pericolosamente verso il sopruso e la barbarie. Tante volte invece e? accaduto che le accuse lanciate dai media fossero piu? forti di qualsiasi dichiarazione dell’imputato.

Per questo il magistrato Catello Maresca della Direzione distrettuale antimafia di Napoli nella lunga intervista rilasciata a Tribuna ha sottolineato, nel delicato rapporto tra media e giudici, l’esistenza di regole che andrebbero assolutamente rispettate.

“L’utilizzo in certi casi di informazioni giudiziarie – afferma – mi pare incomprensibile. Quel che posso dire, avendo partecipato anche a convegni sul rapporto tra magistrati e informazione, e? che i processi si devono fare nel loro posto istituzionale e proprio, che sono le aule di Tribunale. Cio? perche? esiste una oggettiva difficolta? nel ricostruire un processo, che e? complicato e quindi c’e? il rischio di strumentalizzazione: le frasi decontestualizzate si adattano facilmente a sostenere un pensiero”.

Del medesimo avviso un altro magistrato, Piero Tony, autore del recente volume ‘Io non posso tacere’. “Siamo nell’era in cui il processo e? una grande gogna, a parlare per la magistratura dovrebbero essere le sentenze” scrive. Questo e? argomento che ci riguarda tutti.

“Quello che e? successo a me – scrive Kafka ne Il Processo – non e? che un caso singolo e come tale di poca importanza, poiche? io non lo prendo molto sul serio, ma e? indicativo di un modo di procedere che viene applicato a danno di molti. Io qui difendo la loro causa, non la mia”.

Il mestiere del giornalista e? piu? di un modesto servizio alla collettivita? e per questo dovrebbe essere svolto con la massima responsabilita? senza cedere alla smania di sostituirsi al giudice. Spetta soltanto a quest’ultimo accertare la verita?. Non mi vergogno di dire che parlo anche per esperienza personale, essendo passato attraverso la sofferenza: purtroppo chi non prova sulla propria pelle certe esperienze, difficilmente riesce a comprendere, trovando cosi? piu? agevole puntare il dito.

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