San Marino. Luca Lazzari: intervento consiliare sull’impatto territoriale del grande insediamento commerciale del lusso

luca-lazzari-685x1024[c.s.] Anzitutto una premessa. La politica delle alleanze ha praticamente azzerato l’opposizione. Quando nel 2013 sono entrato in Consiglio riuscivo ad avvertire una qualche forma di tensione garantista. Quella tensione, prima coi tavoli di confronto allargato, poi coi tavoli politici, è svanita del tutto. Ci si trova ad affrontare i dibattiti consiliari in un clima sospeso, rarefatto, estraniante. I ruoli sono confusi. I partiti si abbracciano uno con l’altro per non cadere. Quali che potrebbero essere i rischi di un totalitarismo multi-partitico non c’è bisogno che li elenchi: sono già elencati nella storia recente del governo straordinario.

UNA CATEGORIA BISTRATTATA: I COMMERCIANTI

Se è vero, com’è vero, che il Consiglio è l’espressione del corpo elettorale, allora, in una certa misura, dovrebbe rifletterlo nelle proporzioni. Ma non lo riflette affatto. I dipendenti di alto livello del settore pubblico e para-pubblico occupano quasi metà delle poltrone. Avvocati e commercialisti ne occupano un quarto. I commercianti non ne occupano neanche una. Eppure i numeri dimostrano che si tratta di una categoria che concorre in maniera determinante alla solidità economica del Paese: 1.355 imprese commerciali; 3.467 addetti; 2.952 dipendenti di cui 1.843 sammarinesi; 51 milioni il saldo monofase 2014.

L’esclusione dal Consiglio dei commercianti – e del ceto medio produttivo in generale – configura una stortura, una tara nella rappresentanza democratica, che in qualche modo andrebbe corretta, al pari di quella di genere. Le ragioni dell’esclusione sono presto dette: condurre un’attività commerciale comporta un impegno totalizzante; di tempo non ne avanza, di forze neanche. Ciò basta a dimostrare la gratuità delle accuse che sono loro rivolte.

A tal proposito riporto uno stralcio della relazione redatta dal presidente dell’Osservatorio del commercio, Libero Barulli: “La politica fiscale si è ideologizzata perché in balia della pressione delle forze sociali che spesso vedono l’attività imprenditoriale, soprattutto quella piccola e più debole, come occasione di evasione e non come apportatrice di ricchezza per la collettività, in termini di sviluppo dell’economia del Paese, di occupazione e di apporto alle finanze pubbliche”.

Condivido le considerazioni di Barulli, a cui ne aggiungo altre mie. Fra le categorie produttive corrono delle divisione molto forti: dipendenti privati verso dipendenti pubblici, autonomi verso subordinati, stabilizzati verso precari, eccetera. Spetta alla politica (ammesso che la politica esista ancora) riparare alle ingiustizie, spodestare redditieri e sfruttatori, ricomporre le divisioni all’interno di un nuovo patto sociale.

CHE COS’È L’IDEOLOGIA E COME LA SI RICONOSCE

La contrarietà al progetto che intendo esprime va al di là della convenzione, riguarda il modello di sviluppo perseguito (o meglio perpetrato) dal governo: lo «sviluppo occasionale». Lo stesso che ha provocato il dilagare della corruzione, la de-responsabilizzazione sociale, la perdita di conoscenze e abilità lavorative, il depauperamento delle risorse pubbliche, il degrado ambientale, il disordine urbanistico, l’esaurimento di interi settori economici.

Il consigliere Foschi nel suo intervento ha detto che il suo «no» entra nel merito della convenzione, è un «no» responsabile, consapevole, al contrario di altri «no» pregiudizievoli, “ideologici” li ha definiti. Quindi, stando al suo ragionamento, il mio «no», in quanto aprioristico, sarebbe un «no» ideologico.

Per stabilire se si tratta di un «no» ideologico bisogna prima intendersi sul significato della parola ideologia. L’ideologia – secondo una definizione che anche il consigliere Foschi dovrebbe conoscere – non è altro che una percezione distorta della realtà, è falsa coscienza.

Per non cadere nella trappola dell’ideologia occorre dunque indagare la realtà con molta attenzione. E qual è la realtà? La realtà è quella dei media, delle pagine di giornale, della televisione, del discorso politico, è la realtà di chi dispone dei mezzi per riprodurre la realtà stessa. E quali sono le figure da cui scaturisce questa realtà? Ovvero: quali sono le figure a cui ricorrono coloro i quali sostengono l’insediamento commerciale?

• “È finito il tempo delle vacche grasse”. In altre parole è finito il tempo del posto di lavoro fisso e ben retribuito; è finito il tempo delle opportunità, della mobilità e dell’apertura sociale. Peccato che la maggior parte di quelli che ricorrono a questa argomentazione hanno il posto di lavoro fisso e ben retribuito, oppure sono ricchi, e pertanto possono bellamente fregarsene di tutto ciò che accade attorno a loro. E poi perché dovrebbe essere finito il tempo delle vacche grasse? Essere sammarinesi ha sempre rappresentato un vantaggio, almeno nell’ultimo secolo. San Marino è o non è una Repubblica? Dispone o non dispone di proprie leve di autonomia? Perché non utilizzarle allora? Perché accettare l’immiserimento, il peggioramento delle condizioni di lavoro e la perdita dello stato sociale?

• “È un treno che non possiamo perdere”. I treni persi sarebbero quelli delle Befane e dell’Ikea. Poi ci sono stati altri treni che invece abbiamo provato a prendere ma che ci hanno investito. Ne parlerò più avanti. Per ora cerchiamo di capire se davvero il grande insediamento commerciale del lusso ha qualcosa da offrire ai sammarinesi. Per certo ha da offrire qualche posto di lavoro squalificato e mal retribuito. Cos’altro? Una manciata di milioni di euro di monofase. E poi? Basta così. “Beh – qualcuno potrebbe obiettare – piuttosto che niente è meglio piuttosto”. Sarei d’accordo, se non fosse per gli squilibri economici e territoriali per niente considerati e per le ingenti risorse pubbliche disposte a sostegno dell’iniziativa.

• “Largo agli investitori esteri”. Il consigliere Valeria Ciavatta si è spinto ancora più oltre: “è normale intervenire sulla leva fiscale, previdenziale, assicurativa: è la politica delle aree depresse”. Prima che AP diventasse forza di governo San Marino vantava uno dei redditi procapite più elevati al mondo. Se davvero fosse un’area depressa, il consigliere Valeria Ciavatta dovrebbe porsi alcune domande. Proviamo a spostarci dal piano economico, che è un piano complesso, a un piano più concreto. Facciamo finta di trovarci al supermercato. Finito di fare la spesa ci portiamo col carrello alla cassa. Qui troviamo una corsia speciale, prioritaria, con sopra scritto “sconti permanenti”. È la corsia degli investitori esteri. Per i contribuenti comuni c’è da fare la fila alla solita corsia. Paghiamo la nostra spesa e poi diamo un’occhiata allo scontrino. Ci troviamo una voce insolita: “spese extra”, che serve a sussidiare gli acquisti dei clienti preferenziali. A quel punto chiediamo spiegazioni. Si presenta il direttore che ci dice: “mi dispiace signore, ma se lei non si facesse carico di una parte del loro conto, quelli andrebbero a fare la spesa da un’altra parte”. Per quanto mi riguarda, possono anche andare a fare la spesa da un’altra parte.

• “Chi non risica non rosica”. Come se non si fosse risicato abbastanza con la Punto Shop, l’Aprilia, il Factory Outlet, l’Opera, eccetera. Tutti progetti benedetti dai governanti di turno e poi falliti miseramente con grave danno per i lavoratori, per l’ISS, per le finanze pubbliche (nel caso in oggetto potrebbe essere danneggiato anche l’impianto commerciale che garantisce reddito a molte famiglie sammarinesi).

A questo punto mi chiedo e vi chiedo: la realtà che ci viene rappresentata è davvero l’unica realtà possibile? Oppure è una realtà parziale? Sono corrette le figure a sostegno del grande commercio? O forse è proprio a partire da quelle stesse figure che prende piede l’ideologia?

L’ideologia della rassegnazione, delle passioni tristi, della distruzione dei diritti sociali, dell’emancipazione negata, della sudditanza. L’ideologia della San Marino senza sammarinesi.

IL FALSO MITO DELLA SCARSITÀ DI LAVORO E DI RISORSE FINANZIARIE PUBBLICHE

Qual è la giustificazione portante al proponimento del segretario Mularoni? La scarsità di lavoro. E allora chiedo al segretario Mularoni: secondo lei davvero manca il lavoro a San Marino? Perché dal mio punto di vista se c’è una cosa che a San Marino non manca è proprio il lavoro.

Le posso fare un elenco approssimativo del lavoro non solo possibile, ma necessario: l’eliminazione delle barriere architettoniche, lo sviluppo delle infrastrutture tecnologiche, la riqualificazione architettonica ed energetica degli edifici, la conversione organica dell’agricoltura, la separazione della rete fognaria, la gestione autonoma dei rifiuti, la realizzazione di marciapiedi, sottopassaggi stradali e parchi cittadini, la produzione di energia a costo negativo, l’estensione dei servizi di cura alla persona, il miglioramento dei servizi turistici di accesso e accoglienza, eccetera. Manca il lavoro segretario Mularoni? No, non manca il lavoro.

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Allora forse a mancare sono le risorse finanziarie? Nemmeno. Basterebbe spostare delle poste da un capitolo all’altro del bilancio. Faccio degli esempi.

1. Il primo si riferisce alla convenzione stessa. Lo Stato – fra esenzione dal pagamento degli oneri accessori, credito agevolato, riduzioni sull’imposta IGR e sulle imposte di registro – rinuncia a decine e decine di milioni di euro di entrate fiscali in favore di un gruppo d’affari che con San Marino non ha alcun tipo di legame. Meglio sarebbe, allora, siglare una convenzione analoga coi commercianti sammarinesi e impiegare le stesse risorse per realizzare le infrastrutture di cui il comparto è in attesa da lungo tempo: sistemi di mobilità urbana sostenibile, strutture d’intrattenimento, parcheggi e quant’altro. Ma si sa, la politica sammarinese osteggia la cultura della partecipazione, della responsabilità e della crescita imprenditoriale: le sottrae troppo potere.

2. Con l’emergenza occupazionale, la spesa per finanziare gli ammortizzatori sociali è arrivata a superare gli oltre venti milioni di euro l’anno. Si tratta di uno spreco enorme, sia di capitale finanziario che di capitale umano. Come fare? I modelli a cui riferirsi sono molti. Ne cito uno. A metà degli anni Ottanta la Grundig chiude gli stabilimenti in Trentino. Mille posti di lavoro persi, più altri mille nell’indotto. Il movimento cooperativo si rimbocca le maniche, prende in carico i lavoratori licenziati e rivendica a sé gli appalti provinciali: uno sciopero alla rovescia. Si parte da interventi di salvaguardia e riconoscibilità del territorio. Poi ci si estende ad altri settori. Le cooperative si specializzano, imparano a stare sul mercato. Una prova? La Gesbank Ibt, il primo fornitore di sistemi informatici degli istituti bancari sammarinesi, è un’impresa formatasi proprio all’interno di quel modello.

Un’altra modalità per finanziare il lavoro è quella della moneta complementare. Proprio su questo argomento qualche giorno fa a San Marino l’economista Antonino Galloni ha tenuto una conferenza organizzata dal Movimento Civico Rete su cui il consigliere Roberto Ciavatta, in comma comunicazioni, ha presentato un interessante resoconto.

QUALE LAVORO?

Esistono due tipi di lavoro. C’è il lavoro a cui si partecipa come comparse, che è al servizio unicamente del profitto e che sposta tutto il plusvalore verso l’alto. E poi c’è il lavoro che parte dai bisogni della popolazione, che concorre al miglioramento delle condizioni di vita di tutti, e che produce valore d’uso.

Fare il commesso per ottocento euro al mese in un negozio in cui si vendono borse che ne costano cinquemila, rientra nel primo tipo. A questa obiezione qualcuno dalle fila della maggioranza ha tuonato: “vergognatevi, andatelo a dire a chi un lavoro non ce l’ha!”. Sono i rappresentanti dell’aristocrazia sammarinese che si levano la maschera e tornano a far mostra di tutto il loro odioso paternalismo caritatevole.

Il lavoro per il quale sarei disposto a complimentarmi col segretario Mularoni è un altro. È il lavoro della manifattura digitale, dei nuovi modelli di impresa, del crowdfunding, dell’economia collaborativa, delle applicazioni informatiche, del co-housing. È il lavoro della formazione e dell’istruzione. È il lavoro che attraversa la produzione, che trasforma i beni in servizi, che libera risorse, crea altri mercati e nuovi modi per generare reddito. È il lavoro delle piccole fabbriche che soppiantano la produzione di massa, dei piccoli negozi che soppiantano la grande distribuzione. È il lavoro che investe in ricerca e innovazione. È il lavoro sparso in tutto l’Occidente in forma di piccoli grumi di eccellenza che piano piano si trasforma in grande sistema integrato.

È il lavoro che renderebbe i sammarinesi di nuovo artefici del proprio destino, padroni del proprio Paese.

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Purtroppo è il lavoro di cui il segretario Mularoni non sa niente o non vuole sapere niente. Ella sostiene di avere a cuore il futuro dei giovani sammarinesi, ma offre loro solo precarietà e sfruttamento. In realtà il segretario Mularoni rinuncia ai giovani sammarinesi, alle loro conoscenze, alle loro giuste ambizioni.

IL METODO AP E IL METODO DEMOCRATICO

Per AP giustificare i dieci anni di governo non è un esercizio facile. I meriti di cui si vanta – la parziale bonifica della politica e l’uscita dalla black list – sono in realtà eventi connaturati alla storia, epiloghi scanditi dall’inerzia. Sono fronzoli con cui ornare il petto, a cui se ne va ad aggiungere un ultimo, il cosiddetto metodo AP: attività istituzional-promozionale in favore di privati; votazione forzosa da parte del Consiglio di convenzioni che derogano alle leggi, in assenza totale di strumenti di conoscibilità.

Le problematiche territoriali che conseguono all’installazione di grandi attività economiche richiedono ponderazione; gli effetti sono rilevanti, molteplici e spesso non direttamente quantificabili:

• effetti economici di carattere generale e settoriale (consumi, reddito, occupazione, equilibri competitivi tra imprese);
• effetti sociali (mobilità, aggregazione, sviluppo individuale e sociale, sviluppo culturale);
• effetti urbanistici (densità edilizia, viabilità, interazione fra aree);
• effetti ambientali (morfologia del territorio, equilibri degli ecosistemi, grado di inquinamento dell’area di localizzazione).

Il metodo democratico, al contrario del metodo AP, avrebbe richiesto la presentazione al Consiglio di studi di fattibilità economico-sociale ed economico-finanziaria. Così non è stato. In questo modo si è coinvolto il Consiglio nella responsabilità della scelta senza però metterlo nella condizione di poter determinare un saldo tra costi e benefici, e quindi di poter esprimere un voto consapevole. Il Consiglio ha fatto un atto di fede: fede nella mano invisibile del libero mercato; fede nel successo dell’inganno elettoralistico; fede nel mantenimento dei patti di alleanza tra forze politiche in vista delle prossime elezioni.

L’IBRIDIZZAZIONE DEL CLIENTELISMO

La convenzione contiene una possibile forma di do ut des elettorale del tutto inconsueta per San Marino. Questa considerazione non va tradotta come un’accusa di voto di scambio al governo ma piuttosto come una raccomandazione.

L’insediamento del grande centro commerciale del lusso porterà una grande abbondanza di quelle che sono le merci di scambio elettorale più comuni: posti di lavoro, incarichi professionali, appalti, licenze commerciali. Si replicherà: “a creare le condizioni dello scambio è il capitale privato, e il capitale privato non deve essere eletto, non ha alcun interesse ai voti”. Questo è vero. Com’è vero, però, che le condizioni per fare impresa non sono le stesse per tutti. Ad alcuni si riconosce il privilegio della convenzione ad aziendam. In questi casi, il rischio che sempre si corre, è che l’arbitrarietà di chi conduce la trattativa per conto dello Stato, possa essere utilizzata per un interesse illegittimo. Per esempio per ottenere la compartecipazione alle decisioni imprenditoriali: chi assumere, a chi dare gli appalti, gli incarichi professionali e le licenze commerciali.

Se ciò accadesse, ovvero se potere politico e potere economico-finanziario andassero a incrociarsi in un ibrido clientelare, le alterazioni democratiche si farebbero ancor più forti che in passato.

BORLETTI PUNTI PERFETTI

Non si può non accennare all’investitore, la famiglia Borletti: una delle famiglie del grande capitale italiano insieme agli Agnelli, ai Pirelli, eccetera.

“Borletti punti perfetti” era lo slogan pubblicitario delle macchine da cucire prodotte dalla famiglia Borletti a metà Novecento, di cui ancora in molti si ricordano. I successi della famiglia Borletti però non si fermano alle macchine da cucire.

“Dieci milioni di mine antiuomo sparse in tutto il mondo”, un altro slogan, un altro successo della famiglia Borletti: la Valsella Meccanotecnica. Pochi sanno che l’Italia è stata fino ai primi anni Novanta uno dei principali produttori di quelli che Moni Ovadia ha correttamente definito “gli strumenti di morte proiettati nel futuro”. Oltre cinquemila civili uccisi ogni anno. Uno su tre è un bambino.

Mi rendo conto: opporre delle obiezioni di carattere etico è fuori moda, si rischia di cadere nel patetico. Tuttavia, le obiezioni anti-belliche per una Repubblica che ha una tradizione di neutralità attiva, sono allo stesso tempo obiezioni politiche. Che cosa ne pensa il segretario del PSD, Marina Lazzarini, il cui impegno per la pace, l’ha sempre contraddistinta?

Per quanto riguarda invece la notizia di possibili pendenze giudiziarie in Francia da parte del gruppo Borletti, si è ancora in attesa di una smentita ufficiale da parte del governo.