Non sarà un Natale delle meraviglie, ma probabilmente un Natale della sopravvivenza. Tutto ridotto, ma presente. Cosa succederà in Italia, questo è il vero problema. Non si capisce nulla, anche scorrendo i mille talkshow giornalieri da dove arrivano messaggi del tipo: salviamo il Natale, chiudiamo adesso per aprire dopo, non ci sarà un “liberi tutti”. Insomma, tutti i valori che il Natale racchiude devono essere declinati nella nuova dimensione pandemica, e ancora non si riesce a capire quale sarà l’orientamento. Non c’è soltanto il rispetto di valori religiosi e comunitari profondamente insiti nella tradizione europea, ma ci sono i valori economici che sono subentrati negli ultimi decenni, fatti di frenesia da regalo, pranzi, brindisi, vestiti, feste, vacanze. Per tantissimi operatori, le festività di dicembre sono come la mietitura del grano per i contadini di una volta, ovvero il momento di trarre guadagno dal lavoro di un anno. Con quello che succede e prospettive epidemiologiche che allungano l’emergenza sanitaria per tutto l’inverno, e forse anche per la prossima primavera, al netto dell’influenza che deve ancora arrivare, si prospetta una crisi economica che quella del 1929 davvero impallidisce.
Alla luce delle tante polemiche che si sono accese (impropriamente) sulla decisione di San Marino di tenere aperti i locali, non si può non fare cenno al clima di confusione, e spesso disorganizzazione, che avviene in Italia. La divisione in zone rosse, gialle e arancioni a livello regionale, ha fatto sì che i piccoli paesi, i borghi, le cittadine di qualche migliaio di abitanti, fossero stati allineati alle megalopoli urbane. Insomma, Corpolò non è come Rimini o Bologna. Nelle piccole comunità non ci sono mezzi pubblici sovraffollati, non ci sono grandi aree industriali, non c’è la movida, né la via dello shopping. Se gli vai a chiudere il bar dello sport, l’unico locale che può dare una parvenza di vita, ma dove alla fine ci sono solo quattro vecchietti che giocano a briscola, o si sfidano a bocce sotto una fila di platani, vuol dire fare morire tutto il paese. Forse (e lo diciamo da perfetti inesperti) una divisione cromatica per numero di abitanti invece che per regioni, avrebbe potuto essere più giusta e democratica, eventualmente con l’obbligo per i sindaci di adeguarsi alle norme più restrittive in caso di aumento dei contagi.
Sono solo parole al vento? Forse no, perché ad ascoltare e leggere quello che gira, noi tutti non abbiamo ancora realizzato bene cosa può essere questo virus. Ci sono i negazionisti (il virus non esiste, ci raccontano delle balle); i catastrofisti (moriremo tutti); i menefreghisti (quelli ostinatamente senza mascherina); i nevrastenici (ho telefonato per due ore e non mi ha risposto nessuno); gli approfittatori (quelli che smerciano presidi sanitari non regolamentari); gli irresponsabili (tanto a me non tocca); gli esperti per tutti i gusti (basta accendere la tivù). Il panorama è davvero vario.
Il fatto è che mai come ora la responsabilità del futuro non è solo in mano alle autorità centrali, bensì nelle nostre stesse mani. Non siamo tutti nella stessa barca: siamo tutti nella stessa tempesta. Quindi: mettiamo la mascherina (ben piazzata sul naso e non sotto il mento), disinfettiamoci le mani sempre, e stiamo distanziati, perché al momento sono le uniche misure che ci tutelano. Collaboriamo con le istituzioni, secondo i nostri ruoli e le nostre possibilità, perché la macchina organizzativa funzioni al meglio. Cerchiamo di non farci coinvolgere nelle farneticazioni dei falsi esperti. E per il resto: ben vengano le iniziative per il Natale dei sammarinesi, che possono aiutare i nostri operatori economici e i lavoratori dipendenti. Soprattutto, per Natale: compriamo sammarinese!
a/f