Nel vivo dell’udienza d’appello sul caso che vede imputati il Commissario della Legge Alberto Buriani e l’ex Segretario di Stato Simone Celli, l’avvocato Filippo Cocco – legale di Banca Centrale – ha pronunciato un intervento duro e articolato. Al centro delle sue argomentazioni, due episodi ritenuti di estrema gravità: la cancellazione dell’hard disk da parte del magistrato e la registrazione del colloquio con il testimone DUGHERA. Cocco accusa Buriani di dolo, abuso d’ufficio e condotte incompatibili con il ruolo giudiziario, tracciando un quadro che punta a rafforzare le conclusioni della sentenza di primo grado.

Ecco uno stralcio di quanto detto dall’avv. Cocco: ”La negazione della conoscenza da parte del cosiddetto gruppo Guidi, Lazzari, Grandoni – che rappresenta uno dei motivi di appello – non viene mai realmente posta in relazione con le prove indicate nella sentenza di primo grado, in particolare alle pagine 25, 26 e seguenti. In quelle pagine, infatti, si argomenta una perfetta convergenza degli elementi probatori provenienti da soggetti esterni, privi di interesse processuale in questa vicenda.
Le tre circostanze più gravi, a mio avviso, che delineano la condotta dell’imputato, sono fondamentali per valutare l’intensità del dolo, specie considerando il ruolo ricoperto al momento dei fatti: era un giudice della Repubblica.
L’avvio di procedimenti penali sulla base di segnalazioni anonime non ha contraddistinto solo questa vicenda, ma anche altre, nel recente passato, gestite da questo Commissario della Legge. Tali procedimenti si sono avviati con perquisizioni e sequestri, tutti accomunati da un unico filo conduttore: una finalità esplorativa e intimidatoria. Questa finalità appare chiara in tutti questi procedimenti, che – pur finendo spesso archiviati – nel frattempo producevano effetti significativi: intimidivano, raccoglievano documenti, acquisivano elementi probatori.
Le due questioni più gravi, sulle quali – sorprendentemente – non ho sentito una sola parola nel processo, né le ho ritrovate nell’atto d’appello, né sono state affrontate nelle dichiarazioni spontanee del Commissario Buriani, sono:
La cancellazione della memoria dei computer in uso al magistrato nel suo ufficio.
Questo è un fatto di gravità estrema, quasi confessoria. Quando un giudice cancella l’hard disk di un computer che non è suo, ma di proprietà dello Stato – assegnatogli per l’esercizio delle sue funzioni – compie un atto che, in Italia, porterebbe immediatamente a una misura cautelare. È andata bene al Commissario Buriani ad essere inquisito a San Marino, dove forse ha beneficiato di una certa benevolenza, perché quanto compiuto in questo caso, e anche in un’altra vicenda che citerò tra poco (la vicenda DUGHERA), avrebbe avuto ben altre conseguenze altrove.
San Marino. Caso Intercettazione Buriani-Dughera. Buriani: ”Dughera mi faccia questo piacere…”
Il comportamento tenuto nel caso DUGHERA.
Il Commissario ha ricevuto questa persona nel proprio ufficio, l’ha registrata – è vero, si sono registrati reciprocamente, ma questo sposta poco – ed è stato lui, il giudice, a registrare l’interlocutore. E a pronunciare frasi come:
“Troviamo qualcosa che lei mi possa… io ho bisogno di questo… guardi, facciamo soltanto un po’ di paura a qualcuno, questo è importante.”
Questa frase è una chiara prova del dolo. Eppure, Buriani, pur avendo avuto l’opportunità, non ha fatto alcuna menzione di ciò nelle sue dichiarazioni spontanee. Si può discutere se la registrazione sia utilizzabile o meno, se un giudice ha annullato il sequestro e un altro no, ma la condotta di un magistrato in un piccolo ordinamento come questo – dove le sue azioni hanno effetti diretti e immediati sulla collettività – non può essere tollerata.
Ci troviamo di fronte a un comportamento che si è anche caratterizzato per il fatto di suggerire all’interlocutore quali reati denunciare per attrarre a sé la competenza, e come formalizzare tali denunce. Sono comportamenti che ritengo incompatibili con la narrazione proposta a pagina 121 dell’atto d’appello, dove Buriani viene descritto come un magistrato che non riusciva a trovare neanche il numero di telefono del Presidente di Banca Centrale, al punto da doverlo chiedere a un politico (Celli, ndr).
Lo stesso magistrato che, durante l’indagine, si è dimenticato – per usare le sue parole – di convocare l’unico testimone che avrebbe potuto chiudere il caso in 15 minuti: Nicola Renzi. Una “dimenticanza” attribuita a un equivoco. Però, questo stesso magistrato non ha avuto alcun problema ad accedere alla casella di posta elettronica del Presidente di Banca Centrale – che è anche avvocato di uno dei più importanti studi legali italiani – violando evidentemente una sfera che avrebbe meritato una tutela rafforzata, ben oltre quella garantita a un privato cittadino.
Inoltre, Buriani non ha mai affrontato, in maniera seria, il tema delle sue condotte. Ha parlato genericamente di risentimenti per presunte violazioni delle garanzie, ma si è ben guardato dal ricordare – nelle sue dichiarazioni spontanee – di aver cancellato tutta la memoria del proprio telefono, comprese le conversazioni, le chat, e così via. E ora si presenta davanti a questa autorità giudiziaria come un perseguitato, evitando accuratamente qualsiasi confronto con i veri temi dell’accusa, cercando invece di spostare l’attenzione su presunti comportamenti scorretti da parte delle persone offese, che in realtà sono vittime, e reali, in questa vicenda.
In conclusione, ritengo che la vicenda possa essere riassunta così: abbiamo redatto una corposa memoria per mettere in luce le carenze della difesa e le contraddizioni della narrazione difensiva rispetto a una struttura probatoria che rende giustizia alla sentenza di primo grado.
Mi riporto quindi alle conclusioni esposte nella memoria e ho terminato. Grazie.“
da non dimenticare: