San Marino. Riconoscimento unilaterale dello Stato di Palestina: pro e contro di una decisione delicata e pericolosa … di Enrico Lazzari

Enrico Lazzari

San Marino, riconoscimento unilaterale dello Stato di Palestina: pro e contro di una decisione delicata e pericolosa

Il Governo sammarinese dovrà riconoscere lo Stato di Palestina!”. Lo ha ordinato ieri, all’unanimità e dopo un confronto fra tutte le forze politiche, il Consiglio Grande e Generale all’Esecutivo, attraverso l’approvazione di un apposito Odg.

Scelta saggia? Scelta emotiva? Scelta razionale? Scelta irrazionale? Scelta che favorirà una accelerazione o un rallentamento, se non addirittura la compromissione del processo di pace e la definitiva risoluzione della annosa questione palestinese?

Ho la mia idea… E, per ora, la tengo per me, così da dar modo ad ogni affezionato lettore di GiornaleSm, di trarre una sua personale conclusione su una così delicata tematica: oggi approfondirò, attingendo anche a considerazioni proprie di esperti internazionali della questione -schierati sia in un senso che nell’altro- sia la situazione attuale nella regione palestinese che la sua storia.

Partiamo dalla storia. Un momento storico che non si può ignorare è la seconda metà degli anni ’40, il periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando in quell’area terminò il “Mandato Britannico”. Giorno chiave fu il 29 novembre 1947, quando l’Organizzazione delle Nazioni Unite emanò la “Risoluzione 181”, incontrando l’approvazione del popolo ebraico e il rifiuto di quella araba…. Ma, seppure ciò non incontrò il favore degli arabi, l’Onu aveva “sentenziato”: la Palestina si sarebbe trasformata in una regione con due stati per due popoli e Gerusalemme sarebbe stata assoggettata ad un controllo internazionale. Agli ebrei il 56% del territorio e agli arabi il 44% della stessa regione.

Così, sei mesi dopo, il 14 maggio 1948, David Ben-Gurion (primo “Premier” israeliano) proclamò la nascita dello Stato di Israele, pur su una superficie inferiore a quella prevista dalla “Risoluzione 181”.

La “quiete”, però, non durò neppure 24 ore… Una coalizione armata araba, composta dagli eserciti di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq, nella prima mattina del 15 maggio 1948, avviò l’invasione del neo-proclamato Stato di Israele! Fu l’inizio della prima guerra arabo-israeliana che si chiuse l’anno successivo con la schiacciante vittoria di Israele che, a fine conflitto, controllava il 78% della  Palestina storica, mentre il restante 22% divenne Cisgiordania, sotto il controllo della Giordania, e Striscia di Gaza, sotto il controllo dell’Egitto.

Da allora le tensioni e gli scontri fra arabi ed israeliani furono costanti toccando il loro picco nel 1967 quando Israele lanciò un attacco preventivo contro Egitto, Siria e Giordania (la cosiddetta guerra dei sei giorni) conquistando Cisgiordania, Striscia di Gaza, Alture del Golan e il Sinai, arrivando a controllare, oltre a quel 56% ad esso assegnato, tutti i territori che la Risoluzione 181 dell’Onu aveva concesso al popolo arabo di Palestina…

Solo nel 1993, con gli accordi di Oslo – dopo la mai attuata Risoluzione Onu 242 che imponeva ad Israele il ritiro dai territori occupati nella guerra dei sei giorni e dopo la Prima Intifada (1987-1993) – stipulati fra lo Stato di Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), la speranza di pace tornò concreta. Le parti, infatti, in quella sede, raggiunsero l’accordo affinché si creasse una autonomia palestinese e prendesse il via un processo che culminasse un due stati per i due popoli. Ma anche quella speranza fu vana e nel 2000 prese corpo la Seconda Intifada

Le tensioni fra le parti non scemarono e, anzi, si inasprirono nel 2006, quando Hamas vinse le elezioni legislative nella Striscia di Gaza e avviò una sorta di violenta resa dei conti con Fatah, il movimento palestinese fondato da Yasser Arafat come resistenza ad Israele, ma poi evoluto su posizioni ben più moderate e costruttive. Una “guerra” interna che si chiuse l’anno successivo con il successo degli integralisti, terroristi, di Hamas e la cancellazione nella Striscia di ogni presenza di Fatah, che tuttora, comunque, guida la Cisgiordania.

Arriviamo, così, ai giorni nostri, al 7 ottobre 2023 quando Hamas diede il via alla “Operazione Al-Aqsa Flood” che, successivamente, per la sua ferocia e inumanità dimostrata, scatenò la durissima reazione militare israeliana tuttora in corso e finalizzata a cancellare fin dalle sue radici il gruppo terroristico Hamas, al governo nella Striscia di Gaza e a “riportare a casa vivi o morti” gli oltre 100 ostaggi civili israeliani ancora nelle mani del gruppo terroristico.

Questa, in grandi linee, la storia di quella martoriata regione che oggi sta vivendo uno dei momenti di massimo scontro e violenza. Un momento dove ogni iniziativa internazionale ha i suoi effetti, benefici o deleteri che possano essere per la stipula di una tregua o il raggiungimento di una pace solida, nonché sulla stabilità dell’intera regione. E ciò lascia comprendere la grande responsabilità che si assume la Repubblica di San Marino con la decisione unilaterale di riconoscere lo Stato di Palestina in un così delicato momento storico.

Se è sacrosanto il diritto del popolo palestinese di autodeterminarsi in un suo Stato, è altrettanto sacrosanto il diritto del popolo israeliano di fare altrettanto. Ma -e torniamo al dubbio originario- il riconoscimento unilaterale della Palestina da parte di San Marino va nel giusto senso di favorire la pace, la nascita dei due stati per i due popoli e la stabilizzazione di una intera regione del mondo?

Secondo quanto si può dedurre dalle posizioni espresse da molti commentatori internazionali no. E, quando parlo di commentatori internazionali mi riferisco, fra gli altri, a:

– Bret Stephens, editorialista del New York Times e in precedenza del Wall Street Journal.

– Charles Krauthammer, ex commentatore di Fox News;

– Nikki Haley, ex Ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite 

– Fareed Zakaria,  analista geopolitico, autore e conduttore del programma “Fareed Zakaria GPS” di CNN;

– Henry Kissinger, ex Segretario di Stato degli Stati Uniti, diplomatico, e autore;

– Francis Fukuyama, politologo e autore, professore alla Stanford University;

– Joseph Nye, professore emerito presso Harvard University, teorico delle relazioni internazionali; 

– John Mearsheimer, politologo noto per la sua visione realista delle relazioni internazionali e per la sua posizione estremamente critica verso la politica israeliana;

– Mike Pompeo, ex Segretario di Stato Usa;

– Stephen Harper, ex Primo Ministro del Canada;

– Angela Merkel, ex Cancelliere della Germania;

– Boris Johnson, ex Primo ministro del Regno Unito;

– Giulio Meotti, giornalista e autore, collaboratore de Il Foglio;

– Melanie Philips, giornalista e autrice, collaboratrice di The Times e The Jewish Chronicle.

– Niall Ferguson, storico, commentatore, professore di storia all’Università di Stanford.

Ben inteso, nessuno ha commentato la scelta sammarinese o è sceso nello specifico del riconoscimento da parte della Repubblica di San Marino, ma sulla base di considerazioni generali sulla tematica palestinese è possibile “traslare” le posizioni di questi esperti, politici e accademici sulla scelta del Consiglio Grande e Generale di ieri.

Il primo aspetto critico del riconoscimento da parte di San Marino dello Stato Palestinese è che questo atto rischia seriamente di divenire una sorta di legittimazione indiretta di Hamas, si ricordi riconosciuto da Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Giappone e Israele come gruppo terroristico. Innumerevoli, inoltre, le condanne e le accuse di terrorismo emesse dall’Onu su altrettante attività di Hamas. Legittimare Hamas o altre organizzazioni terroristiche arabe, specie oggi, ha la conseguenza diretta di rendere questi gruppi, in particolare nel contesto in cui operano, quanto mai più forti, allontanando di conseguenza il termine del cammino di quel processo di pace da decenni ricercato dalla comunità internazionale e dalle componenti, arabe e israeliane, più moderate.

In seguito al riconoscimento dello Stato di Palestina, poi, San Marino (essendo una piccola Repubblica) potrebbe trovarsi isolata a livello diplomatico, visto che sua posizione non è condivisa da altri Paesi europei e occidentali, suoi naturali interlocutori. Difatti, secondo molti analisti e commentatori internazionali, la scelta di riconoscere la Palestina potrebbe creare tensioni fra la Nazione che effettua questa scelta unilaterale e paesi come Israele e Stati Uniti, oltre a mettere a rischio i rapporti con altri stati che non riconoscono la Palestina. 

Inoltre -e questo è un aspetto quanto mai rilevante, specie per un piccolo Stato come San Marino- il riconoscimento unilaterale della Palestina da parte di una singola entità statale va a minare l’autorevolezza e il ruolo delle Nazioni Unite, nonché il diritto internazionale consolidato e espresso esclusivamente nelle risoluzioni Onu in seguito a negoziati diretti per risolvere conflitti territoriali e di sovranità. In parole povere, riconoscendo unilateralmente lo Stato di Palestina, San Marino, con la decisione di ieri, avrebbe dunque “scavalcato” nel proprio ruolo nientemeno che le Nazioni Unite.

Riconoscere unilateralmente lo Stato di Palestina oggi, perdipiù, verrebbe letto come una espressione di ostilità da parte di Israele, rischiando di compromettere addirittura i rapporti diplomatici fra i due Paesi. Se l’apice delle tensioni potrebbe determinare una profonda spaccatura fra la Repubblica ed Israele, anche sul fronte Unione Europea le conseguenze potrebbero essere gravi. San Marino, pur non essendo membro dell’Unione Europea, è profondamente integrato nelle dinamiche europee e lo sarà ancor di più alla luce dell’intesa raggiunta sul testo dell’Accordo di Associazione. La decisione potrebbe contribuire a ulteriori divisioni all’interno dell’UE, dove alcuni Stati membri riconoscono la Palestina e altri no. Questo potrebbe indebolire ulteriormente la coesione europea su una questione già estremamente divisiva e creare “nemici” di San Marino fra alcuni stati membri della stessa Ue.

Non mancano -sempre alla luce delle considerazioni fatte nel tempo da esperti e commentatori internazionali- motivazioni legittime, espressione di valori intrinsechi nella storia sammarinese, nel riconoscimento unilaterale di due Stati per due popoli, primo fra tutti il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione per ogni popolo, nel caso di quello Palestinese. Ma non solo, l’azione sammarinese potrebbe “risuonare” nella comunità globale come un gesto finalizzato a favorire il diritto internazionale e a giungere verso la soluzione definitiva della questione palestinese.

Riassumendo, dal punto di vista morale la decisione del Consiglio Grande e Generale non fa una piega… Perplessità, criticità della stessa scelta arrivano,e pesanti, quando si va valutare sia l’opportunità per San Marino e quindi per i sammarinesi, sia l’effetto concreto che la decisione politica unanime del Parlamento sammarinese avrà sulla delicata questione palestinese e sul contesto internazionale di rapporti bilaterali…

Ognuno di voi, ora, può trarre le sue conclusioni, basandosi su dati certi, la storia, e sulle considerazioni fatte da commentatori ben più preparati e autorevoli di me sulla questione palestinese: è opportuno sul fronte internazionale, come passo per favorire almeno una tregua e vantaggioso su quello dell’interesse sammarinese arrivare unilateralmente a riconoscere lo Stato di Palestina?

Enrico Lazzari

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