San Marino. SOSPENSIONI SANITARI ”NO-VAX”. La sentenza Corte EDU tradotta in italiano

PRIMA SEZIONE

CASO PASQUINELLI E ALTRI c. SAN MARINO

(Ricorso n. 24622/22)

SENTENZA

Art. 8 • Vita privata • Misure relative all’occupazione imposte agli operatori sanitari e socio-sanitari per essersi rifiutati di vaccinarsi contro il Covid-19 • Vaccinazione ai sensi della legislazione impugnata non obbligatoria • La legislazione impugnata non imponeva sanzioni statutarie né comportava conseguenze automatiche • Misure basate su situazioni individuali e non potevano essere considerate sanzioni mascherate • Distinguibile da Vav?i?ka e altri c. Repubblica Ceca [GC] • Scelta della vaccinazione sufficientemente collegata all’autonomia personale • Art. 8 applicabile • Finalità legittime di protezione della salute e dei diritti e delle libertà altrui • Misure impugnate giustificate e proporzionate alle finalità legittime perseguite • Ampio margine di apprezzamento in materia di politica sanitaria non superato

Preparato dalla Cancelleria. Non vincola la Corte.

STRASBURGO

29 agosto 2024

La presente sentenza diventerà definitiva nelle circostanze stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetta a revisione editoriale.

Nel caso di Pasquinelli e altri contro San Marino,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Ivana Jelic, Presidente,
Alena Polackova,
Letif Huseynov,
Peter Paczolay,
Gilberto Felici,
Erik Wennerstrom,
Raffaele Sabato, giudici,
e Liv Tigerstedt, Vice cancelliere di sezione,
Considerato:
il ricorso (n. 24622/22) contro la Repubblica di San Marino depositato presso la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”) da diciannove cittadini di San Marino, sei cittadini italiani e un cittadino moldavo i cui dettagli sono riportati nella tabella allegata (“i ricorrenti”), il 30 aprile 2022;
la decisione di notificare il ricorso al Governo di San Marino (“il Governo”); la decisione dei governi di Italia e Moldavia di non avvalersi del loro diritto di intervento nel procedimento (articolo 36 § 1 della Convenzione);
le osservazioni delle parti;
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 9 luglio 2024,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. Il ricorso riguarda un gruppo di operatori sanitari e socio-sanitari che hanno rifiutato di sottoporsi alla vaccinazione contro il Covid-19 (SARSCoV-2, di seguito “Covid-19”). Di conseguenza, sono stati colpiti da una o più misure, principalmente, connesse al loro impiego.

I FATTI

2. I ricorrenti erano rappresentati dall’avv. F.M. Bacciocchi, esercente a Serravalle.

3. Il Governo era rappresentato dal suo agente, l’avv. S. Bernardi, rappresentante di San Marino presso la Corte europea dei diritti dell’uomo.

4. I fatti del caso possono essere riassunti come segue.

CONTESTO DEL CASO
5. Nel maggio 2021, i ricorrenti, operatori sanitari e socio-sanitari impiegati dall’Istituto della sicurezza sociale (di seguito “ISS”, ente pubblico responsabile della gestione del settore sanitario e socio-sanitario), sono stati sollecitati dallo stesso ente a vaccinarsi contro il Covid-19 ai sensi dell’articolo 14 della legge n. 85/2021 relativa alla vaccinazione del personale sanitario e socio-sanitario pubblico. Tale invito è stato declinato dai ricorrenti.

6. Le disposizioni contenute nella suddetta legge sono state modificate, in attesa della sua attuazione, dalla successiva legge n. 97/2021, successivamente ratificata dalla legge n. 107/2021 (entrata in vigore il 16 giugno 2021), che ha stabilito disposizioni specifiche per lo stesso personale del settore pubblico. L’articolo 8 ha stabilito che nel caso in cui il personale sanitario e socio-sanitario dell’SSI avesse rifiutato l’invito formulato ai sensi dell’articolo 14 della legge n. 85/2021, l’SSI, tenuto conto della necessità di garantire la continuità e l’adeguatezza del servizio, avrebbe dovuto valutare in primo luogo la possibilità di modificare l’organizzazione del servizio al fine di ridurre al minimo i contatti con gli utenti e, ove ciò non fosse stato possibile, avrebbe ordinato a tali dipendenti di rimanere in servizio, fermo restando l’obbligo di sottoporsi al test antigenico (per Covid-19) ogni quarantotto ore.

7. La legge ha inoltre previsto un’ulteriore gamma di opzioni per il personale non vaccinato nel caso in cui non fosse possibile una riorganizzazione del servizio (vedere paragrafo 24 di seguito). In particolare, le opzioni alternative prevedevano la possibilità di riassegnazione ad altri servizi dell’ISS o ad altri uffici della Pubblica Amministrazione in posizioni di lavoro vacanti con diritto a percepire la relativa retribuzione o a fruire delle ferie e dei permessi maturati nell’anno 2020, oppure, in via estrema, qualora le altre opzioni non fossero praticabili o non fossero accettate, la sospensione temporanea dal servizio con indennità di sospensione pari a 600 euro (EUR) mensili al lordo delle imposte e dei contributi previdenziali, oltre alla possibilità di conservare l’intero importo degli assegni familiari eventualmente percepiti.

8. La sospensione dal servizio con indennità prevedeva anche l’obbligo per il lavoratore di svolgere attività socialmente utili, ferma restando la proporzionalità dell’orario di lavoro all’importo della predetta indennità, pena la perdita del diritto a percepire tale indennità.

9. Nel caso del personale sanitario e socio-sanitario che non poteva essere vaccinato a causa di un pericolo oggettivo causato da condizioni di salute documentate e certificate, la legge prevedeva che venissero messi in aspettativa con diritto a ricevere l’intera retribuzione.

10. Nei casi in cui la riorganizzazione del servizio non consentiva di evitare il contatto con gli utenti, i ricorrenti, avendo rifiutato di essere vaccinati, esercitavano il loro diritto di opzione ai sensi dell’articolo 8 (5) (6) e (7) della legge n. 107/2021. Le misure applicate a ciascuno dei ricorrenti sono indicate nella tabella allegata.

PROCEDIMENTI DINANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE
11. In un ricorso di iniziativa popolare (depositato il 27 luglio 2021 a seguito della raccolta di 750 firme come richiesto dalla legge nazionale per ottenere l’accesso a tale rimedio) è stato sostenuto che le sezioni 2 e 6 della legge n. 107/2021 violavano il principio di uguaglianza e il correlativo divieto di discriminazione, sanciti dalla Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale sammarinese (“la Costituzione sammarinese”), dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (“CEDU” o “la Convenzione”) e dal suo Protocollo n. 12, e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Si sosteneva che non vi fosse alcuna ragione, né giuridica né scientifica, che potesse supportare il diverso trattamento tra vaccinati e non vaccinati perché non vi era certezza che chi aveva ricevuto il vaccino Covid-19 fosse immune all’infezione e non contagioso: anzi, la ricerca medica, gli studi scientifici, le aziende farmaceutiche e gli organismi internazionali sottolineavano questa incertezza, sottolineando che i vaccinati potevano comunque contribuire alla diffusione del virus, per cui era comunque consigliabile adottare norme prudenti anche dopo aver ricevuto il vaccino. Si sosteneva inoltre che l’articolo 8 della legge n. 107/2021 costituiva un’ingerenza abusiva del potere pubblico nella sfera privata degli operatori sanitari e violava non solo il principio di uguaglianza ma anche il diritto al lavoro, il diritto all’autodeterminazione e il diritto alla salute, sanciti dalla Costituzione sammarinese, dalla CEDU e dal suo Protocollo n. 12 e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Inoltre, mentre i vaccini erano sperimentali e ai sensi del Regolamento (CE) n. 507/2006 della Commissione avevano ricevuto un’“autorizzazione all’immissione in commercio condizionata”, la disposizione dell’articolo 8 della Legge n. 107/2021 violava anche i principi fondamentali sanciti dal “Codice di Norimberga”, dalla “Dichiarazione di Helsinki”, dalla “Convenzione di Oviedo” e dalla “Dichiarazione universale sulla bioetica e i diritti umani” (che fanno tutti parte dell’ordinamento giuridico sammarinese ai sensi dell’articolo 1 della Legge n. 59/1974).

12. I ricorrenti di nazionalità sammarinese hanno partecipato a questa procedura, ma non i ricorrenti di nazionalità italiana/moldava, essendo essa aperta esclusivamente ai cittadini votanti dell’elettorato sammarinese (vedere paragrafo 21 di seguito).

13. Con sentenza n. 11 del 2 novembre 2021, la Corte costituzionale ha accolto il ricorso e, nel merito, ha confermato la legittimità della legge impugnata e la sua compatibilità con la Costituzione sammarinese, la CEDU e altri strumenti.

14. In particolare, ha ritenuto che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), sebbene il diritto alla salute non fosse, in quanto tale, tra i diritti garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, l’obbligo positivo ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione di adottare misure appropriate per salvaguardare la vita delle persone sottoposte alla giurisdizione di uno Stato doveva essere interpretato come applicabile nel contesto di qualsiasi attività, pubblica o meno, in cui il diritto alla vita possa essere in gioco, anche nell’ambito della sanità pubblica. In tale contesto, si è dovuto rilevare che il 30 gennaio 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità (“OMS”) ha rilasciato una dichiarazione dichiarando il Covid-19 un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale (“PHEIC”) e l’11 marzo 2020 lo ha dichiarato una pandemia. Mentre vari Stati hanno adottato misure di emergenza, il Parlamento dell’Unione Europea (“UE”) ha sottolineato che le misure potevano essere giustificate solo se necessarie, proporzionate e limitate nel tempo. Data la natura del virus, vale a dire la possibilità di trasmetterlo a causa della sua impercettibilità fino alla comparsa dei sintomi o fino alla presa di coscienza del contagio, i principi di prevenzione e precauzione erano necessariamente in gioco, tuttavia le misure adottate dovevano raggiungere un giusto equilibrio.

15. Quanto all’argomento sollevato in merito alla “legittimità dell’obbligo di vaccinazione”, la Corte costituzionale ha ritenuto che la legge in questione fosse stata emanata in circostanze straordinarie di necessità e urgenza. Riferendosi alla giurisprudenza della Corte EDU sulla possibile limitazione dei diritti ai sensi degli articoli 8, 9 e 10 della Convenzione, ha ricordato che tali limitazioni erano possibili per la tutela della salute pubblica, che certamente entrava in gioco in una pandemia globale. Le disposizioni adottate a San Marino non avevano reso obbligatorio vaccinarsi, ma avevano previsto una differenza di trattamento prestabilita e limitata tra persone vaccinate e non vaccinate. Va notato che secondo la giurisprudenza della Corte EDU (cfr. Vavricka e altri c. Repubblica Ceca [GC], nn. 47621/13 e altri 5, 8 aprile 2021) anche la vaccinazione obbligatoria dei minori (in relazione a determinate patologie gravi) era giustificata per proteggere la salute di altre persone, in particolare di quelle vulnerabili. Ne consegue che, in relazione a malattie gravi, uno Stato aveva persino il diritto di rendere obbligatoria la vaccinazione e di applicare sanzioni in assenza dell’adempimento di tale obbligo.

16. La differenza di trattamento tra le persone vaccinate contro il Covid-19 e quelle non vaccinate era giustificata data la diversa situazione oggettiva ed evidente tra le due. Il principio della tutela collettiva della salute implicava un sacrificio temporaneo da parte di coloro che non erano vaccinati. La legge impugnata non riteneva che le persone vaccinate fossero immuni alla malattia ma piuttosto, e in linea con le prove scientifiche, che subissero ripercussioni meno gravi e minori rischi di morte. Inoltre, “le persone vaccinate diffondono l’infezione meno delle persone vaccinate”. Dato che la giurisprudenza della Corte EDU aveva approvato la vaccinazione imposta e le conseguenti sanzioni in assenza di vaccinazione, per il bene collettivo, era evidente che lo stesso valeva per le semplici differenze di trattamento. A San Marino non esisteva alcun obbligo di vaccinarsi contro il Covid-19 (quindi nessuna questione relativa al consenso o all’autodeterminazione) ma solo una raccomandazione a farlo, e qualsiasi misura applicata a coloro che sceglievano di non farlo era stata proporzionata all’obiettivo perseguito. Quanto alle argomentazioni sollevate relative al vaccino in sé, si è osservato che nessun trattamento medico era privo di rischi al 100% e il fatto che anche tutti i vaccini Covid-19 non fossero privi di rischi non giustificava una dichiarazione secondo cui fosse inutile o non dovesse essere somministrato.

17. Per quanto riguarda la proporzionalità delle misure, era importante sottolineare che il Governo (Congresso di Stato) aveva gradualmente ridotto le restrizioni in linea con l’andamento della pandemia al fine di limitarne gli effetti. La discrezionalità applicata dallo Stato era quindi ragionevole ed era inoltre soggetta a controllo giurisdizionale. Tutti gli elementi del test di proporzionalità (liceità, necessità e proporzionalità) erano stati quindi soddisfatti. In effetti, la natura eccezionale e grave degli eventi in questione non poteva essere trascurata insieme all’idea di solidarietà sociale in un momento così cruciale. I testi dell’UE invocati dai ricorrenti non hanno portato a una conclusione diversa. Le risoluzioni 2361(2021) e 2383(2021) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (vedere paragrafi 26 e 27 di seguito) non escludevano tali misure, ma ritenevano che dovessero essere giustificate, il che nel caso di specie era stato loro dato dalla situazione straordinaria di una pandemia.

18. Nella misura in cui i ricorrenti lamentavano l’impatto sul loro impiego, la legge aveva solo proibito il loro contatto con gli utenti. Pertanto, alle persone non vaccinate potevano essere offerti altri compiti all’interno dello stesso servizio che non comportassero tale contatto, o la riassegnazione a un altro servizio, o la possibilità di usufruire di ferie accumulate. Se nessuna di queste opzioni fosse stata loro gradita, avrebbero potuto essere sospesi, durante il quale avrebbero comunque ricevuto un indennizzo mensile di 600 euro [massimo]. Non si era trattato di una sanzione disciplinare, bensì di una misura che cercava un giusto equilibrio tra il diritto al lavoro e il diritto alla salute delle persone che utilizzavano i servizi sanitari. Quest’ultimo gruppo di persone includeva individui vulnerabili che necessitavano di servizi sanitari e non potevano scegliere di evitare il contatto con il personale sanitario. L’interesse più primario della salute pubblica prevaleva su una restrizione temporanea del diritto al lavoro dei singoli individui che si rifiutavano di vaccinarsi. In effetti, ogni libertà individuale aveva i suoi limiti nel dovere di solidarietà verso la comunità in cui viveva. Tale dovere di solidarietà era tanto più rilevante nel settore della sanità pubblica, a cui erano state limitate le misure impugnate.

19. In conclusione e tenendo presente che la Corte EDU aveva già avuto modo di rilevare che la pandemia di Covid-19 è suscettibile di avere conseguenze molto gravi non solo per la salute, ma anche per la società, l’economia, il funzionamento dello Stato e la vita in generale, e che la situazione dovrebbe quindi essere caratterizzata come un “contesto eccezionale e imprevedibile” (vedi Terhe? c. Romania (dec.), n. 49933/20, 13 aprile 2021), le affermazioni dei ricorrenti circa l’illegittimità della legge impugnata hanno dovuto essere respinte.

ALTRI PROCEDIMENTI
20. Nelle more del suddetto controllo giurisdizionale di legittimità costituzionale, quattro dei ricorrenti (la signora o il signor Battistini, la signora Gabotti, il signor Vignali e la signora Felici), che erano stati sospesi dal servizio, hanno presentato ricorso dinanzi al giudice di primo grado (commissario della legge) nella sua competenza amministrativa per annullare il provvedimento di sospensione loro applicato. I ricorsi presentati dalla Sig.ra o dal Sig. Battistini, dalla Sig.ra Gabotti e dal Sig. Vignali sono stati dichiarati inammissibili, per motivi procedurali (relativi alla procura), il 7 ottobre 2021. La ricorrente Sig.ra Felici ha ritirato il ricorso il 23 dicembre 2021.

QUADRO GIURIDICO RILEVANTE

DIRITTO INTERNO RILEVANTE
Rimedi
21. La disposizione rilevante della Legge n. 55/2003 concernente “l’organizzazione, le incompatibilità, il funzionamento, le forme di ricorso e di procedimento, gli effetti della decisione della Corte costituzionale” recita quanto segue:

Articolo 12 (Riesame diretto)

“1. I ricorsi di legittimità costituzionale possono essere presentati […] da un numero di cittadini votanti pari ad almeno l’1,5% dell’elettorato risultante dall’ultima e definitiva revisione annuale delle liste elettorali.

2. Il ricorso è depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale (Collegio Garante della Costituzionalità delle Norme), che ne trasmette copia ai Capi dello Stato (Capitani Reggenti). I ricorsi contro le leggi o gli atti aventi forza di legge sono proposti nel termine perentorio di quarantacinque giorni dalla pubblicazione ufficiale della legge o dell’atto avente forza di legge soggetto a pubblicazione. Per essere ammissibile, il ricorso deve indicare chiaramente le disposizioni di legge o quelle aventi forza di legge la cui legittimità è dubbia o controversa, nonché le disposizioni e i principi della legge 8 luglio 1974, n. 59, come modificata dalle leggi successive, che si ritiene siano stati violati.

22. Per quanto rilevante, la disposizione della legge n. 68/1989 concernente “giurisdizione amministrativa, controllo di legittimità e sanzioni amministrative” recita quanto segue:

Articolo 9 (Atti impugnabili)

“Le autorità giudiziarie amministrative sono chiamate a decidere sui ricorsi per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge, contro atti o misure adottati da organi istituzionali della Pubblica amministrazione in generale, compresi gli atti degli organi amministrativi dell’Istituto di previdenza sociale e degli Enti pubblici e delle Corporazioni statali autonome, quando perseguono gli interessi di una persona fisica o giuridica.

Ciò non pregiudica le diverse disposizioni di legge sulla tutela giurisdizionale.

Gli atti relativi al pubblico impiego sono soggetti alla giurisdizione amministrativa prevista dalla presente legge …”

Legge di emergenza
23. La legge n. 85/2021, relativa ad ulteriori disposizioni per allentare le misure di gestione dell’epidemia di Covid-19, per quanto rilevante, recita quanto segue:

Articolo 14 (Vaccinazione per il personale sanitario e socio-sanitario)

“1. Dall’entrata in vigore del presente decreto-legge e fino al 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle cure e dell’assistenza, la mancata vaccinazione volontaria per la prevenzione dell’infezione da SARSCoV-2 da parte del personale sanitario, socio-sanitario in servizio presso l’Istituto di previdenza sociale [SSI] e le strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche, con qualsiasi formula contrattuale, comporta la sospensione del diritto a svolgere servizi o mansioni che comportino contatti interpersonali con pazienti o utenti delle strutture suddette.

2. Entro cinque giorni dall’entrata in vigore del presente decreto-legge, l’Ufficio del personale e della libera professione dell’SSI trasmette al Direttore di reparto ospedaliero l’elenco del personale sanitario, socio-sanitario in servizio presso l’SSI e le strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche con qualsiasi formula contrattuale.

3. Entro cinque giorni dalla data di ricezione dell’elenco di cui al comma 2, il Responsabile di reparto ospedaliero verifica lo stato vaccinale di ciascun lavoratore ivi elencato e inoltra al Centro Unico di Prenotazione SSI i nominativi dei soggetti non vaccinati, indicando anche quelli tra loro in possesso di certificato di guarigione da COVID-19 e relativa data.

4. Ricevuta la segnalazione di cui al comma 3, il Centro Unico di Prenotazione sollecita formalmente i soggetti non vaccinati a sottoporsi alla vaccinazione contro SARSCoV-2 tenendo conto della possibile data di guarigione ai sensi del Documento Operativo “Indicazioni Operative per le Vaccinazioni Anti Covid-19″, di cui alla Procedura Aziendale n. 71 del 25 febbraio 2021, indicando data, ora e luogo di vaccinazione, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. La comunicazione si considera effettuata alla data di consegna della raccomandata al domicilio del destinatario e, comunque, alla data in cui l’ufficiale postale dichiara la mancata consegna.

5. Qualora il lavoratore espressamente invitato non si presenti alla somministrazione del vaccino, il Centro Unico di Prenotazione ne inoltrerà il nominativo al Responsabile del Personale del SSI per le opportune valutazioni.

6. Il Responsabile del Personale valuterà le possibili mansioni alternative a cui il lavoratore non vaccinato potrà essere assegnato al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle cure e dell’assistenza, tenendo conto anche delle effettive esigenze di servizio.

7. Qualora non sia possibile assegnare il soggetto non vaccinato a mansioni alternative, lo stesso sarà posto in aspettativa obbligatoria non retribuita, che non sarà computata ai fini del congedo di cui all’articolo 45 della legge 22 dicembre 1972, n. 41 e successive modificazioni.

8. In alternativa al congedo di cui al comma 7, la persona non vaccinata può usufruire dei permessi ordinari e straordinari maturati nel 2020.

9. Se la persona è vaccinata, il congedo di cui al comma 7 cessa e la persona ha diritto a riprendere il lavoro precedentemente svolto.

10. Se la mancata vaccinazione di cui al comma 1 è conseguente a un rischio sanitario certificato, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate e attestate da un medico di medicina generale, e non è possibile assegnare la persona a mansioni alternative ai sensi del comma 6, il Responsabile del personale dell’ISS può disporre un congedo retribuito.”

24. Le disposizioni rilevanti della legge n. 107/2021, di ratifica della legge n. 97/2021 – aggiornamento delle disposizioni per allentare le misure di gestione dell’epidemia di Covid-19 – per quanto rilevanti recitano come segue:

Sezione 1 (Scopo)

“1. L’obiettivo del presente decreto-legge è proseguire il graduale allentamento delle restrizioni previste per il contenimento della diffusione del virus Covid-19, in linea con l’andamento della campagna vaccinale e sulla base dei dati sull’evoluzione dei contagi.

2. Ove non in contrasto con il presente decreto-legge e salvo quanto diversamente previsto negli articoli successivi, si applicano le misure del decreto-legge 30 aprile 2021, n. 85, del decreto-legge 8 aprile 2021, n. 63, del decreto-legge 31 marzo 2021, n. 62, del decreto-legge 30 aprile 2021, n. 57 del 23 marzo 2021, il decreto-legge n. 58 del 23 marzo 2021 e il decreto-legge n. 26 del 26 febbraio 2021 sono prorogati fino alle ore 5 del mattino del 2 luglio 2021.”

Sezione 2 (Disposizioni generali)

“1. È obbligatorio indossare correttamente la mascherina, sia all’aperto che al chiuso, salvo quando una persona: a) si trovi da sola o insieme ai componenti del suo nucleo familiare; b) sia espressamente esentata dall’uso della mascherina.

2. A partire dal 7 giugno 2021, è fortemente raccomandato l’uso della mascherina all’aperto. L’uso corretto della mascherina al chiuso resta obbligatorio con le eccezioni di cui al comma 1, lettere a) e b).

3. L’obbligo di cui ai commi 1 e 2 non si applica a: a) bambini di età inferiore ai sei anni; b) persone con forme di disabilità non compatibili con l’uso continuativo della mascherina e persone che interagiscono con loro; c) soggetti vaccinati.

4. I lavoratori del settore pubblico e privato vaccinati sono esentati dall’obbligo di indossare la mascherina.

5. Sono vietati gli assembramenti in luoghi pubblici o privati. Per assembramento si intende un raggruppamento di più di dieci persone in cui non sia possibile mantenere una distanza di sicurezza di almeno un metro. Tale numero massimo può essere derogato in caso di componenti dello stesso nucleo familiare o se tutte le persone presenti, ad eccezione dei minori conviventi, sono vaccinate.

6. Le attività degli organi istituzionali e le attività istituzionali in genere sono consentite nel rispetto delle misure igienico-sanitarie o secondo le modalità stabilite da apposito provvedimento del Governo (Congresso di Stato). Se tutte le persone presenti sono vaccinate o non possono essere vaccinate, le attività istituzionali sono consentite in deroga alle norme sul distanziamento e sull’uso della mascherina.

7. In tutti i casi possibili, le riunioni e le assemblee si svolgono a distanza. Riunioni, conferenze, congressi, convegni e simili saranno consentiti, nel rispetto delle misure igienico-sanitarie applicabili, con particolare riguardo al distanziamento sociale e al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Le limitazioni di cui al presente comma non si applicheranno se tutti i partecipanti saranno vaccinati.

8. Le attività didattiche in presenza saranno consentite, nel rispetto delle misure igienico-sanitarie applicabili, con particolare riguardo al distanziamento sociale e al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Le limitazioni di cui al presente comma non si applicheranno se tutti i partecipanti saranno vaccinati.

9. […]

10. La dichiarazione di appartenenza allo stesso gruppo di conviventi, nonché la prova di essere vaccinati o di essere una persona non vaccinabile ai sensi della presente normativa, saranno oggetto di responsabilità individuale.

11. Sarà consentita la ristorazione a buffet di cibi e bevande. È consentito consumare cibi e bevande in piedi, sia al chiuso che all’aperto, fatta eccezione per il bancone, purché il tempo di permanenza al bancone sia limitato e possa essere garantita una distanza interpersonale di almeno un metro.

11 bis. Nei locali aperti al pubblico in cui vengono forniti cibi e bevande, i clienti sono serviti solo se seduti ai tavoli, in base all’applicazione dell’obbligo di mantenere una distanza di almeno un metro tra tavoli adiacenti e una distanza interpersonale di almeno un metro, sia al chiuso che all’aperto, ospitando fino a sei persone in base all’applicazione del corretto distanziamento. È possibile derogare a tale numero massimo solo se le persone sedute allo stesso tavolo appartengono allo stesso gruppo di conviventi o sono tutte vaccinate.

11 ter. Il Comitato esecutivo dell’SSI può emanare disposizioni più restrittive in merito all’uso delle mascherine nei propri locali.”

Sezione 6 (Disposizioni sulle scuole)

“1. Il personale docente e non docente vaccinato nelle scuole di ogni ordine e grado è esentato dall’obbligo di indossare la mascherina all’interno e all’esterno dell’edificio scolastico.

2. Il personale docente e non docente delle scuole di ogni ordine e grado, che non è o non può essere vaccinato, deve indossare la mascherina in ogni momento all’interno e all’esterno dell’edificio scolastico.

3. Gli alunni e gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, nonché gli studenti dell’Istituto Musicale di San Marino e dell’Università, non sono più tenuti a indossare la mascherina mentre sono seduti ai banchi.

4. Laddove non sia garantito un adeguato ricambio d’aria come prescritto e nei casi in cui non sia possibile rispettare il distanziamento sociale, l’uso della mascherina è obbligatorio.

5. I Dipartimenti dell’SSI, d’intesa con il Dipartimento dell’Istruzione, possono modificare le disposizioni di cui al presente articolo mediante l’emanazione di un’apposita circolare.”

Art. 8 (Vaccinazione del personale sanitario e socio-sanitario)

“1. Fino al 31 dicembre 2021 o fino al termine dell’emergenza sanitaria, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle cure e dell’assistenza, la mancata vaccinazione volontaria per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 del personale sanitario e socio-sanitario in servizio presso l’Istituto di previdenza sociale e le strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche, con qualsiasi formula contrattuale, può comportare la sospensione del diritto a svolgere prestazioni o mansioni che comportino contatti interpersonali con pazienti o utenti delle predette strutture.

2. Ricevuta la comunicazione di cui all’articolo 14, comma 3, del decreto-legge n. 85/2021, il Centro unico di prenotazione invita formalmente i soggetti non vaccinati volontariamente a sottoporsi alla vaccinazione contro il SARS-CoV-2, comunicando con lettera raccomandata con avviso di ricevimento la data, l’ora e il luogo della vaccinazione. La notifica si considera effettuata alla data di consegna della raccomandata al domicilio del destinatario e, in ogni caso, alla data in cui l’ufficiale postale dichiara la mancata consegna.

3. Se il lavoratore espressamente sollecitato non si presenta alla somministrazione del vaccino, il Centro Unico di Prenotazione ne inoltrerà il nominativo al Responsabile del Personale del SSI per le opportune valutazioni.

4. In relazione ai dipendenti non vaccinati volontariamente, il Responsabile del Personale del SSI, tenuto conto delle esigenze di continuità e adeguatezza del servizio, valuterà in primo luogo la possibilità di modificare la propria organizzazione in modo da ridurre al minimo i contatti tra il dipendente interessato e gli utenti. Ove tale riorganizzazione sia possibile, la persona non vaccinata volontariamente sarà tenuta a sottoporsi a tamponi antigenici ogni 48 ore a proprie spese con un costo a carico del SSI di 7 euro a tampone.

5. Se non è possibile procedere in conformità al paragrafo 4, il Responsabile del personale dell’SSI prenderà in considerazione possibili mansioni alternative a cui la persona non vaccinata può essere assegnata, al fine di proteggere la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nella fornitura di cure e assistenza, tenendo conto anche delle effettive esigenze di servizio. La persona che è stata vaccinata volontariamente può essere riassegnata solo a specifiche di lavoro vacanti o temporaneamente vacanti fino al ritorno del titolare, che devono essere effettivamente ricoperte all’interno dell’SSI o, previa consultazione con la Direzione generale della funzione pubblica, all’interno della Pubblica amministrazione o di un altro ente pubblico o di una Corporazione statale autonoma del settore pubblico complessivo. Qualora la persona che non ha subito la vaccinazione volontaria venga utilmente riassegnata ai sensi della frase precedente, riceverà lo stipendio previsto per la specifica di lavoro che ricoprirà temporaneamente, i cui costi saranno a carico del Bilancio dello Stato o dell’ente pubblico o della Corporazione autonoma di riassegnazione.

6. Qualora non sia possibile assegnare il soggetto non vaccinato volontariamente a mansioni alternative e non intenda avvalersi delle alternative di riassegnazione di cui al comma 5 o della fruizione di ferie, permessi o recupero ore di straordinario, di cui al comma 8, il Responsabile del Personale dell’SSI lo sospende temporaneamente dal servizio. La sospensione non ha rilevanza disciplinare e non comporta la cessazione delle incompatibilità previste per i dipendenti pubblici. I dipendenti non vaccinati volontariamente sono inoltre sospesi dal diritto di svolgere attività professionale intramoenia o extramoenia.

7. Al dipendente che, a seguito delle procedure descritte nei commi precedenti, venga sospeso temporaneamente dal servizio spetta un’indennità di sospensione pari a 600 euro mensili al lordo delle imposte di competenza e dei contributi SSI e FONDISS, oltre alla conservazione dell’intero importo degli assegni familiari eventualmente percepiti. Il dipendente cui viene concessa tale indennità è chiamato a svolgere attività socialmente utili individuate dall’Amministrazione nel rispetto dei principi del decreto delegato 29 dicembre 2010, n. 200 e successive modificazioni, e del regolamento 4 novembre 2020, n. 8, ferma restando la proporzionalità dell’orario di lavoro all’importo della predetta indennità. Il personale che rifiuta di essere addetto ad attività socialmente utili perde il diritto a percepire l’indennità di sospensione, nonché l’intero importo degli assegni familiari eventualmente percepiti. 8. In alternativa alla sospensione di cui ai commi 6 e 7, il soggetto non vaccinato può usufruire dei permessi ordinari e straordinari maturati nel 2020.

9. In caso di vaccinazione, dalla data di somministrazione della prima dose cessano le disposizioni dei commi 4, 5 e 6 e il soggetto ha diritto alla ripresa del servizio precedentemente svolto.

10. Qualora la mancata vaccinazione di cui al comma 1 sia conseguente a un rischio sanitario certificato, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate e attestate dal medico di medicina generale, e non sia possibile procedere ai sensi dei commi 4 e 5, il Responsabile del personale dell’SSI può disporre un congedo retribuito al 100%.

25. Legge n. 72/2022 ha stabilito la fine dell’emergenza sanitaria il 1° aprile 2022. Tuttavia, per quanto riguarda il personale sanitario e socio-sanitario, l’articolo 17 della stessa legge ha mantenuto le misure in vigore per questo settore di personale, specificando che la mancata vaccinazione e la mancata ricezione delle relative dosi di richiamo entro nove mesi dal completamento del precedente ciclo vaccinale avrebbero comportato l’attuazione delle opzioni già previste dalla precedente normativa. L’articolo 17 è stato abrogato il 29 settembre 2022 tramite la legge n. 137/2022.

MATERIALE INTERNAZIONALE RILEVANTE
26. La risoluzione n. 2361(2021) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, adottata il 27 gennaio 2021, relativa ai vaccini Covid-19: considerazioni etiche, giuridiche e pratiche, per quanto rilevante, recita quanto segue:

“1. La pandemia di Covid-19, una malattia infettiva causata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2, ha causato molta sofferenza nel 2020. A dicembre 2020, erano stati registrati più di 65 milioni di casi in tutto il mondo e più di 1,5 milioni di vite erano state perse. Il peso della malattia della pandemia stessa, così come le misure di sanità pubblica necessarie per combatterla, hanno devastato l’economia globale, mettendo a nudo faglie e disuguaglianze preesistenti (anche nell’accesso all’assistenza sanitaria) e causando disoccupazione, declino economico e povertà.

2. La rapida distribuzione in tutto il mondo di vaccini sicuri ed efficaci contro il Covid-19 sarà essenziale per contenere la pandemia, proteggere i sistemi sanitari, salvare vite e aiutare a ripristinare le economie globali …

3. Affinché i vaccini siano efficaci, la loro distribuzione di successo e la loro sufficiente adozione saranno cruciali. Tuttavia, la velocità con cui vengono sviluppati i vaccini può causare un sentimento di sfiducia difficile da combattere. È inoltre necessaria una distribuzione equa dei vaccini contro il Covid-19 per garantirne l’efficacia. Se non sono sufficientemente distribuiti in un’area gravemente colpita di un paese, i vaccini diventano inefficaci nell’arginare l’ondata della pandemia. Inoltre, il virus non conosce confini ed è quindi nell’interesse di ogni paese cooperare per garantire l’equità globale nell’accesso ai vaccini contro il Covid-19. L’esitazione vaccinale e il nazionalismo vaccinale hanno la capacità di far deragliare lo sforzo vaccinale contro il Covid-19, finora sorprendentemente rapido e di successo, consentendo al virus SARSCoV-2 di mutare e quindi smussare lo strumento più efficace al mondo contro la pandemia finora.

7. Gli scienziati hanno svolto un lavoro straordinario in tempi record. Ora spetta ai governi agire. L’Assemblea sostiene la visione del Segretario generale delle Nazioni Unite secondo cui un vaccino contro il Covid-19 deve essere un bene pubblico globale. L’immunizzazione deve essere disponibile per tutti, ovunque. L’Assemblea esorta quindi gli Stati membri e l’Unione europea a:

7.2.3. garantire che le persone all’interno degli stessi gruppi prioritari siano trattate equamente, prestando particolare attenzione ai più vulnerabili come gli anziani, coloro che hanno patologie pregresse e gli operatori sanitari, in particolare coloro che lavorano a stretto contatto con persone che appartengono a gruppi ad alto rischio, nonché le persone che lavorano in infrastrutture essenziali e servizi pubblici, in particolare nei servizi sociali, nei trasporti pubblici, nelle forze dell’ordine e nelle scuole, nonché coloro che lavorano nel settore della vendita al dettaglio;

7.2.6. garantire che ogni paese sia in grado di vaccinare i propri operatori sanitari e i gruppi vulnerabili prima che la vaccinazione venga estesa ai gruppi non a rischio, e quindi considerare la donazione di dosi di vaccino o accettare che venga data priorità ai paesi che non sono ancora stati in grado di farlo, tenendo presente che un’allocazione globale giusta ed equa delle dosi di vaccino è il modo più efficiente per sconfiggere la pandemia e ridurre gli oneri socioeconomici associati;

7.2.7. garantire che i vaccini Covid-19 la cui sicurezza ed efficacia sono state stabilite siano accessibili a tutti coloro che ne avranno bisogno in futuro, ricorrendo, ove necessario, a licenze obbligatorie in cambio del pagamento di royalty;

7.3. per quanto riguarda la garanzia di un’elevata adesione al vaccino:

7.3.1. garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è sottoposto a pressioni politiche, sociali o di altro tipo per essere vaccinato se non desidera farlo;

7.3.2. garantire che nessuno venga discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non voler essere vaccinato;

7.3.3. adottare misure efficaci e tempestive per contrastare la disinformazione, la disinformazione e l’esitazione riguardo ai vaccini Covid-19;

7.3.4. distribuire informazioni trasparenti sulla sicurezza e sui possibili effetti collaterali dei vaccini, collaborando con le piattaforme dei social media e regolamentandole per prevenire la diffusione di disinformazione;”

27. La risoluzione n. 2383(2021) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, adottata il 22 giugno 2021, relativa ai passaporti o certificati Covid: protezione dei diritti fondamentali e implicazioni legali, per quanto pertinente, recita quanto segue:

“1. Il costo socioeconomico delle restrizioni legate al Covid-19 continua a essere enorme e la pressione politica per limitarle e revocarle è reale e comprensibile. Allo stesso tempo, la situazione sanitaria rimane molto precaria: il Covid-19 è ancora una malattia che potrebbe facilmente sfuggire al controllo, causando ulteriori malattie diffuse e decessi. A questo proposito, l’Assemblea parlamentare ricorda la sua risoluzione 2338 (2020) “L’impatto della pandemia di Covid-19 sui diritti umani e sullo stato di diritto”, in cui ha affermato che “[g]li obblighi positivi ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (ETS n. 5, la Convenzione) impongono agli Stati di adottare misure per proteggere la vita e la salute delle loro popolazioni”. Inoltre, una ripresa socioeconomica sostenibile sarà possibile solo quando la malattia sarà durevolmente sotto controllo. La vaccinazione sarà una misura di sanità pubblica essenziale per raggiungere questo obiettivo, ma sarà insufficiente da sola.

3. La vaccinazione e la guarigione da un’infezione passata potrebbero ridurre il rischio di trasmissione, ma l’entità e la durata di questo effetto sono attualmente incerte. Inoltre, diversi vaccini e regimi vaccinali possono variare nella loro efficacia nel ridurre il rischio di trasmissione e nella loro efficacia contro le varianti del SARS-CoV-2. Un risultato negativo del test è solo indicativo di una situazione storica, che può cambiare in qualsiasi momento dopo il prelievo del campione. Queste differenze sono rilevanti per stabilire se casi specifici di utilizzo dei pass Covid siano giustificati dal punto di vista medico e non discriminatori.

10. Se le conseguenze del rifiuto della vaccinazione, comprese le continue restrizioni al godimento delle libertà e la stigmatizzazione, sono così gravi da rimuovere l’elemento di scelta dalla decisione, ciò potrebbe equivalere a rendere obbligatoria la vaccinazione. Ciò potrebbe comportare una violazione dei diritti protetti e/o essere discriminatorio. L’Assemblea richiama la sua Risoluzione 2361 (2020) “Vaccini Covid-19: considerazioni etiche, legali e pratiche”, in cui ha invitato gli Stati membri a “garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è sottoposto a pressioni politiche, sociali o di altro tipo per essere vaccinato se non lo desidera”. Qualsiasi indebita pressione indiretta sulle persone che non sono in grado o non vogliono essere vaccinate può essere mitigata se i pass Covid sono disponibili per motivi diversi dalla vaccinazione.

L’Assemblea invita pertanto gli Stati membri del Consiglio d’Europa a:

13.1 continuare ad attuare l’intera gamma di misure di sanità pubblica necessarie per tenere sotto controllo in modo duraturo il Covid-19, in conformità con i loro obblighi positivi ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e istituire regimi di pass Covid solo quando esistano prove scientifiche chiare e consolidate che tali regimi riducono il rischio di trasmissione del virus SARS-CoV-2 a un livello accettabile dal punto di vista della salute pubblica;

13.2 tenere pienamente conto delle ultime prove e dei pareri degli esperti, in particolare dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), quando si attuano misure come i pass Covid che comportano un allentamento delle restrizioni volte a prevenire la diffusione del virus SARS-CoV-2;

13.3 garantire che misure quali i lasciapassare Covid che esentano i loro titolari da determinate restrizioni sui diritti e sulle libertà protette siano applicate in modo tale da mantenere una protezione efficace contro la diffusione del virus SARS-CoV-2 ed evitare discriminazioni …”

28. Il regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, relativo a un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, test e guarigione COVID-19 (certificato COVID digitale UE) per facilitare la libera circolazione durante la pandemia di COVID-19 prevedeva, nel suo preambolo, quanto segue:

“(36) È necessario prevenire discriminazioni dirette o indirette nei confronti delle persone che non sono vaccinate, ad esempio per motivi medici, perché non fanno parte del gruppo target per cui il vaccino COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità o hanno scelto di non essere vaccinati …

Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato come se stabilisse un diritto o un obbligo di essere vaccinati vaccinati”.

DIRITTO

ECCEZIONI PRELIMINARI
Opinioni delle parti
Il Governo
29. Il Governo ha sostenuto, in primo luogo, che la domanda era abusiva in quanto i ricorrenti avevano omesso di menzionare che quattro di loro avevano avviato un procedimento amministrativo.

30. In subordine, hanno ritenuto che tutti i ricorrenti non avessero esaurito i ricorsi interni in riferimento al procedimento amministrativo, che la maggior parte dei ricorrenti non aveva avviato, e quelli che lo avevano fatto non avevano impugnato le loro decisioni dinanzi al giudice amministrativo d’appello, né quest’ultimo aveva tentato di presentare un nuovo ricorso, né chiesto a tale tribunale di sospendere temporaneamente il provvedimento in pendenza del procedimento. Inoltre, la sig.ra Felici aveva ritirato il suo ricorso dinanzi alla giurisdizione amministrativa, pertanto non poteva nemmeno essere considerata vittima della presunta violazione.

31. Quanto all’efficacia del procedimento amministrativo, il Governo ha sostenuto che, nonostante la Corte costituzionale abbia respinto il loro ricorso e abbia confermato la legittimità della legge impugnata nonché la sua compatibilità con la Costituzione e la Convenzione, i ricorrenti avrebbero potuto contestare la legge impugnata per altri motivi quali “violazione della legislazione, incompetenza dell’organo, motivazione inadeguata, eccesso di potere e ulteriori profili procedurali”. Il Governo ha inoltre sottolineato che “nel procedimento amministrativo i ricorrenti avrebbero potuto presentare al giudice competente un’ulteriore richiesta di revisione, mediante azione incidentale, della costituzionalità delle norme applicate al loro caso e ritenute in conflitto con altri parametri costituzionali”.

I ricorrenti
32. I ricorrenti hanno sostenuto che una volta che la Corte costituzionale avesse confermato la legittimità della legge impugnata, non era di alcuna utilità contestare le misure di sospensione derivanti da tale legge dinanzi ai tribunali amministrativi. L’omissione di perseguire tale via era quindi irrilevante ai fini del ricorso. Poiché i giudici ordinari erano vincolati dalle conclusioni della Corte costituzionale in materia di legge, qualsiasi ricorso ai tribunali amministrativi non aveva prospettive di successo. Inoltre, il riesame amministrativo riguardava solo i “vizi di legittimità” (incompetenza, eccesso di potere e violazione della legislazione) di un atto emanato da un organo della pubblica amministrazione e non di una legge, che era ciò che i ricorrenti stavano contestando. Inoltre, contrariamente a quanto affermato dal Governo al paragrafo 31 sopra, secondo l’articolo 13 della legge n. 55/2003, quando una questione di legittimità costituzionale è stata sollevata e risolta in modo diretto (mediante ricorso dei cittadini dinanzi alla Corte costituzionale), la stessa questione non può essere riproposta dal giudice amministrativo incidentalmente, mediante un rinvio.

33. La mancanza di qualsiasi prospettiva di successo è stata esattamente la ragione per cui la Sig.ra Felici ha ritirato il suo ricorso dinanzi al tribunale amministrativo. Non vi era inoltre alcun dubbio che fosse stata vittima della presunta violazione ai sensi dell’articolo 8 da solo e in combinato disposto con l’articolo 14, dato che lei, come tutti gli altri ricorrenti, era stata sottoposta a misure a seguito della legge impugnata.

34. Hanno concluso che l’unico rimedio che avrebbe potuto esaminare la legittimità della legge era stata la Corte costituzionale e i ricorrenti che vi avevano avuto accesso, avevano intrapreso tale rimedio basandosi sulle disposizioni della Convenzione e sollevando argomenti allo stesso effetto sulla base del diritto interno in un modo che non lasciava dubbi sul fatto che le stesse denunce che sono state successivamente sottoposte a questa Corte fossero state sollevate a livello nazionale. Quanto ai ricorrenti che non avevano avuto accesso a tale rimedio, la giurisprudenza della Corte non richiedeva ai ricorrenti di perseguire rimedi ai quali non avevano accesso diretto.

Valutazione della Corte
Principi generali
35. I principi generali riguardanti l’esaurimento dei ricorsi interni sono stati recentemente riassunti in Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS) c. Svizzera ([GC], n. 21881/20, §§ 138-43, 27 novembre 2023).

36. In particolare, la Corte ribadisce che, quando un ricorrente contesta una disposizione di una legge o di un regolamento in quanto di per sé contraria alla Convenzione, la Corte ha ritenuto che un ricorso raccomandato dal diritto nazionale per esaminare la compatibilità della legislazione con disposizioni di forza giuridica superiore è un ricorso interno che deve essere esaurito, a condizione che sia direttamente accessibile alle parti in causa (vedere S.B. e altri contro Belgio (dec.), n. 63403/00, 6 aprile 2004; e, a contrario, T?nase contro Moldavia [GC], n. 7/08, §§ 122 e 123, CEDU 2010) e a condizione che il tribunale adito abbia giurisdizione, in teoria e in pratica, per abrogare una disposizione di una legge o di un regolamento che ritiene contraria a una disposizione di forza giuridica superiore (vedere Grišankova e Grišankovs contro Lettonia (dec.), n. 36117/02, CEDU 2003-II (estratti), e Burden c. Regno Unito [GC], n. 13378/05, § 40, CEDU 2008). In generale, dalla giurisprudenza della Corte emerge chiaramente che la necessità di un particolare rimedio, che consenta di esaminare la compatibilità di una legge con disposizioni di forza giuridica superiore, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione dipenderà in larga misura dalle caratteristiche particolari dell’ordinamento giuridico dello Stato convenuto e dall’ambito di giurisdizione del tribunale incaricato di svolgere tale esame (vedere Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS), citata sopra, § 145).

37. Inoltre, la Corte ribadisce che un ricorrente non è obbligato a ricorrere a rimedi inadeguati o inefficaci. Ne consegue che l’esercizio di tali rimedi avrà conseguenze sull’identificazione della “decisione definitiva” e, di conseguenza, sul calcolo del punto di partenza per l’applicazione della regola dei sei mesi (cfr. Barc Company Ltd c. Malta (dec.), n. 38478/06, 21 settembre 2010, Toniolo c. San Marino e Italia, n. 44853/10, §§ 34 e 38, 26 giugno 2012, e giurisprudenza ivi citata). In altre parole, l’articolo 35 § 1 consente di prendere in considerazione solo i ricorsi normali ed effettivi, poiché un ricorrente non può estendere il termine rigoroso imposto dalla Convenzione cercando di presentare domande inappropriate o mal concepite a organismi o istituzioni che non hanno il potere o la competenza per offrire un rimedio effettivo al reclamo in questione ai sensi della Convenzione (vedere Zaghini c. San Marino, n. 3405/21, § 47, 11 maggio 2023, e Lopes de Sousa Fernandes c. Portogallo [GC], n. 56080/13, § 132, 19 dicembre 2017). Tuttavia, la disposizione non può essere interpretata in modo tale da richiedere al ricorrente di informare la Corte del suo reclamo prima che la sua posizione in relazione alla questione sia stata definitivamente risolta a livello nazionale, altrimenti il ??principio di sussidiarietà sarebbe violato (vedi Lopes de Sousa Fernandes, citato sopra, § 131, e Mocanu e altri contro Romania [GC], nn. 10865/09 e altri 2, § 260, CEDU 2014 (estratti)).

38. Per quanto riguarda il rigetto di una domanda per motivi di abuso del diritto di ricorso, si tratta di una misura eccezionale (vedi Miro?ubovs e altri contro Lettonia, n. 798/05, § 62, 15 settembre 2009) ed è stata applicata solo in un numero limitato di casi. Ad esempio, la Corte ha respinto i ricorsi come abusivi ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione se erano consapevolmente basati su fatti non veri o informazioni fuorvianti (vedi Gross c. Svizzera [GC], n. 67810/10, § 28, CEDU 2014; Pirtskhalaishvili c. Georgia (dec.), n. 44328/05, 29 aprile 2010; Khvichia c. Georgia (dec.), n. 26446/06, 23 giugno 2009; Keretchashvili c. Georgia (dec.), n. 5667/02, 2 maggio 2006; e ?ehák c. Repubblica Ceca (dec.), n. 67208/01, 18 maggio 2004). Allo stesso modo, una domanda può essere respinta come abusiva se i ricorrenti – nonostante il loro obbligo ai sensi dell’articolo 47 del Regolamento della Corte – non informano la Corte di nuovi e importanti sviluppi riguardanti le loro domande pendenti, dato che tale condotta impedisce alla Corte di pronunciarsi sulla questione con piena cognizione di causa (vedi Bekauri c. Georgia (dec.), n. 14102/02, §§ 21?23, 10 aprile 2012, e, a contrario, Pe?aranda Soto c. Malta, n. 16680/14, § 35, 19 dicembre 2017).

2 – Applicazione al caso di specie
39. La Corte rileva che i ricorrenti hanno formulato le loro doglianze a livello nazionale principalmente con riferimento alla legge, alla sua “illegittimità” rispetto alla Convenzione e al suo Protocollo n. 12 e ad altri strumenti nazionali e internazionali. In tale prospettiva, dato che la Corte costituzionale di San Marino può esaminare la compatibilità della legislazione con disposizioni di forza giuridica superiore e abrogarle, se necessario, si tratterebbe in linea di principio di un rimedio interno che deve essere esaurito. Tuttavia, la Corte osserva che, a San Marino, l’accesso alla Corte costituzionale non è direttamente disponibile per gli individui e non era direttamente disponibile per i ricorrenti nel caso di specie. In primo luogo, i ricorrenti che non erano elettori dell’elettorato, vale a dire i ricorrenti stranieri, non avevano alcun accesso alla procedura intrapresa dai ricorrenti di nazionalità sammarinese. In secondo luogo, anche i ricorrenti di nazionalità sammarinese, in quanto singoli litiganti, non avevano il diritto di rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale (cfr. Parrillo c. Italia [GC], n. 46470/11, § 101, CEDU 2015), ma necessitavano piuttosto di 750 firme per ottenere tale accesso, che pertanto non può essere considerato diretto. Ne consegue che un ricorso dinanzi alla Corte costituzionale non era stato richiesto a nessuno dei ricorrenti nel presente caso, fatto salvo il diritto della Corte di tenere conto di tali conclusioni in linea con il principio di sussidiarietà, se dovesse esaminare il merito della causa. 40. La Corte ritiene inoltre rilevante sottolineare che, mentre a San Marino un tribunale amministrativo che esamina il merito di una causa ha la possibilità di adire la Corte costituzionale, su richiesta di una parte o d’ufficio, tale ricorso non può costituire un rimedio il cui esaurimento è richiesto dalla Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Parrillo, citato sopra § 101, per quanto riguarda il contesto italiano) in assenza di circostanze eccezionali che tengano conto delle specificità del funzionamento del procedimento di revisione costituzionale nel sistema interno in questione (vedere, ad esempio, Fizgejer c. Estonia (dec.), n. 43480/17, §§ 73-77, 2 giugno 2020).

41. Nella misura in cui il Governo ha sostenuto che i ricorrenti avrebbero dovuto avviare un procedimento amministrativo tout court, la Corte osserva che, contrariamente al sistema francese, i tribunali amministrativi ordinari di San Marino non potevano entrare nella compatibilità di una legge con la Convenzione (vedere, a contrario, Zambrano c. Francia (dec.), n. 41994/21, 21 settembre 2021, e Thevenon c. Francia, (dec.), n. 46061/21, 13 settembre 2022). Inoltre, nel caso di specie, la questione era già all’esame della Corte costituzionale il 27 luglio 2021 (lo stesso mese in cui i ricorrenti sono stati interessati da queste misure), che ha deciso la questione il 2 novembre 2021. Pertanto, non vi è dubbio che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, sarebbe stato altamente improbabile che i tribunali amministrativi avrebbero offerto prospettive di successo, sia per quanto riguarda la legge in generale, sia per le misure specifiche applicate a ciascuno dei singoli ricorrenti, dato che la Corte costituzionale aveva esaminato la compatibilità con la Convenzione delle disposizioni impugnate e l’aveva confermata (vedere, a contrario, Zambrano, citato sopra § 27, dove il Conseil constitutionnel non ha preso decisioni sulla compatibilità con la Convenzione).

42. In effetti, il Governo sembra ammettere che questo fosse il caso, dato che la sua argomentazione relativa all’efficacia dei procedimenti amministrativi è principalmente che i ricorrenti avrebbero potuto contestare la legge impugnata per altri motivi. Tuttavia, la Corte sottolinea che, ai sensi dell’articolo 35 § 1, sono i reclami destinati a essere presentati successivamente alla Corte che avrebbero dovuto essere presentati all’organo interno appropriato (vedere, Azinas contro Cipro [GC], n. 56679/00, § 38, CEDU 2004-III, e Vu?kovi? e altri contro Serbia [GC], nn. 17153/11 e altri 29, § 72, 25 marzo 2014). Nelle attuali circostanze, non si può ritenere che i procedimenti amministrativi avessero alcuna prospettiva di successo relativamente al reclamo presentato dinanzi a questa Corte.

43. In assenza di ricorsi accessibili ed efficaci che i ricorrenti erano tenuti a perseguire, l’eccezione del Governo di mancato esaurimento dei ricorsi interni, nonché quella relativa allo status di vittima della Sig.ra Felici, nella misura in cui aveva ritirato il procedimento amministrativo che aveva intrapreso dopo la decisione della Corte costituzionale, sono pertanto respinte.

44. Analogamente, essendo il procedimento amministrativo vano e irrilevante ai fini della valutazione dei reclami, non si pone il problema della malafede o del comportamento improprio dei quattro ricorrenti che avevano avviato un procedimento amministrativo (vedere paragrafo 20 sopra) e omesso di informarne la Corte, e pertanto la Corte non vede alcuna ragione per accogliere l’eccezione di abuso di petizione sollevata dal Governo, che viene pertanto anch’essa respinta (cfr. Balsamo contro San Marino, nn. 20319/17 e 21414/17, § 48, 8 ottobre 2019, e Aboya Boa Jean contro Malta, n. 62676/16, § 37, 2 aprile 2019).

ALTRE CONSIDERAZIONI SULL’AMMISSIBILITÀ
45. Il Governo non ha sollevato ulteriori obiezioni. Tuttavia, alla luce delle conclusioni relative all’indisponibilità di ricorsi formulate al paragrafo 43 sopra, la Corte ritiene che sia necessario esaminare la tempestività del ricorso presentato alla Corte. A tale riguardo, la Corte sottolinea che non è possibile per essa annullare l’applicazione di questa norma per il solo fatto che il Governo convenuto non ha sollevato un’eccezione preliminare in tal senso (vedere Ble?i? c. Croazia [GC], n. 59532/00, § 68, CEDU 2006-III, e Pe?aranda Soto, citata sopra, § 43, e la giurisprudenza ivi citata).

46. La Corte osserva che prima dell’entrata in vigore del Protocollo n. 15 alla Convenzione (1° agosto 2021), l’articolo 35 § 1 della Convenzione faceva riferimento a un periodo di sei mesi, a partire dalla decisione interna definitiva, entro il quale un ricorrente poteva presentare ricorso alla Corte. L’articolo 4 del Protocollo n. 15 ha modificato l’articolo 35 § 1 per ridurre il periodo da sei a quattro mesi. Secondo le disposizioni transitorie del Protocollo (articolo 8 § 3), questa modifica si applica solo dopo un periodo di sei mesi dall’entrata in vigore del Protocollo (a partire dal 1° febbraio 2022), al fine di consentire ai potenziali ricorrenti di prendere piena conoscenza della nuova scadenza. Inoltre, il nuovo termine non ha effetto retroattivo, poiché non si applica alle domande per le quali la decisione definitiva ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione è stata presa prima della data di entrata in vigore della nuova norma (vedere la Relazione esplicativa del Protocollo n. 15, § 22).

47. La Corte ribadisce che i requisiti contenuti nell’articolo 35 § 1 relativi all’esaurimento dei ricorsi interni e al periodo di sei mesi (ora di quattro mesi) sono strettamente interconnessi (vedi Jeronovi?s c. Lettonia [GC], n. 44898/10, § 75, 5 luglio 2016). Di norma, il periodo di sei mesi (ora di quattro mesi) decorre dalla data della decisione definitiva nel processo di esaurimento dei ricorsi interni (vedi Blokhin c. Russia [GC], n. 47152/06, § 106, 23 marzo 2016). Tuttavia, quando è chiaro fin dall’inizio che non è disponibile alcun ricorso effettivo per un ricorrente, il periodo decorre dalla data degli atti o delle misure contestati, o dalla data di conoscenza di tale atto o del suo effetto o pregiudizio per il ricorrente (vedi Mocanu e altri, citato sopra, § 259). Tuttavia, nei casi in cui vi è una situazione continuativa, il termine inizia a decorrere nuovamente ogni giorno e, in generale, è solo quando tale situazione termina che il termine inizia effettivamente a decorrere (vedi Varnava e altri contro Turchia [GC], nn. 16064/90 e altri 8, § 159, CEDU 2009). 48. La Corte fa riferimento all’ampia giurisprudenza secondo cui una richiesta di nuovo processo o di simili rimedi straordinari, come la richiesta di revisione della decisione da parte di un tribunale o la richiesta di riapertura del procedimento, non possono, di norma generale, essere prese in considerazione ai fini dell’applicazione dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere, ad esempio, Tumilovich c. Russia (dec.), n. 47033/99, 22 giugno 1999; Prystavska c. Ucraina (dec.), n. 21287/02, 17 dicembre 2002; Berdzenishvili c. Russia (dec.), n. 31697/03, 29 gennaio 2004; e Çinar c. Turchia (dec.), n. 28602/95, 13 novembre 2013), salvo in circostanze speciali in cui, ad esempio, è stabilito dal diritto interno che tale richiesta in realtà costituiscono un rimedio effettivo (vedi, ad esempio, Shibendra Dev c. Svezia (dec.), n. 7362/10, 21 ottobre 2014). La Corte ha anche accettato che le situazioni in cui una richiesta di riapertura del procedimento ha successo e si traduce effettivamente in una riapertura possono costituire un’eccezione a questa regola (vedi Sapeyan c. Armenia, n. 35738/03, § 23, 13 gennaio 2009, e i casi ivi citati).

48. La Corte fa riferimento all’ampia giurisprudenza secondo cui una richiesta di nuovo processo o di simili rimedi straordinari, come la richiesta di revisione della decisione da parte di un tribunale o la richiesta di riapertura del procedimento, non possono, di norma generale, essere prese in considerazione ai fini dell’applicazione dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere, ad esempio, Tumilovich c. Russia (dec.), n. 47033/99, 22 giugno 1999; Prystavska c. Ucraina (dec.), n. 21287/02, 17 dicembre 2002; Berdzenishvili c. Russia (dec.), n. 31697/03, 29 gennaio 2004; e Çinar c. Turchia (dec.), n. 28602/95, 13 novembre 2013), salvo in circostanze speciali in cui, ad esempio, è stabilito dal diritto interno che tale richiesta in realtà costituiscono un rimedio effettivo (vedi, ad esempio, Shibendra Dev c. Svezia (dec.), n. 7362/10, 21 ottobre 2014). La Corte ha anche accettato che le situazioni in cui una richiesta di riapertura del procedimento ha successo e si traduce effettivamente in una riapertura possono costituire un’eccezione a questa regola (vedi Sapeyan c. Armenia, n. 35738/03, § 23, 13 gennaio 2009, e i casi ivi citati).

49. Analogamente, la Corte ritiene che la situazione nel presente caso possa essere considerata come rientrante in una categoria di casi eccezionali. Sebbene la Corte costituzionale non sia un rimedio che i ricorrenti erano tenuti a perseguire in assenza di un accesso diretto ad essa (vedere paragrafo 39 sopra), la Corte non può ignorare che alcuni dei ricorrenti, insieme ad altri individui, hanno raggiunto la soglia di 750 firmatari e hanno quindi ottenuto l’accesso a tale rimedio, e che la Corte costituzionale ha accolto la loro domanda ed esaminato gli stessi reclami della Convenzione sollevati dinanzi a questa Corte (vedere paragrafo 13 sopra). La Corte sottolinea che i giudici nazionali dovrebbero inizialmente avere l’opportunità di determinare le questioni relative alla compatibilità del diritto interno con la Convenzione. In particolare, quando la Corte è chiamata ad affrontare la complessa e delicata questione dell’equilibrio da trovare tra i diversi interessi in gioco al fine di verificare la necessità e la proporzionalità di una determinata misura restrittiva, è essenziale che tale bilanciamento sia stato preventivamente effettuato dai tribunali nazionali (si veda Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS), citata sopra, § 138, e Zambrano, citata sopra, § 26, nel contesto specifico della pandemia di Covid?19). Inoltre, se la Corte costituzionale avesse accolto tali argomentazioni e abrogato le disposizioni impugnate, ciò avrebbe aperto la strada alla revoca delle misure applicate a tutti i ricorrenti. 50. La Corte osserva che la valutazione di quest’ultima riguarda un prezioso contributo per la sua stessa valutazione dei reclami di cui è investita, poiché le autorità statali sono in linea di principio meglio posizionate di una corte internazionale per valutare le esigenze e il contesto locali (vedi Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS), citata sopra, § 138). Alla luce di ciò, e tenendo presente che l’articolo 35 § 1 non può essere interpretato in un modo che richiederebbe a un ricorrente di informare la Corte del suo reclamo prima che la sua posizione in relazione alla questione sia stata definitivamente risolta a livello nazionale, la Corte ritiene che il termine rilevante per tutti i ricorrenti debba essere considerato iniziato a decorrere alla data della pronuncia della sentenza della Corte costituzionale, vale a dire il 2 novembre 2021, e pertanto che il ricorso è stato presentato entro sei mesi (applicabile prima del 1° febbraio 2022). PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
51. I ricorrenti lamentavano che l’obbligo imposto loro, in quanto operatori sanitari e socio-sanitari, di vaccinarsi contro il Covid-19 ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 107/2021 e delle successive conseguenze, fosse contrario all’articolo 8 della Convenzione, che recita quanto segue:

“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto, a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

L’ambito del reclamo
52. La Corte rileva che i ricorrenti hanno lamentato l’obbligo indiretto di vaccinarsi contro il Covid-19 (nonostante tale vaccinazione sia ancora sperimentale) e la conseguente sospensione dai loro incarichi o altre misure connesse all’occupazione, derivanti dall’articolo 8 della legge n. 107/2021. Hanno spiegato che sebbene la legge n. 107/2021 non conteneva una disposizione per la somministrazione forzata della vaccinazione, l’obbligo per gli operatori sanitari era surrettizio e fatto rispettare indirettamente attraverso l’applicazione di misure smodate, consistenti nel trasferimento ad altra posizione, se possibile, e nella sospensione dal servizio, senza retribuzione, con la sola possibilità di svolgere attività socialmente utili in cambio di un’indennità di 600 euro. Hanno ritenuto che sia la vaccinazione obbligatoria sia le restrizioni legate a una professione costituissero un’ingerenza ai sensi dell’articolo 8.

53. Il Governo ha contestato l’attestazione che vi fosse stato un obbligo, poiché la vaccinazione era stata effettuata su base puramente volontaria per l’intera popolazione di San Marino indistintamente. Con riferimento allo specifico settore sanitario e socio-sanitario in questione nel presente caso, la vaccinazione è rimasta volontaria (contrariamente alla situazione, ad esempio, in Italia, Germania e Francia) e la mancata scelta di tale opzione ha portato alla sospensione solo in circostanze estreme in cui non era possibile alcuna altra misura.

54. La Corte osserva che nella causa Association of Parents c. Regno Unito (n. 7154/75, decisione della Commissione del 12 luglio 1978, Decisions and Reports (DR) 14, pag. 31), la Commissione ha ritenuto che una “vaccinazione volontaria”, vale a dire il caso in cui gli Stati non obbligano le persone a vaccinarsi, né direttamente né indirettamente, imponendo sanzioni a coloro che non si vaccinano, non costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e familiare. Analogamente, in Baytüre e altri contro Turchia ((dec.), n. 3270/09, §§ 24, 30 e 31, 12 marzo 2013), in cui il Governo ha contestato l’applicabilità dell’articolo 8, sulla base del fatto che la vaccinazione somministrata alla figlia dei ricorrenti (che le ha causato la paralisi) riguardava una “vaccinazione raccomandata”, la Corte non è riuscita a qualificare quest’ultima come un’ingerenza, respingendo il reclamo ratione materiae.

55. Al contrario, quando l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione era a pena di sanzione, poteva costituire un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata (vedere Boffa e altri contro San Marino, n. 26536/95, decisione della Commissione del 15 gennaio 1998, DR 92-B, pag. 27, relativa alla vaccinazione obbligatoria dei bambini contro determinate malattie). Il fatto che le vaccinazioni/inoculazioni obbligatorie, in quanto trattamento medico involontario, costituissero un’ingerenza è stato confermato dalla Corte laddove il ricorrente era stato effettivamente vaccinato (vedi Salvetti c. Italia (dec.), n. 42197/98, 9 luglio 2002, e Solomakhin c. Ucraina, n. 24429/03, § 33, 15 marzo 2012), ma anche laddove vi era un obbligo o un dovere di vaccinarsi (vale a dire, la legge prevedeva che la vaccinazione fosse obbligatoria), anche se il ricorrente non era stato vaccinato e non era stato costretto a vaccinarsi (perché non poteva essere imposto direttamente nel senso che non vi era alcuna disposizione che consentisse di somministrare la vaccinazione forzatamente). Ciò era così sulla base del fatto che i ricorrenti subivano le conseguenze dirette della mancata osservanza dell’obbligo di vaccinazione (vedi Vav?i?ka e altri, citato sopra, §§ 263 e 293). In quest’ultimo caso, ai bambini ricorrenti era stato negato l’accesso alla scuola materna e al genitore ricorrente era stata inflitta una multa per non aver vaccinato il figlio, entrambe le quali sono state ritenute un’interferenza con il diritto al rispetto della vita privata (ibid., §§ 263 e 264). Il significato di tali misure è stato ritenuto rilevante solo per la valutazione dell’intensità dell’interferenza (ibid., § 294).

56. Tuttavia, la Corte osserva che in Vav?i?ka e altri, la Grande Camera ha riconosciuto che esisteva, tra le Parti contraenti della Convenzione, uno spettro di politiche sulla vaccinazione, che andavano da una basata interamente sulla raccomandazione, a quelle che rendono una o più vaccinazioni obbligatorie, a quelle che ne fanno un obbligo di legge (§ 278). La Corte ha ritenuto che, laddove si ritenga che una politica di vaccinazione volontaria non sia sufficiente a raggiungere e mantenere l’immunità di gregge, o che l’immunità di gregge non sia rilevante a causa della natura della malattia, le autorità nazionali possono ragionevolmente introdurre una politica di vaccinazione obbligatoria al fine di raggiungere un livello appropriato di protezione contro le malattie gravi (§ 288). In effetti, in quel caso ha ritenuto che la scelta del legislatore ceco di applicare un approccio obbligatorio fosse giustificata e che le misure lamentate dai ricorrenti, valutate nel contesto del sistema interno, si trovassero in un ragionevole rapporto di proporzionalità con gli obiettivi legittimi perseguiti dallo Stato convenuto attraverso l’obbligo di vaccinazione (§ 309). Non spettava alla Corte stabilire se si sarebbe potuta adottare una politica diversa, meno prescrittiva, come era stato fatto in alcuni altri Stati europei (§ 310).

57. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che il fatto che la vaccinazione sia obbligatoria o basata sull’obbligo, anziché volontaria o raccomandata, sia rilevante per determinare l’approccio da adottare in un dato caso. Spetta quindi alla Corte valutare quale tipo di sistema esistesse a San Marino in relazione alla campagna di vaccinazione contro il Covid-19.

58. La Corte osserva che l’articolo 8 della legge impugnata faceva riferimento a “essere vaccinati volontariamente”. Pertanto, per legge, la vaccinazione non era obbligatoria e non era imposto alcun obbligo vaccinale diretto ai ricorrenti (vedere, al contrario, Vav?i?ka e altri, citata sopra, §§ 75 e 260). Lo stesso è stato confermato dalla Corte costituzionale di San Marino.

59. I ricorrenti hanno sostenuto che “una vaccinazione volontaria o raccomandata” potrebbe diventare obbligatoria indirettamente a causa delle conseguenze che ne conseguivano in seguito alla mancata vaccinazione. Tuttavia, la Corte rileva che la legge nel presente caso non imponeva alcuna sanzione statutaria. In particolare, la mancata vaccinazione non poteva in alcun modo comportare una multa o un’altra sanzione amministrativa (vedere, al contrario, Vav?i?ka e altri, citata sopra, § 263), né alcuna sanzione disciplinare.

60. Inoltre, non ha comportato conseguenze automatiche per i ricorrenti (come la mancata ammissione all’asilo nido per tutti i bambini non vaccinati, che in Vav?i?ka e altri, citata sopra, §§ 264 e 294, la Corte ha ritenuto fosse un’ingerenza ai sensi dell’articolo 8 § 2). La legge impugnata nel presente caso, che era limitata agli operatori sanitari e socio-sanitari, faceva riferimento solo a “può” avere conseguenze (vedere paragrafo 24 sopra). Infatti, ove possibile, il personale non vaccinato in questo settore è rimasto al suo posto soggetto a piccoli accordi che limitavano il suo contatto con gli utenti. Quando ciò non era possibile, è stata offerta la riassegnazione ad altri servizi o al lavoro sociale facoltativo (entro i limiti disponibili) e, negli scenari peggiori, in cui il personale non vaccinato ha rifiutato quest’ultima possibilità, è stato sospeso senza alcuna retribuzione. Ognuna di queste misure si basava su situazioni individuali e alla luce delle esigenze dei servizi statali. La Corte ritiene pertanto che nessuna di queste misure possa essere considerata una sanzione mascherata (vedere, a contrario, Sodan c. Turchia, n. 18650/05, § 49-50, 2 febbraio 2016, relativa a un trasferimento permanente basato su considerazioni di vita privata).

61. Sostenere diversamente significherebbe considerare che qualsiasi tipo di conseguenza, indipendentemente dalla sua intensità e da qualsiasi altro fattore rilevante, renderebbe obbligatoria una vaccinazione raccomandata. Questo non può essere il caso, anzi persino l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella sua risoluzione n. 2383(2021) ha ritenuto che le conseguenze “gravi”, e non qualsiasi conseguenza, del rifiuto della vaccinazione potrebbero equivalere a rendere obbligatoria la vaccinazione (vedere paragrafo 27 sopra).

62. Ne consegue che, nel caso di specie, in assenza di conseguenze gravi e inevitabili a livello nazionale o di categoria, non si può ritenere che vi fosse un obbligo vaccinale generale.

63. Alla luce di quanto sopra, la Corte distingue il presente caso da Vav?i?ka e altri (citato sopra, §§ 259-60) in cui la Corte ha ritenuto che l’oggetto del reclamo ai sensi dell’articolo 8 fosse l’obbligo di vaccinazione e le conseguenze per i ricorrenti della sua inosservanza, che non potevano essere dissociate.

64. Nel caso di specie, ritiene che l’oggetto della causa ai fini del reclamo ai sensi dell’articolo 8 non possa riguardare un obbligo di vaccinazione inesistente, pertanto riguarda esclusivamente le misure specifiche imposte ai ricorrenti a seguito, tra l’altro, della loro scelta di non sottoporsi alla vaccinazione facoltativa e di altre circostanze rilevanti. Pertanto, spetterà alla Corte valutare le misure applicate ai ricorrenti (vedere la tabella allegata per i dettagli) e determinare se esse rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 in linea con la giurisprudenza della Corte in materia di controversie di lavoro (vedere Denisov c. Ucraina [GC], n. 76639/11, §§ 115-16, 25 settembre 2018).

Ammissibilità
Argomenti delle parti
65. Il Governo non ha sollevato altre obiezioni oltre a quelle sopra esposte.

66. I ricorrenti hanno sostenuto che la nozione di “vita privata” comprende anche attività di natura professionale o aziendale e, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, le restrizioni imposte all’accesso a una professione possono incidere sulla “vita privata”, così come la perdita del lavoro. Allo stesso modo, si è ritenuto che il licenziamento dall’ufficio interferisca con il diritto al rispetto della vita privata. In sostanza, le controversie relative al lavoro generalmente coinvolgevano l’articolo 8 della Convenzione quando una persona perdeva il lavoro a causa di qualcosa che aveva fatto nella vita privata (approccio basato sulla ragione) o quando la perdita del lavoro aveva un impatto sulla vita privata (approccio basato sulle conseguenze).

67. Hanno sostenuto che, nella presente domanda, l’interferenza derivava dalla scelta dei ricorrenti di non vaccinarsi, vale a dire da qualcosa che avevano fatto nella loro vita privata. Tuttavia, l’interferenza ha avuto un impatto anche sulla loro vita privata, perché sono stati rimossi e tenuti lontani dal loro lavoro regolare senza il loro stipendio e costretti a svolgere attività socialmente utili per ricevere l’indennità di sospensione. Hanno ritenuto che le misure imposte agli operatori sanitari non vaccinati li avessero colpiti in modo molto significativo, sia finanziariamente che emotivamente, con gravi conseguenze per la loro situazione finanziaria e la loro reputazione sociale e professionale, considerando anche il loro ruolo centrale nella risposta alle malattie da Covid-19 durante la pandemia. Hanno fatto affidamento sulle loro richieste di equa soddisfazione, laddove, ai fini del danno patrimoniale, i ricorrenti hanno chiesto la differenza tra l’indennità ricevuta (se presente) per lo svolgimento di attività socialmente utili o la remunerazione percepita a seguito del trasferimento (se lo fossero stati) e il loro stipendio regolare/usuale (vale a dire quello a cui avrebbero dovuto avere diritto in assenza dell’intervento legislativo in questione). Pertanto, a loro avviso, la legge n. 107/2021 ha superato la “soglia di gravità” affinché una questione possa essere sollevata ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.

Valutazione della Corte
(a) Principi generali

68. La Corte osserva che il Governo non ha sollevato alcuna obiezione in tal senso. Tuttavia, ribadisce che l’applicabilità di una disposizione è correlata alla competenza ratione materiae della Corte a valutare un reclamo, e pertanto è una questione che rientra nella giurisdizione della Corte e che non le è impedito di esaminare d’ufficio (vedere Pasquini contro San Marino, n. 50956/16, § 86, 2 maggio 2019, e Pasquini contro San Marino (n. 2), n. 23349/17, § 31, 20 ottobre 2020).

69. La Corte ribadisce che le controversie relative al lavoro non sono di per sé escluse dall’ambito della “vita privata” ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Ci sono alcuni aspetti tipici della vita privata che possono essere influenzati in tali controversie da licenziamento, declassamento, non ammissione a una professione o altre misure simili sfavorevoli. Questi aspetti includono (i) la “cerchia ristretta” del richiedente, (ii) l’opportunità del richiedente di stabilire e sviluppare relazioni con altri e (iii) la reputazione sociale e professionale del richiedente. Ci sono due modi in cui una questione di vita privata sorgerebbe solitamente in una tale controversia: o a causa delle ragioni sottostanti alla misura impugnata (in tal caso la Corte impiega l’approccio basato sulla ragione) o – in alcuni casi – a causa delle conseguenze per la vita privata (in tal caso la Corte impiega l’approccio basato sulle conseguenze) (vedi, Denisov, citato sopra, § 115).

70. Secondo l’approccio basato sulla ragione, i reclami riguardanti l’esercizio di funzioni professionali sono stati ritenuti rientranti nell’ambito della “vita privata” quando fattori relativi alla vita privata sono stati considerati criteri qualificanti per la funzione in questione e quando la misura impugnata era basata su ragioni che invadono la libertà di scelta dell’individuo nella sfera della vita privata (vedere, Denisov, citato sopra, §§ 103-04, e gli esempi ivi citati, che nell’ambito del servizio pubblico, fanno riferimento a fattori quali l’orientamento sessuale, strette relazioni private, la scelta dell’abbigliamento e del trucco, le condizioni di vita e le convinzioni di un richiedente). Quando le ragioni sottostanti alla misura impugnata che incide sulla vita professionale possono essere collegate alla vita privata dell’individuo, queste ragioni stesse possono rendere applicabile l’articolo 8 (ibid., § 106).

71. Se è in gioco l’approccio basato sulle conseguenze, la soglia di gravità rispetto a tutti gli aspetti sopra menzionati assume un’importanza cruciale. Spetta al ricorrente dimostrare in modo convincente che la soglia è stata raggiunta nel suo caso. Il ricorrente deve presentare prove che dimostrino le conseguenze della misura impugnata. La Corte accetterà che l’articolo 8 sia applicabile solo quando tali conseguenze sono molto gravi e incidono in modo molto significativo sulla sua vita privata (ibid., §§ 115?16). La Corte ha stabilito criteri per valutare la gravità o la serietà delle presunte violazioni in diversi contesti normativi. La sofferenza di un ricorrente deve essere valutata confrontando la sua vita prima e dopo la misura in questione. La Corte ritiene inoltre che nel determinare la gravità delle conseguenze nei casi relativi all’occupazione sia opportuno valutare le percezioni soggettive dichiarate dal ricorrente sullo sfondo delle circostanze oggettive esistenti nel caso specifico. Tale analisi dovrebbe riguardare sia l’impatto materiale che quello immateriale della presunta misura. Tuttavia, spetta al ricorrente definire e comprovare la natura e l’entità della sua sofferenza, che dovrebbe avere un nesso causale con la misura impugnata. Tenuto conto della regola dell’esaurimento dei ricorsi interni, gli elementi essenziali di tali allegazioni devono essere sufficientemente sollevati dinanzi alle autorità nazionali che si occupano della questione (ibid., § 117).

(b) Applicazione al presente caso

72. La Corte rileva innanzitutto che, mentre l’ordinanza di sospensione nei confronti della venticinquesima ricorrente (la sig.ra Vitali) indicava che la sospensione sarebbe iniziata il 19 luglio 2021, secondo le informazioni fornite dal Governo nelle sue osservazioni, non le sono state applicate misure ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 107/2021, dato che si è vaccinata volontariamente il 21 luglio 2021. La ricorrente non ha contestato ciò nelle sue osservazioni in replica.

73. Di conseguenza, in assenza di qualsiasi misura che potrebbe costituire un’ingerenza, l’articolo 8 non è applicabile alla sua situazione. Ne consegue che il reclamo nei suoi confronti deve essere respinto in quanto incompatibile ratione materiae con la Convenzione ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4.

74. I restanti ricorrenti (di seguito “i ricorrenti”) sono stati colpiti da una o da una combinazione delle seguenti misure lamentate: sospensione senza retribuzione in quanto si sono rifiutati di svolgere attività socialmente utili; hanno svolto servizi alla comunità in cambio di un’indennità proporzionale alle ore lavorate (ma non superiore a 600 EUR al mese); o sono stati trasferiti a posti vacanti nella pubblica amministrazione con lo stesso stipendio o a un livello di retribuzione inferiore a quello a cui avevano diritto prima del trasferimento (vedere la tabella allegata per i dettagli). Tutte queste misure (da sole o combinate) erano temporanee e sono durate tra un minimo di meno di due settimane e un massimo di circa quindici mesi; nella maggior parte dei casi le misure sono durate meno di sette mesi perché i ricorrenti sono guariti dall’infezione da Covid-19, si sono vaccinati, sono stati trasferiti in modo permanente o i loro contratti sono scaduti.

75. La Corte deve quindi rispondere alla questione se queste misure abbiano influenzato la vita privata dei ricorrenti, rendendo applicabile l’articolo 8.

76. La Corte esaminerà innanzitutto il modo in cui potrebbe sorgere una questione di vita privata nel caso di specie: se a causa delle ragioni sottostanti alle misure applicate ai ricorrenti o a causa delle conseguenze sulla loro vita privata (vedere paragrafo 69 sopra e, ad esempio, Mile Novakovi? c. Croazia, n. 73544/14, § 47, 17 dicembre 2020, e J.B. e altri c. Ungheria (dec.), nn. 45434/12 e altri 2, § 130, 27 novembre 2018).

77. La Corte ha già affermato al paragrafo 64 sopra che le misure specifiche imposte ai ricorrenti erano il risultato, tra l’altro, della loro scelta di non sottoporsi alla vaccinazione facoltativa e di altre circostanze rilevanti. Pur ribadisce che i programmi di vaccinazione facoltativa non costituiscono di per sé un’interferenza con l’articolo 8, la Corte è pronta ad accettare che la scelta di vaccinarsi o meno, che presumibilmente nel caso di specie si basa unicamente sulla preoccupazione dei ricorrenti per la loro integrità fisica, sia sufficientemente legata all’autonomia personale per ritenere che le misure applicate ai ricorrenti, in conseguenza del loro rifiuto di vaccinarsi volontariamente, fossero basate, tra l’altro, su ragioni che violavano la libertà di scelta dell’individuo nella sfera della vita privata. Poiché le ragioni sottostanti alla misura impugnata che incide sulla vita professionale nel caso di specie sono collegate, tra l’altro, alla vita privata dell’individuo, tali ragioni sono sufficienti a rendere applicabile l’articolo 8 (vedere paragrafo 70 sopra).

78. Ne consegue che le misure contestate (cfr. paragrafo 74 sopra), costituiscono un’ingerenza nella vita privata dei ricorrenti, il cui significato sarà rilevante per la valutazione dell’intensità dell’ingerenza (cfr. Vav?i?ka e altri, citata sopra, § 294).

79. La Corte rileva che tale ricorso, nella misura in cui riguarda tutti, tranne il venticinquesimo ricorrente, non è né manifestamente infondato né inammissibile per alcun altro motivo elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ammissibile.

Nel merito
Obiezioni delle parti
(a) I ricorrenti

80. I ricorrenti hanno sostenuto che l’articolo 8 della legge n. 107/2021 rappresentava un’ingerenza abusiva e illegittima del potere pubblico nella loro vita privata e che la disposizione di un trasferimento o di una sospensione temporanea dal servizio (senza stipendio) attraverso la loro scelta di non vaccinarsi costituiva una violazione del loro diritto al rispetto della vita privata. Hanno osservato che, anche se fosse lecito e in conformità a uno scopo legittimo, le misure dovevano comunque essere necessarie in una società democratica.

81. Quanto alle conseguenze sui loro accordi di lavoro, hanno sostenuto che, dato il concetto di dignità umana che sta alla base dello spirito della Convenzione, il legislatore sammarinese aveva oltrepassato il suo margine di apprezzamento in quanto “la sanzione” imposta ai ricorrenti non era stata proporzionata all’obiettivo di fermare la diffusione del virus. La “punizione” aveva quindi violato la loro dignità umana, causando un disturbo emotivo che aveva influenzato il loro benessere psicologico, la loro dignità e la loro integrità morale, e aveva compromesso l’essenza stessa dei diritti tutelati dall’articolo 8.

82. L’efficacia e la sicurezza dei vaccini anti-Covid-19 non erano mai state riconosciute, in quanto nuovi e sperimentali, contro una patologia poco nota alla scienza medica. L’incertezza dei vaccini, sia in termini di efficacia nel prevenire l’infezione/contagio, sia in termini di sicurezza ed effetti avversi, non poteva (e non doveva) essere ignorata dal legislatore. Le aziende farmaceutiche, la comunità scientifica e le organizzazioni, gli enti e le agenzie nazionali e internazionali competenti, hanno evidenziato le incertezze scientifiche dei vaccini anti-Covid-19, sia in termini di efficacia (nel prevenire l’infezione e il contagio) sia in termini di sicurezza (data la mancanza di studi sui possibili effetti collaterali a medio e lungo termine).

83. I ricorrenti hanno sottolineato che tutti i vaccini anti-Covid-19, come riportato nelle rispettive schede tecniche ufficiali, erano autorizzati per la prevenzione della malattia sintomatica da Covid-19 e non per la prevenzione dell’infezione asintomatica. Di conseguenza, quando gli scienziati parlavano di “efficacia” dei vaccini Covid-19, si riferivano all’effetto del vaccino sui sintomi e non alla prevenzione dell’infezione; quando le aziende farmaceutiche affermavano che il loro prodotto era efficace al 95%, ciò significava che il vaccino aveva ridotto i sintomi della malattia in una certa percentuale di persone risultate positive nei test; non significava che, tra le persone vaccinate, il 95% di loro fosse immune. Ne conseguiva che non ci si aspettava che i vaccini prevenissero l’infezione, ma solo che modificassero i sintomi delle persone infette. I ricorrenti hanno presentato numerosi documenti di supporto, tra cui foglietti illustrativi dei vaccini, moduli di consenso, vari studi, note informative e linee guida di organismi nazionali e internazionali, sottolineando la natura sperimentale di questi vaccini e le incertezze scientifiche sulla loro efficacia nel prevenire l’infezione e sulla loro sicurezza o effetti avversi. (b) Il Governo

84. Il Governo ha sostenuto che la Corte costituzionale aveva già ritenuto che il legislatore aveva esercitato il proprio potere legislativo nel pieno rispetto del principio di legalità ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge costituzionale n. 183/2005. La legge n. 107/2021 rientrava nel quadro normativo complessivo adottato dal legislatore nazionale al fine di aggiornare e adeguare le misure restrittive per fronteggiare e gestire l’epidemia di Covid-19 e si basava sullo stato delle conoscenze medico-scientifiche in quel preciso momento. Considerata l’evoluzione positiva dei casi sintomatici e dei contagi a San Marino, da un lato, la legge n. 107/2021 intendeva rendere meno gravose o, in alcuni casi, eliminare, nelle aree soggette a minor rischio, le restrizioni già imposte da precedenti atti normativi. Dall’altro, con riferimento al personale sanitario e socio-sanitario, il legislatore ha confermato la disposizione, già contenuta nella precedente legge n. 85/2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle cure e dell’assistenza, introducendo al contempo più ampie opportunità di impiego alternative in altri settori della pubblica amministrazione diversi dal SSI, aumentando così le possibilità di un effettivo ricollocamento. L’opzione introdotta dal legislatore era stata il risultato del necessario bilanciamento tra l’esigenza di tutelare la libertà individuale e l’autodeterminazione in relazione ai trattamenti che incidono sulla salute individuale e l’esigenza di tutelare la salute pubblica.

85. In particolare, l’articolo 8 della legge n. 107/2021 ha previsto diverse opzioni per le persone che hanno scelto di non vaccinarsi, tra cui la riorganizzazione del servizio in modo che il contatto tra il dipendente interessato e gli utenti sia ridotto al minimo; mansioni alternative a cui la persona non vaccinata potrebbe essere assegnata, tenendo conto delle effettive esigenze del servizio; l’utilizzo di ferie, permessi o recupero delle ore di lavoro straordinario maturate nel 2020; sospensione temporanea dal servizio (con indennità di sospensione in cambio dello svolgimento di attività socialmente utili (vedi paragrafo 24 sopra). Solo il personale che si rifiutava di essere assegnato ad attività socialmente utili perdeva l’indennità di sospensione, nonché l’intero importo degli eventuali assegni familiari (sottoparagrafo 7 della Sezione 8).

86. Inoltre, secondo il sottoparagrafo 10 della Sezione 8, le persone che avevano scelto di non vaccinarsi a causa di un rischio sanitario certificato, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate e attestate da un medico di medicina generale, potevano beneficiare di un congedo retribuito al 100% laddove non fosse possibile una riorganizzazione o una riassegnazione.

87. Il Governo ha sostenuto che l’esigenza di bilanciare i diritti individuali e quelli della collettività era divenuta di drammatica attualità in occasione di un’emergenza sanitaria con caratteristiche ben precise, definita inizialmente dall’OMS come emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale (30 gennaio 2020) e poi, considerati i livelli di diffusione e gravità raggiunti a livello globale, classificata come pandemia (11 marzo 2020). In tale situazione, il diritto di ogni persona all’autodeterminazione, non solo in relazione alla propria salute ma in relazione a ogni aspetto della vita privata, poteva essere legittimamente limitato – come di fatto era avvenuto in molti Stati – nell’interesse dell’intera collettività. Ciò in virtù del principio di solidarietà orizzontale che collegava ciascun membro della collettività agli altri membri della collettività. Pertanto, il legislatore sammarinese, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili all’epoca, ha adottato le misure restrittive impugnate per fronteggiare tale emergenza, con finalità puramente pubbliche. 88. Le misure specifiche introdotte dall’articolo 8 per il personale del settore sanitario e socio-sanitario sono state ritenute necessarie a causa dell’aumento del rischio associato allo svolgimento di mansioni lavorative a stretto contatto con persone particolarmente vulnerabili per le loro condizioni di salute e al fine di garantire la continuità e l’efficienza del servizio socio-sanitario in un momento particolarmente critico. La tempestività delle misure volte a prevenire qualsiasi aumento della curva epidemiologica era stata un fattore decisivo per contrastare il virus, ed è per questo motivo che il legislatore sammarinese ha promosso la campagna vaccinale e adottato le misure di cui all’articolo 8 con riguardo al personale del settore sanitario e socio-sanitario. Il Governo ha sostenuto che la vaccinazione degli operatori sanitari e socio-sanitari serviva allo scopo di proteggere sia i dipendenti sia i pazienti dal rischio di infezione.

89. Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la vaccinazione è stata introdotta dal legislatore dopo aver attentamente valutato ed esaminato le prove scientifiche disponibili all’epoca in merito all’efficacia e alla sicurezza dei vaccini Sputnik V e Pfizer utilizzati dalla Repubblica di San Marino durante la campagna vaccinale. L’esito degli studi cosiddetti di fase 3 sul vaccino Sputnik V, vaccino già distribuito l’11 agosto 2020 dal Ministero della Salute russo, era già stato pubblicato a febbraio 2021, dove era stato dimostrato che il vaccino aveva un tasso di efficacia complessiva del 91,6% e del 100% di efficacia nella facilità di infezioni da moderate a gravi. Gli studi non avevano inoltre evidenziato effetti collaterali insoliti, con solo sintomi influenzali, mal di testa, astenia o indolenzimento nella zona di inoculazione. Con riferimento al vaccino Pfizer, il 28 gennaio 2021, l’EMA (Agenzia europea per i medicinali) ha pubblicato il primo rapporto di farmacovigilanza su questo vaccino, che si era basato sugli studi disponibili sulle [allora] vaccinazioni correnti in Europa. Il rapporto aveva evidenziato la sostanziale sicurezza del vaccino Pfizer, rilevando che i benefici della vaccinazione superavano i rischi. A loro avviso, erano stati acquisiti anche dati scientifici sull’efficacia dei vaccini nel ridurre il contagio.

90. Le misure adottate non erano quindi irragionevoli o sproporzionate rispetto allo scopo legittimo perseguito. Le misure imposte ai ricorrenti non avevano influito in modo definitivo sulla loro posizione lavorativa, in quanto erano limitate al periodo dell’emergenza sanitaria ed erano state revocate al più tardi il 1° ottobre 2022. Inoltre, non avevano avuto alcun effetto ai fini disciplinari o previdenziali. Inoltre, la riduzione del pagamento, in alcuni casi, o il mancato pagamento, in altri casi, dell’indennità per attività socialmente utili era una conseguenza del mancato svolgimento, in tutto o in parte, da parte dei ricorrenti delle attività socialmente utili da cui dipendeva il pagamento di tale indennità. Più globalmente, la riduzione del loro reddito era solo una conseguenza dell’impossibilità di svolgere le loro funzioni abituali a causa di una situazione di forza maggiore e delle loro decisioni al riguardo. In sintesi, con la legge n. 107/2021, il legislatore, dovendo trovare un prudente e corretto equilibrio tra la tutela della salute collettiva e i diritti di ciascun individuo, aveva senza dubbio ritenuto prevalente la prima, come era stato confermato anche dalla Corte nella sua giurisprudenza.

Valutazione della Corte
(a) Principi generali

91. Per determinare se un’ingerenza abbia comportato una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, la Corte deve esaminare se fosse giustificata ai sensi del secondo paragrafo di tale articolo, vale a dire se l’ingerenza fosse “prevista dalla legge”, perseguisse uno o più degli obiettivi legittimi ivi specificati e a tal fine fosse “necessaria in una società democratica” (vedi Vav?i?ka e altri, citata sopra, § 265). Un’ingerenza sarà considerata “necessaria in una società democratica” per il raggiungimento di un obiettivo legittimo se risponde a un “bisogno sociale impellente” e, in particolare, è proporzionata all’obiettivo legittimo perseguito (vedi Boffa, citata sopra, § 4 in fine, e Vav?i?ka e altri, citata sopra, § 273).

92. Le Parti contraenti, conformemente al principio di sussidiarietà, hanno la responsabilità primaria di garantire i diritti e le libertà definiti nella Convenzione e nei suoi Protocolli, e nel farlo godono di un margine di apprezzamento, soggetto alla giurisdizione di controllo della Corte. Grazie alla loro conoscenza diretta della loro società e delle sue esigenze, le autorità nazionali sono in linea di principio meglio posizionate del giudice internazionale per valutare le esigenze e le condizioni locali e per decidere cosa sia nell’interesse pubblico (vedere, tra molte altre autorità, Hatton e altri contro Regno Unito [GC], n. 36022/97, § 97, CEDU 2003?VIII; Dickson contro Regno Unito [GC], n. 44362/04, § 78, CEDU 2007-V; e Visti?š e Perepjolkins contro Lettonia [GC], n. 71243/01, § 98, 25 ottobre 2012). In particolare, le questioni di politica sanitaria rientrano nel margine di apprezzamento delle autorità nazionali, che sono le più idonee a valutare le priorità, l’uso delle risorse e le esigenze sociali. In questo ambito, la Corte ha già avuto modo di affermare che il margine di apprezzamento concesso agli Stati deve essere ampio (cfr. Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS), citata sopra, § 160, e Vav?i?ka e altri, citata sopra, §§ 274 e 280).

(b) Applicazione al caso di specie

93. La Corte rileva che nessuno degli argomenti sottoposti alla sua attenzione è idoneo a mettere in discussione la legittimità delle misure adottate, il che è stato confermato anche dalla Corte costituzionale.

94. Per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti da tali misure, come sostenuto dal Governo e come riconosciuto dalla Corte costituzionale, l’obiettivo delle misure era quello di proteggere la salute pubblica e di mantenere adeguate condizioni di sicurezza nel contesto di una pandemia che rappresentava un grave rischio per la popolazione in generale. La Corte ha già avuto occasione di rilevare che la pandemia di Covid-19 avrebbe potuto avere conseguenze molto gravi per la salute (vedi Terhe? c. Romania (dec.), n. 49933/20, 13 aprile 2021, e Fenech c. Malta, n. 19090/20, § 96, 1° marzo 2022). Come osservato dalla Corte costituzionale, ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione, gli Stati membri hanno l’obbligo positivo di adottare misure appropriate per salvaguardare la vita di coloro che rientrano nella loro giurisdizione.

95. In effetti, in relazione alla pandemia di Covid-19, la Corte non ha escluso che gli individui potessero essere vittime di una presunta violazione dell’articolo 2, dimostrando che nelle loro circostanze gli atti o le omissioni dello Stato hanno o avrebbero potuto mettere la loro vita a rischio reale e imminente (vedi Fenech, § 104, citato sopra). In un contesto carcerario, la Corte ha anche ritenuto che, data la natura del Covid-19, i suoi effetti ben documentati, nonché il fatto che si trasmette facilmente da una persona all’altra (tramite goccioline o particelle sospese nell’aria contenenti il ??virus), al fine di proteggere il benessere fisico degli individui vulnerabili, le autorità avevano l’obbligo di adottare determinate misure volte a evitare l’infezione. Aveva anche ritenuto che il passare del tempo avesse portato con sé una conoscenza scientifica estesa del virus nonché risposte pertinenti (sia attraverso vaccinazioni che trattamenti medici). Tutti questi fattori avevano reso possibile ai governi di adattare le loro politiche e protocolli alle mutevoli circostanze (ibid., §§ 129?30).

96. Non vi è quindi dubbio che una serie di misure restrittive nel settore sanitario adattate alla costante evoluzione della pandemia di Covid-19, come quelle del presente caso, perseguissero l’obiettivo legittimo della protezione della salute e della protezione dei diritti e delle libertà altrui.

97. La Corte rileva che il 31 dicembre 2020 l’OMS ha convalidato il primo vaccino anti-Covid-19 tramite la procedura di uso di emergenza. Il 5 maggio 2023, a seguito di una campagna di vaccinazione di massa (oltre 13 miliardi di dosi di vaccino somministrate in tutto il mondo) che aveva consentito di contenere gli effetti della malattia, l’OMS ha revocato l’allerta classificando il Covid-19 come un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. A tale data, erano stati registrati oltre 766 milioni di casi di infezione da Covid-19 e quasi 7 milioni di decessi in tutto il mondo (vedere Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS), citata sopra, §§ 17-18, e i riferimenti ivi contenuti). La Corte ha già ritenuto che tale situazione dovesse essere caratterizzata come un “contesto eccezionale e imprevedibile” (vedere Terhe? e Fenech, § 96, entrambi citati sopra).

98. È in tale contesto, e senza il beneficio del senno di poi, che la Corte deve determinare se le misure imposte ai ricorrenti fossero necessarie in una società democratica.

99. I ricorrenti hanno sostenuto che, in quanto persone non vaccinate, non rappresentavano un rischio più elevato per gli altri rispetto alle persone vaccinate. La Corte costituzionale di San Marino ha ritenuto diversamente (vedere paragrafo 16 sopra). La Corte osserva che, sulla base del materiale disponibile all’epoca, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha ritenuto che “la vaccinazione e la guarigione da un’infezione passata potrebbero ben ridurre il rischio di trasmissione, ma l’entità e la durata di tale effetto sono attualmente incerte” (vedere paragrafo 27 sopra). Tuttavia, mentre le argomentazioni dei ricorrenti si basano in larga misura su tale argomentazione, la Corte non è tenuta a determinare tale questione. Ciò è così perché è indiscutibile che le persone non vaccinate (che era la situazione di tutte le persone prima dell’arrivo del vaccino) erano e sono rimaste, sia suscettibili all’infezione che in grado di contaminare e diffondere il virus, che era attivamente in circolazione in quel momento (2021-2022). Pertanto, il mantenimento di misure di protezione nei confronti dell’intera popolazione, compresi i ricorrenti, e in particolare della popolazione vulnerabile dipendente da strutture sanitarie e socio-sanitarie ha continuato a perseguire un’esigenza sociale impellente, al momento in cui le misure impugnate sono state messe in atto, ovvero prima del 5 maggio 2023.

100. Inoltre, la Corte non può ignorare che la legge impugnata è stata il risultato di una riduzione globale delle misure restrittive, alla luce della disponibilità della vaccinazione nel 2021, divenuta necessaria per evitare che il mondo si fermasse e subisse un ulteriore declino economico. Pertanto, la Corte ritiene che, anche se l’efficacia della vaccinazione nel limitare il contagio fosse ancora dubbia, non era irragionevole alleviare le misure nei confronti delle persone vaccinate che erano esse stesse meno a rischio, mantenendole per i ricorrenti che, oltre a rappresentare certamente un rischio per gli altri, rimanevano anche loro stessi a rischio di infezione e gravi conseguenze per la loro salute. In effetti, i ricorrenti non hanno contestato che la vaccinazione fosse efficace in termini di riduzione dei sintomi, quindi implicitamente che le persone non vaccinate erano più vulnerabili alle gravi conseguenze della malattia (un fattore già scientificamente accertato all’epoca, come ammesso dai ricorrenti, vedere paragrafo 83 sopra). Inoltre, oltre alle preoccupazioni per la salute dei ricorrenti, non si può ignorare che, nel caso probabile in cui i ricorrenti si fossero ammalati, la loro assenza per malattia – che sarebbe stata probabilmente di lunga durata in caso di gravi sintomi – avrebbe anche rappresentato un onere per i servizi dello Stato, in particolare in uno dei settori più importanti, vale a dire l’assistenza sanitaria e socio-sanitaria, che era stato particolarmente sollecitato all’epoca.

101. Quanto alla questione se sia stato raggiunto un giusto equilibrio tra i suddetti interessi pubblici e i diritti degli individui ai sensi dell’articolo 8 in merito al loro impiego, la Corte osserva che i ricorrenti sono stati colpiti da una o da una combinazione delle seguenti misure lamentate: sospensione senza retribuzione in caso di rifiuto di svolgere attività socialmente utili; svolgimento di servizi alla comunità in cambio di un’indennità proporzionale alle ore lavorate (ma non superiore a 600 EUR al mese); o ricollocazione in posti vacanti nella pubblica amministrazione con lo stesso stipendio o con un livello di retribuzione inferiore a quello a cui avevano diritto prima del trasferimento (vedere la tabella allegata per i dettagli). Tutte queste misure erano temporanee e duravano da un minimo di due settimane a un massimo di quindici mesi; nella maggior parte dei casi le misure sono terminate in meno di sette mesi perché i ricorrenti si sono ripresi dall’infezione da Covid-19, si sono vaccinati, sono stati trasferiti in modo permanente o i loro contratti sono terminati.

102. In effetti, in relazione alle implicazioni di queste misure sui ricorrenti, questi ultimi non hanno spiegato in che modo ne erano stati emotivamente colpiti o in che modo ne era stata colpita la dignità. Dato che la vaccinazione era volontaria e i ricorrenti erano liberi di non farla, un’opportunità di cui si sono avvalsi, nel raggiungere il giusto equilibrio pertinente, erano solo gli interessi finanziari dei ricorrenti che lo Stato doveva bilanciare con gli importanti interessi concorrenti della comunità nel suo insieme.

103. Nella misura in cui i ricorrenti hanno fatto riferimento alle ripercussioni finanziarie da loro subite, basandosi sulle loro richieste di equa soddisfazione non pecuniaria, la Corte osserva che hanno subito perdite finanziarie variabili da circa 500 a circa 16.000 euro (con due eccezioni, il settimo e il ventiquattresimo ricorrente, pari rispettivamente a circa 26.000 e 74.000 euro, che in quest’ultimo caso il Governo ha sostenuto essere pari a 60.000 euro) (vedere la tabella allegata per i dettagli). Il Governo ha contestato parti di tali calcoli per alcuni dei ricorrenti, ma la Corte ritiene che eventuali discrepanze non siano sufficientemente importanti da essere determinate in questa fase. In effetti, i ricorrenti non sono riusciti a esporre alcuna argomentazione su come tale riduzione del loro stipendio, o nessun stipendio (laddove avessero scelto di non intraprendere l’opzione del lavoro volontario) avesse peggiorato il benessere materiale di ciascun ricorrente e delle rispettive famiglie. 104. A questo proposito, la Corte rileva che – sempre sulla base delle sole somme indicate dai ricorrenti, che sono rimaste contestate dal Governo – le perdite asseritamente subite da alcuni dei ricorrenti ammontavano a poche centinaia di euro (si veda, ad esempio, il secondo e l’ottavo ricorrente). Mentre è vero che per gli altri erano significativamente più consistenti, la Corte osserva che, con un’eccezione (il nono ricorrente), i ricorrenti che hanno subito le perdite più ingenti (circa 10.100 euro e oltre) si sono verificate quando i ricorrenti si sono rifiutati di intraprendere qualsiasi lavoro socialmente utile (si veda, ad esempio, il settimo e il ventiquattresimo ricorrente) o per un periodo di tempo considerevole (si veda, ad esempio, il primo, il sesto e il ventunesimo ricorrente). I ricorrenti non hanno presentato alcuna giustificazione per il loro rifiuto di intraprendere le attività socialmente utili presso istituti culturali o altri settori, loro offerte. Secondo la Corte, non ci si poteva aspettare che gli individui continuassero a ricevere una retribuzione quando si rifiutavano di intraprendere qualsiasi lavoro. 105. Quanto alla maggior parte dei ricorrenti, essi sono stati trasferiti almeno per una parte del tempo e hanno continuato a ricevere una retribuzione in cambio dei loro servizi in un altro posto, sebbene, a volte, a uno stipendio inferiore e/o hanno ricevuto indennità in cambio delle ore di attività socialmente utili svolte in base alle esigenze disponibili o alla loro scelta in tal senso. Ad eccezione del nono ricorrente, nessuno di questi ricorrenti, che ha effettivamente svolto un lavoro per un periodo di tempo considerevole, ha perso più di 10.100 EUR.

106. Non si può negare che la pandemia di Covid-19 abbia richiesto un adattamento e misure speciali per contrastarne gli effetti, ma ha comunque causato perdite finanziarie significative e persino enormi, nonché un aumento della disoccupazione, in vari settori, aziende e industrie. La Corte ritiene che tali perdite siano una conseguenza inevitabile di una pandemia globale e del contesto eccezionale e imprevedibile in cui si trovavano gli Stati al momento rilevante.

107. Inoltre, la Corte osserva che lo Stato di San Marino aveva avanzato una serie di possibilità e che le misure applicate in ultima analisi a ciascun ricorrente erano dipese dalle possibilità dei servizi in cui lavorava, o da qualsiasi altra esigenza del settore pubblico, nonché dalle proprie scelte in merito.

108. Alla luce di quanto sopra e ricordando che, nell’adottare una legislazione volta a creare un equilibrio tra interessi concorrenti, agli Stati deve essere in linea di principio consentito di determinare i mezzi che ritengono più adatti a raggiungere l’obiettivo di conciliare tali interessi (vedere Vav?i?ka e altri, citata sopra, § 273), la Corte ritiene che la scelta del legislatore sammarinese di applicare un numero graduato di misure che incidono sull’occupazione a un numero limitato di individui coinvolti nel settore sanitario e socio-sanitario allo scopo di proteggere la salute della popolazione in generale, compresi gli stessi ricorrenti, e i diritti e le libertà altrui, fosse giustificata e si collocasse in un ragionevole rapporto di proporzionalità con gli obiettivi legittimi perseguiti dallo Stato convenuto. Non si può quindi affermare che quest’ultima abbia ecceduto il suo ampio margine di apprezzamento in materia di politica sanitaria.

109. Ne consegue che non vi è stata alcuna violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 E DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 12
110. I ricorrenti hanno inoltre lamentato ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 12 alla Convenzione che, ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 107/2021, solo le persone vaccinate potevano continuare a svolgere la loro professione nei loro posti e che gli articoli 2 e 6 della legge n. 107/2021 prevedevano speciali libertà dalle restrizioni solo per le persone vaccinate. Ciò, a loro avviso, costituiva un trattamento discriminatorio, contrario all’articolo 14 della Convenzione e all’articolo 1 del Protocollo n. 12, che recitano come segue:

Articolo 14

“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella [Convenzione] deve essere garantito senza alcuna discriminazione, in particolare quella fondata sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”.

Articolo 1 del Protocollo n. 12

“1. Il godimento di qualsiasi diritto stabilito dalla legge deve essere garantito senza alcuna discriminazione fondata su sesso, razza, colore, lingua, religione, opinione politica o di altro tipo, origine nazionale o sociale, appartenenza a una minoranza nazionale, proprietà, nascita o altra condizione.

2. Nessuno può essere discriminato da alcuna autorità pubblica per motivi quali quelli menzionati nel paragrafo 1.”

Osservazioni delle parti
I ricorrenti
111. I ricorrenti hanno sostenuto che la legge n. 107/2021 era stata discriminatoria nei confronti degli operatori sanitari non vaccinati nella misura in cui la sua sezione 8 prevedeva che fossero trasferiti e/o sospesi dal loro servizio (con le condizioni pertinenti sopra menzionate), e le sue sezioni 2 e 6 avevano riservato trattamenti preferenziali alle persone vaccinate, esentandole dalle restrizioni: come il rispetto del requisito di distanziamento, il divieto di assembramenti e l’uso di mascherine negli spazi pubblici.

112. Hanno ritenuto che nessuna ragione giuridica o scientifica potesse supportare questa differenza di trattamento. In particolare, l’esigenza di tutela della salute pubblica non poteva costituire una valida giustificazione, in quanto non vi era certezza che chi si fosse vaccinato fosse immune e non contagioso: anzi, la comunità scientifica sottolineava che i vaccinati avrebbero potuto contribuire alla diffusione del virus, con possibilità di infezione e contagio. Per tale motivo, tutti gli organi competenti avevano raccomandato di continuare a mantenere norme prudenti anche dopo aver ricevuto il vaccino. I ricorrenti hanno ribadito le loro argomentazioni sopra esposte (cfr. paragrafo 83).

113. La conferma oggettiva che il diverso trattamento tra vaccinati e non vaccinati non fosse giustificato, si è potuta riscontrare anche attraverso i dati dei contagi registrati dall’SSI di San Marino, che hanno dimostrato che, rispetto al 2020, nel 2021 il numero dei contagi è raddoppiato. Confrontando le dichiarazioni di aggiornamento del 13 dicembre 2021 e del 12 dicembre 2020, è emerso che nello stesso periodo del 2020 erano stati rilevati 147 nuovi casi e 269 casi positivi attivi, mentre nel 2021 erano stati 375 nuovi casi e 528 casi positivi attivi.

Il Governo
114. Il Governo ha sostenuto che il Parlamento ha valutato attentamente l’evoluzione della curva epidemica e, a seguito della massiccia campagna vaccinale avviata a febbraio 2021, ha introdotto la Legge n. 107/2021 con l’obiettivo di allentare gradualmente le misure restrittive precedentemente imposte, stabilendo, nelle aree a minor rischio, un trattamento differenziato per vaccinati e non vaccinati. Questo diverso regime era stato introdotto sulla base delle evidenze scientifiche disponibili nel periodo rilevante che dimostravano l’efficacia della campagna vaccinale, la riduzione dei contagi a seguito della vaccinazione e di conseguenza la ridotta possibilità dei vaccinati di diffondere il virus. Inoltre, il legislatore non ha tenuto conto solo delle caratteristiche soggettive dei destinatari della norma, ovvero il loro status di vaccinati o non vaccinati, ma anche del contesto oggettivo della sua applicazione. L’allentamento delle misure preventive era stato quindi adattato al contesto, anche lavorativo, in cui le norme dovevano essere attuate.

115. Quanto all’articolo 8 impugnato, il Governo ha sostenuto che nel settore sanitario e sociosanitario il contatto con persone malate e quindi particolarmente vulnerabili e fragili, la cui salute doveva essere protetta dal rischio di possibile infezione da Covid-19 attraverso misure di prevenzione farmacologiche (vaccinazione) e non farmacologiche (mascherine) più severe, era molto elevato. Ciò non si poteva dire di altri contesti come quelli interessati dagli articoli 2 e 6 della legge n. 107/2021 in cui la diffusione del virus comportava un rischio inferiore rispetto al contesto sanitario.

116. Come rilevato dalla Corte costituzionale, tali misure erano state giustificate dal principio di tutela della comunità, che, al fine di proteggere la salute di tutti i cittadini, imponeva la limitazione temporanea e limitata dei diritti delle persone non vaccinate. Inoltre, nessun testo di legge aveva affermato che le persone vaccinate erano automaticamente immuni. La base per la differenziazione con le persone non vaccinate erano i dati statistici corroborati da istituzioni scientifiche e sanitarie ufficiali, secondo cui le persone vaccinate avevano un rischio molto più basso di malattia grave e/o morte rispetto alle persone non vaccinate. Allo stesso modo, le persone vaccinate erano portatrici dell’infezione meno delle persone non vaccinate.

117. In relazione ai dati numerici esposti dai ricorrenti, il Governo ha sostenuto che ciò che era rilevante non era il numero di contaminazioni nel 2021, ma il numero ridotto di decessi e ricoveri ospedalieri a seguito della vaccinazione.

Valutazione della Corte
Il ricorso relativo all’articolo 6 della legge n. 107/2021
118. Il Governo non ha sollevato alcuna obiezione al riguardo. Tuttavia, la Corte ha già affermato che non le è impedito di esaminare d’ufficio lo status di vittima di un ricorrente poiché riguarda una questione che rientra nella giurisdizione della Corte (vedere Buzadji contro la Repubblica di Moldavia [GC], n. 23755/07, § 70, CEDU 2016 (estratti); Orlandi e altri contro l’Italia, nn. 26431/12 e altri 3, § 117, 14 dicembre 2017; e Unifaun Theatre Productions Limited e altri contro Malta, n. 37326/13, § 64, 15 maggio 2018).

119. La Corte ribadisce che, per poter presentare un ricorso ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, un individuo deve essere in grado di dimostrare di essere stato “direttamente interessato” dalla misura impugnata (vedi Burden c. Regno Unito [GC], n. 13378/05, § 33, CEDU 2008, e Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS), citata sopra, § 105). La Corte ha costantemente affermato nella sua giurisprudenza che la Convenzione non prevede l’istituzione di un’actio popularis e che il suo compito non è normalmente quello di esaminare in abstracto la legge e la prassi pertinenti, ma di determinare se il modo in cui sono state applicate al ricorrente o hanno avuto ripercussioni su di lui abbia dato luogo a una violazione della Convenzione (vedere, tra le altre autorità, Beizaras e Levickas c. Lituania, n. 41288/15, § 75, 14 gennaio 2020; Roman Zakharov c. Russia [GC], n. 47143/06, § 164, CEDU 2015; e N.C. c. Italia [GC], n. 24952/94, § 56, CEDU 2002?X). La Convenzione non consente a individui o gruppi di individui di presentare reclamo contro una disposizione di diritto nazionale semplicemente perché ritengono, senza esserne stati direttamente interessati, che possa violare la Convenzione (vedi Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri contro Svizzera [GC], n. 53600/20, § 460, 9 aprile 2024, e Centre for Legal Resources per conto di Valentin Câmpeanu contro Romania [GC], n. 47848/08, § 101, CEDU 2014). 120. La Corte rileva in primo luogo che, sebbene l’onere di produrre prove ragionevoli e convincenti in merito al loro status di vittime spetti ai ricorrenti (vedi Mittendorfer c. Austria (dec.) n. 32467/22, § 31, 32467/22, 4 luglio 2023), in nessun punto dei loro ricorsi o delle loro memorie i ricorrenti hanno spiegato in che modo fossero stati colpiti dall’articolo 6 della legge n. 107/2021 che riguardava le scuole. In effetti, nessuno di loro ha affermato di essere uno studente o di aver lavorato in una scuola al momento in cui la disposizione era in vigore. Ne consegue che i ricorrenti non possono essere considerati colpiti dalla disposizione di legge impugnata (confronta Zambrano, citato sopra, § 43).

121. Di conseguenza, questa parte del ricorso deve essere dichiarata inammissibile ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione per incompatibilità ratione personae con le disposizioni della Convenzione.

La denuncia relativa alle sezioni 2 e 8 della legge n. 107/2021
(a) Principi generali

122. La Corte rileva che, mentre l’articolo 14 della Convenzione proibisce la discriminazione nel godimento dei “diritti e delle libertà riconosciuti nella [Convenzione]”, l’articolo 1 del Protocollo n. 12 estende l’ambito di protezione a “qualsiasi diritto previsto dalla legge” (vedi Sejdi? e Finci contro Bosnia ed Erzegovina [GC], nn. 27996/06 e 34836/06, § 53, CEDU 2009), e oltre, nella misura in cui il suo paragrafo 2 prevede inoltre che nessuno può essere discriminato da un’autorità pubblica (vedi Savez crkava “Rije? života” e altri contro Croazia, n. 7798/08, § 104, 9 dicembre 2010). Secondo la relazione esplicativa sull’articolo 1 del Protocollo n. 12, l’ambito di protezione di tale articolo riguarda quattro categorie di casi, in particolare quando una persona è discriminata: “i. nel godimento di qualsiasi diritto specificamente concesso a un individuo ai sensi del diritto nazionale; ii. nel godimento di un diritto che può essere dedotto da un chiaro obbligo di un’autorità pubblica ai sensi del diritto nazionale, vale a dire quando un’autorità pubblica è tenuta ai sensi del diritto nazionale a comportarsi in un modo particolare; iii. da un’autorità pubblica nell’esercizio del potere discrezionale (ad esempio, la concessione di determinati sussidi); iv. da qualsiasi altro atto o omissione da parte di un’autorità pubblica (ad esempio, il comportamento degli ufficiali delle forze dell’ordine quando controllano una rivolta)”. Pertanto, al fine di determinare se l’articolo 1 del Protocollo n. 12 alla Convenzione sia applicabile, la Corte deve stabilire se le denunce dei ricorrenti rientrano in una delle quattro categorie menzionate nella relazione esplicativa (ibid., §§ 104-05).

123. La nozione di discriminazione vietata sia dall’articolo 14 della Convenzione sia dall’articolo 1 del Protocollo n. 12 deve essere interpretata allo stesso modo, vale a dire, “discriminazione” significa trattare in modo diverso, senza una giustificazione oggettiva e ragionevole, persone in situazioni simili (vedi Sejdi? e Finci, citati sopra, § 55).

124. L’articolo 14 non proibisce tutte le differenze di trattamento, ma solo quelle basate su una caratteristica identificabile, oggettiva o personale, o “status”, per cui persone o gruppi di persone sono distinguibili l’uno dall’altro (vedi Carson e altri contro Regno Unito [GC], n. 42184/05, §§ 61 e 70, CEDU 2010, e Kjeldsen, Busk Madsen e Pedersen contro Danimarca, 7 dicembre 1976, § 56, Serie A n. 23). Elenca motivi specifici che costituiscono lo “status”, tra cui, tra gli altri, sesso, razza e proprietà. Tuttavia, l’elenco stabilito nell’articolo 14 è illustrativo e non esaustivo, come dimostrano le parole “qualsiasi motivo come” (in francese “notamment”) (vedi Engel e altri contro i Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 72, serie A n. 22, e Carson e altri, citata sopra, § 70) e l’inclusione nell’elenco della frase “qualsiasi altro status” (in francese “toute autre situation”). Le parole “altro status” hanno generalmente un significato ampio (vedi Carson e altri, citato sopra, § 70) e la loro interpretazione non è stata limitata alle caratteristiche che sono personali nel senso che sono innate o inerenti (vedi Clift c. Regno Unito, n. 7205/07, §§ 56-58, 13 luglio 2010; Kiyutin c. Russia, n. 2700/10, § 56, CEDU 2011; e il Parere consultivo sulla differenza di trattamento tra le associazioni di proprietari terrieri “aventi un’esistenza riconosciuta alla data di creazione di un’associazione comunale di cacciatori approvata” e le associazioni di proprietari terrieri costituite dopo tale data [GC], richiesta n. P16-2021-002, Conseil d’État francese, § 72, 13 luglio 2022). Lo stesso vale ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n. 12.

(b) Applicazione al caso di specie

125. La Corte ritiene che, anche supponendo che una qualsiasi delle due disposizioni sia applicabile al caso di specie e in particolare che lo status di non vaccinato di una persona possa essere considerato come rientrante in “qualsiasi altro status”, il reclamo è inammissibile per i seguenti motivi.

126. La Corte ha già affermato, al paragrafo 108 sopra, in relazione all’articolo 8 della legge impugnata, che la scelta del legislatore sammarinese di applicare un numero graduato di misure che incidono sull’occupazione a un numero limitato di individui coinvolti nel settore sanitario e socio-sanitario allo scopo di proteggere la salute della popolazione in generale, compresi gli stessi ricorrenti, e i diritti e le libertà altrui, era giustificata e si collocava in un ragionevole rapporto di proporzionalità con gli obiettivi legittimi perseguiti dallo Stato convenuto e che non si può affermare che quest’ultimo abbia ecceduto il suo ampio margine di apprezzamento in materia di politica sanitaria.

127. Per le stesse ragioni, la Corte ritiene che qualsiasi differenza di trattamento derivante dall’articolo 8, nonché dall’articolo 2 della legge impugnata, le cui implicazioni erano ancora meno intense per i ricorrenti, fosse oggettivamente e ragionevolmente giustificata. In effetti, la Corte ritiene che l’uso della mascherina e il distanziamento protettivo (indicati nell’articolo 2 della legge impugnata) come misure temporanee durante una pandemia globale siano misure di intensità limitata, mentre i ricorrenti non hanno indicato a quali raduni di massa desideravano partecipare e gli è stato proibito di farlo (vedere a questo proposito il ragionamento della Corte al paragrafo 120 sopra).

128. Inoltre, la Corte rileva che, come ammesso dai ricorrenti, la loro denuncia in relazione all’articolo 2 della legge n. 107/2021 riguarda un trattamento preferenziale concesso alle persone vaccinate, nel quadro dell’alleviamento delle misure restrittive durante la pandemia di Covid-19. La Corte ha già affermato al paragrafo 100 che non era irragionevole attenuare le misure nei confronti delle persone vaccinate che erano esse stesse meno a rischio, mantenendole invece per i ricorrenti che rimanevano essi stessi a rischio di infezione e gravi conseguenze per la loro salute. Inoltre, un trattamento preferenziale limitato (vedere il paragrafo precedente) era oggettivamente e ragionevolmente giustificato nella misura in cui tale trattamento preferenziale incoraggiava l’adesione alla vaccinazione consentendo di tenere sotto controllo in modo duraturo la pandemia di Covid-19 (vedere il paragrafo 97 sopra con riferimento alla Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS), citata sopra, §§ 17-18). Ribadendo che il margine di apprezzamento concesso agli Stati in materia di politica sanitaria è ampio (cfr. Communauté genevoise d’action syndicale (CGAS), citata sopra, § 160, e Vav?i?ka e altri, citati sopra, §§ 274 e 280) e tenendo presente la natura temporanea delle misure adottate, la loro limitata intensità e il contesto eccezionale in cui sono state adottate, la scelta politica del legislatore nell’attenuazione delle misure restrittive nei confronti delle persone vaccinate non può essere considerata discriminatoria.

129. Ne consegue che questa parte del reclamo deve essere respinta in quanto manifestamente infondata, conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

PER QUESTE RAGIONI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

Dichiara i reclami relativi all’articolo 8 per tutti i ricorrenti, tranne il venticinquesimo, ammissibili e il resto del ricorso inammissibile;
Ritiene che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
Reso in inglese e notificato per iscritto il 29 agosto 2024, ai sensi dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

 Liv Tigerstedt  – Deputy Registrar 

Ivana Jeli? – President

 

Disclaimer. Tradotto con mezzi informatici, dall’inglese all’italiano, dal sito della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo (https://hudoc.echr.coe.int/eng#%7B%22documentcollectionid2%22:%5B%22GRANDCHAMBER%22,%22CHAMBER%22%5D,%22itemid%22:%5B%22001-235475%22%5D%7D).

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