Una paziente entra in ambulatorio per chiedere spiegazioni su un intervento mal riuscito. Ne esce sedata, con una nuova operazione già eseguita, a sua insaputa. È questo il cuore della vicenda giudiziaria che ha portato alla sospensione per sei mesi del chirurgo plastico Carlo Bravi, accusato di aver sottoposto una donna a un secondo intervento chirurgico senza il suo consenso.
Il provvedimento è stato firmato dal gip di Roma Paolo Scotto Di Luzio su richiesta della Procura, che ha contestato a Bravi due ipotesi di lesioni personali e, soprattutto, il sequestro di persona, per aver costretto la paziente all’intervento in totale assenza di autorizzazione.
I fatti risalgono alla primavera del 2024. Il primo intervento, una mastoplastica al seno sinistro, viene eseguito il 14 marzo. L’esito non soddisfa la paziente, né dal punto di vista estetico né funzionale. Ad aprile, torna nello studio per chiarimenti, ma — secondo l’accusa — il chirurgo decide di rioperarla. La donna si oppone, rifiuta qualsiasi trattamento, ma ciò non basta a fermare l’equipe.
Secondo la ricostruzione della Procura, mentre la madre della paziente viene allontanata con un pretesto da un collega di Bravi, alla donna viene infilata un’agocannula nel braccio. Di lì a poco perde conoscenza. Quando si risveglia, l’intervento è già stato eseguito. E anche stavolta, con risultati deludenti.
La denuncia parte pochi giorni dopo. Gli inquirenti — coordinati dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco e dalla pm Eleonora Fini — raccolgono testimonianze, acquisiscono cartelle cliniche e sentono le persone presenti in ambulatorio. Dalle indagini emergerebbe un quadro grave: un secondo intervento chirurgico praticato senza consenso, in condizioni che la Procura definisce “coattive”.
Carlo Bravi non è nuovo alle cronache. È già indagato per la morte di Simonetta Kalfus, deceduta il 18 marzo scorso dopo una liposuzione da lui effettuata. In quel caso l’ipotesi è di omicidio colposo, ma l’indagine è ancora in fase preliminare.
Nel frattempo, la nuova accusa ha portato alla sospensione dell’attività chirurgica per sei mesi, fino al prossimo novembre. Non una condanna, ma una misura cautelare, adottata per tutelare i pazienti e garantire la serenità delle indagini.
La vicenda, dai contorni delicatissimi, approderà presto in aula. E sarà lì che si deciderà se quanto accaduto è frutto di scelte scellerate o di un tragico fraintendimento. Ma una cosa è certa: il consenso informato, nel rapporto medico-paziente, non è mai un optional.