Una giornata senza poesia…di Angela Venturini

La stoltezza umana non conosce ideologia. Il dolore non ha colore e non ha tempo. E’ il giorno della memoria, per ricordare le vittime dei lager. Il giorno del dolore e della riflessione.

Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli di Auschwitz. Le immagini che apparvero agli occhi dei soldati sovietici che liberarono il campo, sono impresse nella nostra memoria collettiva. Ad Auschwitz, come negli innumerevoli altri campi di concentramento e di sterminio creati dalla Germania nazista, erano stati commessi crimini di incredibile efferatezza. Tali crimini non furono commessi solo contro il popolo ebraico e gli altri popoli e categorie oppressi, ma contro tutta l’umanità, segnando una sorta di punto di non ritorno nella Storia.

L’uomo contemporaneo, con il suo grande bagaglio di conoscenze, nel cuore del continente più civile e avanzato, era caduto in un baratro. Aveva utilizzato il suo sapere per scopi criminali, tramutando quelle conquiste scientifiche e tecnologiche, di cui l’Europa era allora protagonista indiscussa, in strumenti per annichilire e distruggere intere popolazioni, primi fra tutti gli ebrei d’Europa.
Da quel trauma l’Europa e il mondo intero si risvegliarono estremamente scossi. Si domandarono come era stato possibile che la Shoah fosse avvenuta. E, soprattutto, quali comportamenti e azioni mettere in atto per scongiurare che accadesse di nuovo.

Nel gennaio 2006, su iniziativa della Reggenza, il Consiglio accolse il suggerimento dell’ONU iscritto nella risoluzione del 25 novembre 2005, che aveva fissato per il 27 gennaio, anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, la Giornata Internazionale di Commemorazione per le vittime dell’Olocausto.

Ma in questo giorno senza poesia, che accumuna popoli e paesi di ogni etnia, religione e credo politico, il pensiero va alle vittime di tutte le guerre e di tutti i regimi: dai lager ai gulag alle foibe, da Kabul a Timore Est ai paesi africani. Va dovunque l’Umanità sia vittima di quella lucida follia militare che vede davanti a sé solo l’eliminazione di altri uomini.

Ecco allora i doveri della memoria, ma di una memoria dinamica, non fossilizzata, che fa della Shoah non un motivo di recriminazione, né un uso strumentale.

Il vero problema è quello di conciliare il compito morale di evitare che il passato cada nell’oblio con l’impegno a operare perché le nuove generazioni possano costruirsi un futuro vivibile e decente, da condividere responsabilmente e fraternamente, con tutti i figli degli uomini.

Angela Venturini

USDM

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