San Marino, terra di torri e silenzi che pesano come macigni, ha aperto ieri il sipario su un processo che sembra un terremoto: un presunto sodalizio criminale accusato di aver svuotato le casse pubbliche per circa 900 milioni di euro, lasciando il Titano con un debito che farebbe tremare anche il più stoico dei consiglieri. Banchieri, consulenti, direttori, un giudice, funzionari pubblici… C’è di tutto, manca solo il barista del Consiglio Grande e Generale per completare il cast. Ma sapete chi non c’è alla “sbarra” al fianco di Marino Grandoni, Francesco Confuorti, Daniele Guidi…? I politici. Nemmeno uno. Nemmeno uno “per sbaglio”, come se nella seconda metà del decennio scorso fossero tutti passati di lì, a Palazzo, per caso, con gli occhi bendati e le orecchie tappate… Come se ancora oggi dovessero -come succedeva un tempo?- continuare a godersi l’Adriatico in barca a vela. Un mistero, questo, che sa di beffa. Ma che non può togliere applausi al coraggio del Commissario della Legge Elisa Beccari, che ha scoperchiato questo vaso di Pandora e, quindi, merita un inchino per averci portato almeno fin qui.

Gli atti, messi insieme con una precisione che rende onore agli inquirenti, disegnano un quadro da brividi: un gruppo che avrebbe infiltrato la Banca Centrale, manipolato ispezioni, falsificato bilanci, usato una Istituto di credito sammarinese come fosse un bancomat scassato e prosciugato l’ISS per un centinaio milioni. Un potere così vasto da dettare decreti al governo (AdessoSm, ovviamente!), nominare chi serviva e far sparire chi intralciava, come un romanzo noir con una regia che sembra scritta per Hollywood. Eppure, tra gli imputati, non c’è un solo politico. Nemmeno un sottosegretario dell’osceno, come direbbe un amico mio. Coincidenza? O forse un modo per evitare che il processo diventi una chiave scomoda, capace di rendere palese uno scenario ancor più inquietante, di aprire una porta che nessuno con il sedere sulle poltrone che contano vuole vedere spalancata?
E poi ci sono le email. Non robetta, ma missive notturne tra un Segretario di Stato alle Finanze e un finanziere, uno dei presunti capi del sodalizio. “Caro Francesco”, scriveva, per definire “leggi” sul settore bancario o chiedere se un decreto per un credito d’imposta andasse bene così. Non proprio la corrispondenza di chi si occupa di timbri e caffè, diciamolo… Quel Segretario di Stato, condannato in primo grado con un giudice per abuso d’autorità e tentata concussione contro -guardacaso- la Presidente di Banca Centrale, per favorire il gruppo, non era un passante. Eppure, eccolo lì, fuori dagli imputati per associazione a delinquere. E non è solo lui: i governi di allora, tra 2010 e 2019, han nominato figure chiave in Banca Centrale, lasciando che il disastro si consumasse. Le forze politiche di quel tempo – quelle che dominavano il Consiglio – sono intonse. È come se la politica avesse guardato altrove mentre il Titano bruciava… E gli sciacalli imperavano.
C’è di più. Un giudice, oggi rinviato a giudizio, sembra un pezzo chiave del puzzle. Prima ha istruito un processo-meteorite che ha polverizzato la vecchia classe politica, poi, secondo l’accusa di Beccari, avrebbe garantito protezione giudiziaria al gruppo, archiviando esposti e premendo su chi osava indagare. Un cerchio perfetto: si elimina il vecchio, si conquista il nuovo. E la politica? Silenzio. Una Commissione d’Inchiesta ha lasciato intendere che era consenziente, connivente o, nel migliore dei casi, cieca. Un partito legato al presunto capo del gruppo sembra avere consiglieri fedeli al sodalizio, persino quel giudice sarebbe stato trepidante allo spoglio elettorale di qualche anno fa. Ma tranquilli, nessun politico sapeva nulla. Tutti candidi come neve appena caduta.
Ed ecco il punto che brucia: se anche un solo politico fosse stato rinviato a giudizio come sodale del gruppo, nascondere la verità sarebbe diventato impossibile. Non parleremmo più di “Cricca”, ma di un colpo di Stato; certo, un “golpe bianco”, in Rolls-Royce, giacca e cravatta, senza carri armati o kalashnikov, ma con decreti scritti di notte, nomine pilotate e silenzi comprati. Un’operazione così elegante da sembrare legale, o quasi. E a quel punto, una nuova Commissione d’Inchiesta, seria, doverosa, inevitabile, dovrebbe fare luce su tutte le gravi responsabilità politiche di un decennio che ha spaccato il Titano. O davvero vogliamo crdere che l’unico colpevole politico possa essere quel Simone Celli che, per quel che è emerso, mi ricorda più il protagonista di un romanzo di Dostoevskij che non un… Vabbè, lasciamo stare, non voglio anche io “sparare” sulla Croce Rossa.
Sta di fatto che senza politici in aula, il “golpe” resta un’ombra, un sospetto che si può ignorare, un’ipotesi che non obbliga nessuno a riscrivere la storia.
Non sto dicendo che la magistratura abbia sbagliato. Lungi da me, specie con una professionista come la Beccari, che ha avuto il fegato di scavare dove altri avrebbero chiuso gli occhi, e, soprattutto, non potrei sostenerlo viste le mie insufficienti basi e formazioni giuridiche. Ma da cittadini, da contribuenti, da sopravvissuti a un decennio che ha distrutto banche, famiglie e fiducia, avete tutti il diritto di chiedervi, e chiedere: dove sono i politici che firmavano quei decreti? Perché chi scriveva “fammi sapere” a un finanziere non è chiamato a rispondere di più? Come si fa a devastare un sistema per 900 milioni e lasciare la politica intonsa? È un mistero che puzza di strategia, e il processo di oggi, partito con una ricusazione che sa di déjà-vu, rischia di essere una verità a metà. San Marino merita di più: non solo giustizia, ma risposte. Altrimenti, resteremo a contare i giorni di pioggia, mentre i pesci grossi continueranno a veleggiare indisturbati nel mare che si può solo scrutare dalle tre torri.
Enrico Lazzari