Netanyahu candida Trump al Nobel per la Pace. Cena alla Casa Bianca: tregua con Hamas e piano per Gaza al centro del colloquio

Si è svolta ieri sera alla Casa Bianca una cena ad alto contenuto politico tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in un momento delicato per gli equilibri internazionali in Medio Oriente. Il leader israeliano ha colto l’occasione per annunciare pubblicamente di aver candidato Trump al Premio Nobel per la Pace, consegnandogli una lettera indirizzata al comitato del Nobel. Un gesto simbolico, motivato dal sostegno dell’amministrazione americana ai nuovi scenari di pacificazione nell’area.

Durante l’incontro, il presidente statunitense ha fatto sapere che Hamas sarebbe intenzionata a negoziare un cessate il fuoco, e avrebbe manifestato la disponibilità a trattare attraverso i colloqui in corso a Doha. Tuttavia, gli scontri a terra nella Striscia di Gaza non accennano a fermarsi: un attacco nella zona di Beit Hanun, nel nord del territorio, ha provocato la morte di cinque soldati israeliani e il ferimento di altri quattordici, due dei quali in condizioni critiche. Secondo l’esercito israeliano, l’ordigno è esploso mentre i militari erano appiedati durante un’operazione notturna; successivamente, le forze sarebbero state bersagliate da fuoco nemico nel tentativo di soccorrere i feriti.

Nel frattempo, Netanyahu ha ribadito la cooperazione tra Israele e Stati Uniti per trovare soluzioni di ricollocamento dei palestinesi sfollati, parlando della “libera scelta” come principio guida. Un piano ancora nebuloso, che si intreccia con le nuove intenzioni del ministro della Difesa israeliano Israel Katz, il quale ha annunciato la creazione di una “città umanitaria” a Rafah, destinata ad accogliere oltre 600mila palestinesi attualmente presenti nella zona di Mawasi. I civili, secondo il piano, non potranno lasciare la nuova area e saranno tutti sottoposti a controlli per identificare eventuali infiltrati di Hamas.

Questa cena, la terza tra i due leader dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca, ha avuto un profilo estremamente riservato: nessuna foto ufficiale, nessuna conferenza stampa, né dichiarazioni congiunte. Una scelta che rispecchia la sensibilità dei dossier sul tavolo, tra cui la ripresa del negoziato con Teheran sul nucleare, il consolidamento degli Accordi di Abramo, e un potenziale nuovo corso nei rapporti con Siria e Libano. In questo contesto, Trump avrebbe dato via libera agli attacchi americani contro infrastrutture iraniane durante la recente “guerra dei 12 giorni”, oltre ad aver chiesto – secondo fonti diplomatiche – la chiusura del processo per corruzione contro Netanyahu, una pesante ingerenza nella politica interna israeliana che il premier ora è chiamato a bilanciare.

La situazione nella Striscia resta però drammatica. Un alto funzionario di Hamas, citato dalla BBC, ha affermato che il movimento avrebbe perso circa l’80% del controllo sul territorio e che la sua struttura di sicurezza è ormai “praticamente inesistente”, con oltre il 95% dei suoi leader uccisi. Ciononostante, Israele ha respinto la proposta di tregua condizionata avanzata da Hamas, accettando però di proseguire i negoziati a Doha con la mediazione di Egitto e Qatar.

Secondo fonti diplomatiche, l’obiettivo immediato resta quello di ottenere un cessate il fuoco, anche se resta incerto se ciò possa davvero aprire la strada a un accordo di pace duraturo. Il futuro della Striscia di Gaza rimane un’incognita, tra tentativi falliti di progetti di ricostruzione – come la cosiddetta “Riviera del Medio Oriente” – e l’assenza di un piano realistico per la gestione postbellica del territorio.

Nel frattempo, Trump ha mostrato un rinnovato interesse anche per il dossier siriano, sostenendo il nuovo regime e rimuovendo le sanzioni imposte in passato. Una mossa che, sebbene vista con cautela da Gerusalemme, potrebbe contribuire a ridurre le tensioni tra Israele, Beirut e Damasco, soprattutto alla luce dell’indebolimento di Hezbollah nel sud del Libano.